I DUE UOMINI IN BIANCHE VESTI
12 maggio 2024, ASCENSIONE DEL SIGNORE (B)
(At 1,1-11; Sl 47/46; Ef 4,1-13; Mc 16,15-20)

 

Mentre lo guardavano, fu elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi (At 1,9)

 

I due uomini in bianche vesti che all’alba del primo giorno della settimana avevano invitato le donne ad alzare gli occhi al cielo invece di fissarli su una tomba vuota, quaranta giorni dopo tornarono invitando gli Undici a non stare con gli occhi fissi al cielo ma con i piedi ben piantati per terra.
Alle donne avevano chiesto perché cercassero tra i morti il vivente (Lc 24,4-5).
Agli apostoli chiesero perché cercassero tra le nuvole Colui che le aveva create.

 

Le donne erano andate al sepolcro per ungere il corpo di Gesù con gli aromi che avevano preparato e mettere definitivamente una pietra sopra questa incredibile storia.
Poi si sarebbero accontentate di avere un luogo dove poterlo ricordare.
Nel loro gesto c’è l’amore per l’uomo che le aveva amate.
Nel loro gesto c’è l’illusione che un corpo imbalsamato possa fermare il tempo.
Ma, di fronte a una tomba vuota, non sapevano più che cosa fare.

 

Anche gli Undici con gli occhi fissi al cielo non sapevano che cosa fare.
Gesù, dopo la sua passione, s’era mostrato ai discepoli, vivo, con molte prove, durante quaranta giorni, apparendo loro e parlando delle cose riguardanti il regno di Dio.
Forse quei quaranta giorni avevano alimentato la speranza che il Signore sarebbe rimasto sempre al loro fianco e che tutto sarebbe tornato come prima.

 

I loro occhi fissi al cielo erano incapaci di comprendere quanto fosse necessaria la sua assenza per garantirne la presenza tutti i giorni, fino alla fine del mondo (Mt 28,20).

 

Dopo che la nube nascose la presenza di Gesù, gli angeli, messaggeri dell’Altissimo, riportarono gli Undici con i piedi per terra.

 

L’ascensione di Gesù al cielo segna l’inizio della trasfigurazione della terra.
La terra è il luogo dove cercare tracce dell’invisibile e silenziosa presenza di Dio.

 

Milleduecento anni prima, la nube che sottrasse Gesù agli occhi dei discepoli aveva tracciato nel deserto la strada verso la libertà per un popolo schiavo in Egitto.
Era una nube luminosa per Israele e oscura per gli egiziani che inseguivano (Es 14,20).
La presenza di Dio, come sempre, rivela e nasconde.
L’intenzione del cuore segna la differenza.
Gli egiziani che inseguivano i figli di Israele per ricondurli alla schiavitù contavano sulla forza delle armi, dei carri, dei cavalli.
Israele, invece, si affidò al Signore, e il Signore aprì per loro una strada nel mare.

 

Quando i nemici esteriori furono sconfitti, per Israele iniziò una lotta molto più insidiosa contro quelli interiori.
È stato più facile – insegnano i maestri – portare Israele fuori dall’Egitto che l’Egitto fuori da Israele: erano tentati di tornare indietro quando la mancanza d’acqua e di cibo faceva sentire la nostalgia delle pentole piene di carne in terra d’Egitto (Es 16,3; 17,2).

 

Il Santo Benedetto fece piovere la carne dal cielo e sgorgare l’acqua dalla roccia, ma non fece sconti sulla strada da percorrere, camminò con il suo popolo per quarant’anni, ma non alleggerì la fatica del cammino e non indicò scorciatoie.

 

Quando Israele, attraversato il Giordano, entrò nella terra di Canaan, Mosè rimase di là del fiume, la nube scomparve e la manna smise di scendere.
Il popolo che Dio aveva preso in braccio, come un bimbo svezzato in braccio a sua madre (Sl 131,2), era diventato adulto: con la libertà aveva ricevuto una terra e la responsabilità di costruire una storia di alleanza con un Dio che aveva promesso di abitare sempre in mezzo a loro, ma la cui Voce era silenzio sottile (1Re 19,12).

 

I figli di Israele dovevano imparare a riconoscere la presenza di Dio non tanto in straordinari eventi celesti, ma tra le pieghe banali e complicate della vita quotidiana.

 

Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Perché state a guardare il cielo?
Il Signore non va cercato nel buio di una tomba e nemmeno tra le nubi del cielo.
La terra che attende l’evangelo, come la benedizione di una pioggia di primavera, è il luogo dell’alleanza.

 

Andate in tutto il mondo – dice Gesù ai discepoli – e proclamate il Vangelo ad ogni creatura, scacciate demoni che rendono schiavi, parlate il linguaggio della speranza e guarite esistenze avvelenate dall’egoismo.

 

La buona notizia, l’evangelo di Gesù, non è un invito a vivere rassegnati e tristi in questa terra d’esilio in attesa di una ricompensa in cielo.
Dal quando il Verbo si è fatto carne e ha posto la sua dimora in mezzo a noi (Gv 1,14) e ha annunciato che il Regno di Dio è vicino (Mc 1,15), c’è data la grazia (senza alienarsi e alienare) di abitare la terra e vivere con fede, cercando la gioia nel Signore (Sl 37,3-4).

 

L’evangelo di Marco inizia nel nome di Gesù Cristo, Figlio di Dio (Mc 1,1) e termina con la professione di fede di un soldato pagano, sotto la croce (Mc 15,39).

 

In mezzo c’è la terra degli uomini che Gesù ha abitato e la loro storia che Gesù ha amato.

 

In questa nostra terra e in questo nostro tempo siamo chiamati a cercare il Signore Gesù e a essere testimoni del suo amore.
Dopo l’ascensione, le donne persero interesse per la tomba di Gesù e gli Undici smisero di alzare gli occhi a cielo, portando nel cuore la nostalgia del cielo.

 

La strada che stava sotto i loro piedi riportò gli Undici a Gerusalemme.
Da Gerusalemme ripartirono annunciando l’Evangelo in tutta la Giudea e la Samaria.
E dalla piccola Terra di Israele presero strade che li condussero fino agli estremi confini della terra.

 

Il Signore, invisibile e silenzioso, camminava e agiva con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano.

 


Due prigionieri separati da un muro comunicano con colpi sul muro. Il mondo separa da Dio, ma è anche mezzo di comunicazione con Lui.
(Simon Weil, L’ombra e la grazia)