Altissima luce (Cort. 8)

 

Abbiamo già parlato di questa lauda nel testo generale. È un esempio di contrafacta, il brano compare infatti, oltre che nel Laudario di Cortona, anche in quello di Firenze, e per ben due volte: una prima volta simile, non uguale, alla versione cortonense, una seconda volta con un testo diverso, quello di Regina sovrana, ma la musica è la stessa.
Il canto si dipana su una ripresa e 10 stanze. È un brano di lode a Maria, che viene descritta con tutti gli aggettivi e le similitudini tipici del Medio Evo: stella marina, tempio santo, radice piantata in cielo, nostra avvocata, fresco ruscello (rivera) ornato di fiori, arcobaleno (spera di tutti i colori), una consuetudine letteraria che sfocerà nelle Litanie Lauretane del XVI sec.
Nell’ultima stanza c’è anche la firma dell’autore, tal "Garzo dottore", che dopo aver affermato che la bellezza di Maria non può essere descritta né da lingua né da cuore, la canta con rispetto e onore, a suggerirci che il canto è l’unico mezzo degno di lodare la Vergine. Garzo si firmerà anche nelle laude Ave vergine gaudente, Spirito santo glorioso, Amor dolze senza pare e in altre del Laudario Magliabechiano. Chi era costui? La questione è ancora aperta, ma chi vuole informarsi può andare alla voce Garzo del Dizionario Biografico Treccani.


Il testo è in endecasillabi, lo schema rimico è il consueto: a x / b b b x / c c c x / etc.:

Altissima luce col grande splendore,
in voi, dolçe amore, agiam consolança.

 

Ave, regina, pulçell’amorosa,
stella marina ke non stai nascosa,
luce divina virtù gratïosa,
belleça formosa: di Dio se’ semblança!

Ave Maria di gratïa plena,
tu se’ la via c’a vita ci mena;
di tenebria traesti et di pena
la gente terrena k’era ‘n gran turbança.

Templo sacrato, ornato vasello
annuntïato da san Gabriello,
Cristo è incarnato nel tuo ventre bello,
fructo novello cum gran delectança.

Donna placente ke sì foste humana,
fonte surgente sovr’ogne fontana,
istìevi a mente la gente cristiana,
ke non sia vana la nostra sperança.

Verginitade a Dio prometteste,
umanitade co llui coniungeste,
cum puritade tu sì ‘l parturisti,
non cognoscendo carnal delectança.

Humilïasti la summa potença
Quando incillasti la tua sapïentia;
signorigiasti cum grande excellença
sì c’ài licença di far perdonança.

Fosti radice in cielo plantata,
madr’e nudrice a Dio disponsata;
imperadrice tu se’, deficata,
nostra advocata per tüa pietança.

Vergene pura cum tutta belleça,
sença misura è la tua grandeça,
nostra natura recasti a frankeça,
k’era a vileça per molta offesança.

Fresca rivera ornata di fiori,
tu se’ la spera di tutt’i colori:
guida la skiera di noi peccatori,
sì c’asavori de tua beninança.

De la dolçore ke 'n te è tanta
Lingua né core non pò dicer quanta.
Garço doctore di voi, donna, canta,
virgene sancta, cum tutt’honorança.

 

La trascrizione musicale della lauda è forse fra le più semplici dell'intero laudario: il testo in endecasillabi trova una corrispondenza quasi sillabica con la musica, suggerendo un ritmo ternario (gli accenti dei versi infatti sono quasi sempre >-->-->-->-, e comunque a questo schema riconducibili quando iniziano con una parola pentasillabica, come nella terza stanza).
Questa la trascrizione musicale adottata nel Kalòs. È omesso il ritmo iniziale e le stanghette di battuta sono solo suggerite, perché consigliamo di evitare l'eccessiva accentuazione del primo quarto, tanto istintiva quanto fin troppo echeggiante l'un-pa-pa di straussiana memoria. Molto meglio una lettura quasi gregoriana, agile e leggera.