Da ciel venne (Cort. 7)

Cort.07 - Da ciel venne

 

Anche di questa lauda ci siamo già occupati nel testo generale. È la narrazione dell'Annunciazione di Gabriele alla Vergine. Le 14 strofe del testo seguono quasi pedissequamente la narrazione evangelica di Luca, ma in italiano volgare. Da notare la prima e l'ultima strofa: nella prima si evidenzia - quasi come se fosse un'informazione non del tutto scontata per l'uomo dell'epoca - che nella città di Nazaret viveva la gente giudea che parlava la lingua ebrea, sia in città, che nel castello, dove evidentemente il "castello" - un simpatico innesto tutto medievale in piena civiltà ebraica, oggi diremmo "il Palazzo" - rappresenta il luogo del potere; nell'ultima stanza troviamo invece la preghiera dell'autore, che lasciata la narrazione con la risposta della Vergine, chiede la sua intercessione perché l'intera umanità possa vivere, essere con Dio Padre.

Lo schema rimico è l'ormai noto a x / b b b x / c c c x / etc.

Dal ciel venne messo novello,
ciò fo l’angel Gabriello

Nella città di Galilea
- là ‘v’era la gente iudea;
favellavano in lengua ebrea
in cità et in castello -

Fra le femene se’ benedecta
più ke null’altra ke sia decta:
Spirtu sancto sì t’ à electa
per la melior, sença ribello.

Filiol di l’Altissimo fie chiamato,
Iesù Cristo in oni lato:
per lui fi’ ‘l mondo salvato
et tracto de le man del fello.

ch’è chiamata Naçarèth,
là u’ la vergene nacque et stette.
Sponsata era a Iosephe
secondo la legge, coll’anello.

Del tuo ventre uscirà tal fructo,
ke salvirà lo mondo tutto,
unde ‘l diavolo avirà corocto,
sì parrà grande ‘l flagello.”

Tu se’ regina et elli è reie;
virgo Maria, credi a meie:
non avrà fine, il dico a teie
lo so regno altissimo e bello.

L’angel fo messo da Dio,
ben començò et ben finio:
saviamente, sença rio,
annuntiò lo suo libello:

La donna fo tutta turbata
la raina incoronata
et dieisi gran mirata
di quel ke disse Gabriello.

Elysabèth tua cognata
in sua vekieça è ‘ngravidata:
non è impossibile cosa nata
fare al re Manuello.”

Ave Maria, gratia plena”
Dio ti salvi, stella serena!

Dio è teco che ti mena
enn-el paradiso bello.

“Come fie quel che tu ài decto?
Nol credo a torto né a dritto,
e ben ne posso far disdetto:
non cognosco hom, vecchio né fancello.”

Respose la kiara stella:
“Io son qui ke so’ su’ ancella,
sia secundo la sua favella:
cusì mi chiamo et apello!”

 

L’angel disse “Non temere,
tu se’ a Dio sì a piacere,
altra madre non vole avere
se non voi, con k’io favello.

Questa donna intercedente
agia merçé de la gente!
Pregi ‘l padre omnipotente
ke possamo essare con ello.

La lunghezza del testo di questa lauda non deve meravigliare: la capacità dell'uomo di concentrarsi (nel senso di portare la mente in una sola direzione) è molto mutata nel corso dei secoli (insegnando, penso che oggi sia al più basso livello dalle origini dell'umanità...). Per l'uomo medievale, come per ogni uomo fino all'avvento dei media, la narrazione dei fatti - reali, immaginari, tratti dalle Sacre Scritture - doveva essere un momento pieno di fascino e di interesse; e il sentire nel proprio idioma la narrazione dell'Annunciazione, fino a quel momento udita in latino e quindi, forse, solo intuita, era come per noi andare a teatro.

Comunque sia, abbiamo scelto, per la trascrizione musicale di questa lauda, un tempo ternario che ci sembra sia rispettoso della naturale accentazione dei versi e dia grande scorrevolezza alla narrazione.

 

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