La Lauda

Sergio Lonoce

 

1. CONTESTO CULTURALE E STORICO

 

XIII secolo. Nei paesi di lingua francofona si sono ormai diffusi i canti monodici in lingua francese di trovatori e trovieri; della loro produzione ci sono pervenute circa 270 melodie di trovatori, e circa 1700 dei trovieri. In Austria e Baviera già dalla seconda metà del XII secolo, complici gli influssi dei poeti-musicisti francesi, compaiono i primi Minnesänger che daranno vita a una fiorente tradizione letteraria e musicale.

In Spagna le Cantigas de Santa Maria raccolte e forse composte da Alfonso X “El Sabio”, re di Castiglia e di Leòn, nella seconda metà del XIII secolo, celebrano in prevalenza (ma non solo) i miracoli della Vergine in lingua gallego-portoghese, la lingua maggiormente scritta nella parte cristiana della Penisola Iberica.

Nell’Italia invece, a detta di Cattin (p. 162), si consuma il “divorzio fra musica e poesia”: nonostante molte siano le produzioni poetiche in provenzale (vedi per esempio Sordello da Goito) o in italiano volgare (scuola siciliana, scuola toscana), non c’è rimasta traccia di musica.

Ma non appena si esce dal dominio delle scuole letterarie e si “scende” verso l’espressione poetica più popolare, legata alle pratiche devozionali o alle feste religiose, il panorama cambia. Proprio la musica diventa occasione dell’incontro fra ambito religioso e ambito profano, e la spinta più determinante per questo incontro è la travolgente diffusione dello spirito francescano e della sua visione della realtà terrena.


Speculum Perfectionis
Capitulum IV ex Caput 100
14 Et postea dixit: “Altissimo, omnipotente bono Signore”, etc., et fecit cantum super hoc, et docuit socios suos ut dicerent et cantarent eum. […]
16 […] ut irent simul cum eo per mundum praedicando et cantando laudes Domini.
17 Dicebat enim quod volebat quod ille qui sciret melius praedicare inter illos prius praedicaret populo, et post praedicationem omnes cantarent simul laudes Domini, tanquam joculatores Domini.
18 Finitis autem laudibus, volebat quod praedicator diceret populo: “Nos sumus joculatores Domini […]
19 Et ait: “Quid enim sunt servi Dei nisi quidam joculatores ejus, qui corda hominum erigere debent et movere ad laetitiam spiritualem?



Le due biografie di Francesco (1182-1226), lo Speculum perfectionis e la Legenda perusina ci raccontano che nel 1224, dopo aver ricevuto le stimmate sul monte della Verna, il Santo scrisse testo e musica di Altissimu, onnipotente bon Signore / tue so le laude, la gloria, et l’onore (I-Af 338 della Biblioteca Comunale di Assisi), più noto come Cantico di frate sole (o Cantico delle creature); purtroppo il manoscritto autografo non ci riporta le note musicali. I frati, una volta imparato l’inno, sarebbero dovuti andare nel mondo con il compito di cantarlo ovunque, dopo la predica, quasi fossero “giullari di Dio”. Perché, argomentava San Francesco, “cos’altro sono i servi di Dio, se non quasi suoi giullari, che debbono levare in alto i cuori degli uomini e muoverli alla letizia spirituale?”.

Non è questo il luogo per approfondire la cifra rivoluzionaria del pensiero francescano. Un fatto, però, vale la pena di sottolineare, anche se in modo veloce: sappiamo che le istituzioni ecclesiastiche in molte occasioni si sono scagliate contro la categoria dei giullari e degli istrioni, rei di usare il proprio corpo per i loro spettacoli, e per questo posti sul gradino più basso della società civile, e contro la stessa produzione teatrale. Francesco non solo persegue l’idea che il frate minor debba sentirsi tale (minor), cioè il più piccolo, l’ultimo degli uomini, ma recupera e ingloba nella sua concezione spirituale la dimensione della rappresentazione, e per questo basti pensare alla sua famosa ricostruzione del “presepe di Greccio”.

Il Cantico delle creature rappresenta una delle prime testimonianze a noi pervenuteci di canti in lingua vernacolare. A quello, idealmente, ci si rifà per datare la nascita della “lauda”.

Il nome laus designava un inno religioso in onore di Dio, della Vergine o anche dell’imperatore o del re (laudes regis). Laudes è anche la seconda preghiera dell’officium, vengono così definiti i salmi 148, 149 e 150, e con laudes venivano anche indicate le farciture esclamative e invocative (una forma di tropatura) inserite nel Gloria.

 

Tra il X e il XII secolo fiorirono in Italia numerose confraternite laiche (chiamate anche scholae) con lo scopo di riunire i suoi partecipanti periodicamente per cantare inni sacri (laudes) e fare penitenza. L’Italia, teatro del sanguinoso scontro fra Impero e Papato, era infatti dilaniata dalle guerre di potere: grazie anche alla diffusione delle idee gioachimitiche, si credeva imminente il ritorno di Cristo e la paura per il giorno del giudizio universale spingeva molti fedeli ad atti pubblici di penitenza.

Questa pratica col passare degli anni si istituzionalizzò, e cominciò a diffondersi specialmente in Toscana, Umbria e nell’Italia centrale (vedi per esempio la Venerabile Arciconfraternita della Misericordia di Firenze, fondata nel 1244 da Pietro Rosini, più noto come S. Pietro da Verona o martire, domenicano, uno dei primi inquisitori, ucciso nel 1252 da sicari eretici catari), in quel vasto moto di manifestazioni religiose innescato dalla diffusione proprio degli ordini mendicanti (minores, francescani e predicatori, domenicani) dopo il 1233, anno del grande moto dell’Alleluia, che investì l’Italia centrale e settentrionale (quella dei Comuni, che cercavano di affrancarsi dai vincoli feudali e dall’autorità imperiale); in sostanza si trattava di rigorosi moralizzatori e attivi pacificatori della vita pubblica e privata, il cui scopo principale era riportare tutti i cittadini, dal più umile contadino alle più alte autorità civili e religiose, in un orizzonte di ortodossia, cioè di riconoscimento della chiesa romana a essere l’unica a poter rappresentare legittimamente la fede in Gesù Cristo da ogni punto di vista, dogmatico, giuridico e morale.

Grazie agli ordini mendicanti la predicazione, vera spina nel fianco per tutta la cristianità medievale per la povertà culturale e la corruzione del clero (pessima taciturnitas la chiamava Pietro il Cantore), nel Duecento ebbe una vigorosa ripresa di quantità e qualità. Il passaggio dal latino al volgare e l’energico invito dei fondatori (Francesco e Domenico) allo studio delle sacre scritture diedero grande impulso alla catechesi del popolo dei fedeli, e ciò giustifica il repentino successo di questi ordini in tutta Europa e la protezione che i pontefici diedero loro, da Innocenzo III (che accettò vivae vocis la proto comunità francescana) in poi. Ida Magli (p. 66) teorizza addirittura che è nella predicazione medievale che vi siano i primi germi di un vero e proprio pubblico, e quindi della teatralità, più ancora che negli uffici liturgici, perché è nella predicazione che si instaura un rapporto completamente nuovo fra chi parla e agisce e chi ascolta. In un’azione rituale-liturgica vi è la mediazione dei sacerdoti, ma il rapporto comunicativo è fra l’insieme clero-fedeli e l’Altro, Dio, ed è improprio parlare di pubblico. Con la predicazione popolare la tensione si sposta su chi parla, il sacro non è più al di là dell’attore, ma si manifesta con l’attore: abbiamo così il formarsi di un vero pubblico.

Fra i predicatori di pace più importanti, oltre a Francesco e Domenico, ricordiamo Giovanni da Vicenza, Fra Giacomo da Reggio, Venturino da Bergamo, Vincenzo Ferrer, Bernardino da Siena e, naturalmente, Antonio da Padova.

Esemplare fu l’inserimento negli statuti comunali delle norme antiereticali, o – di ancor maggior valenza civile – le norme anti-usura volute da Antonio da Padova nel 1231: “su istanza del venerabile fratello il beato Antonio, confessore dell'ordine dei frati minori” il podestà di Padova, Stefano Badoer, stabilì che il debitore insolvente senza colpa, una volta ceduti in contropartita i propri beni, non venisse più imprigionato né esiliato.

È proprio a questo periodo che risale il celebre episodio narrato nella Chronica di Salimbene de Adam da Parma (1221-1288, Chronica, Holder-Egger, Monumenta Germanica Hist., Script. XXXII, p. 71):


Venne dapprima a Parma fra Benedetto, soprannominato fra Cornetta: uomo semplice, senza cultura, innocente e di santa vita […] Portava in capo un cappello all'armena, aveva una barba lunga e nera, e una trombetta di bronzo o di ottone, colla quale suonava. La sua tromba risuonava a volte terribile, a volte dolce. Cinto di una striscia di cuoio, il suo abito era nero come un cilicio e lungo fino ai piedi; il mantello recava dietro e davanti una croce grande e larga e lunga e rossa, che scendeva dal collo ai piedi, come nelle pianete sacerdotali. Questi andava così abbigliato con la sua tromba, e predicava nelle chiese e nelle piazze lodando Dio. Lo seguivano una turba di fanciulli, spesso con rami di alberi e candele accese. […] Incominciava le sue lodi così, dicendo in volgare: “Laudato et benedetto et glorificato sia lo Patre!”; e i fanciulli ad alta voce ripetevano ciò che aveva detto. Poi riprendeva le stesse acclamazioni aggiungendo: “sia lo Fijo!” e i fanciulli ripetevano e cantavano le medesime parole. Poi ripeteva le stesse acclamazioni per la terza volta, aggiungendo: “sia lo Spiritu Sancto!”. E poi “Alleluja, Alleluja, Alleluja!”. Poi suonava e quindi predicava, dicendo cose edificanti a lode di Dio. Infine, al termine della predica, salutava la beata Vergine […]


 

2. LE CONFRATERNITE DEI LAUDESI E DEI DISCIPLINATI

 

Momento decisivo per lo sviluppo del nuovo canto popolare fu la fondazione di quelle confraternite che avevano come scopo principale il canto delle laude, specializzandosi nella loro esecuzione, e per questo dette “dei laudesi”: fra le prime di cui ci è giunta notizia quella fondata nel 1267 dal vescovo Tommaso Fusconi (Cattin, p. 208-209) nella chiesa domenicana di Camporegio, a Siena e dedicata alla beata Maria sempre Vergine e al beato Domenico. La maggior parte delle confraternite laudesi nacque nei conventi degli ordini mendicanti come sviluppo dei Terzi Ordini, espressione laicale di carattere devozionale verso Cristo, la Vergine e i Santi; le istituzioni ecclesiastiche benedirono queste confraternite (anche se d’origine laicale) con l’assegnazione dell’indulgenza episcopale e papale (100 giorni di indulgenza per ogni giorno di ritrovo, ne valeva la pena…) e fornendo i luoghi per le esecuzioni e, col tempo, anche gli apparati scenografici e le macchine dei drammi liturgici.

Le musiche delle laude era basata sullo stile di quello delle chanson de geste, semplici e brevi forme melodiche ripetitive: la narrazione aveva la priorità sulla musica.

La cerimonia (inizialmente nei giorni feriali, alla recita di compieta e al mattino di ogni seconda domenica del mese) era strutturata in un momento di preghiera, letture, il canto della lauda, una breve predica. In sostanza, si potrebbe affermare che la pratica laudese rappresentò una sorta di riappropriazione della partecipazione popolare al culto liturgico, vista la progressiva estraniazione che la liturgia cattolica aveva perseguito nei confronti dei fedeli.

Oltre ai Laudesi, vi era poi la Confraternita dei Disciplinati o dei Flagellanti (anche Battuti o Scopatori), fondata a Perugia dal francescano Raniero Fasani tra il 1259 e il 1260, la cui pratica di cantare durante le processioni autoflagellandosi si estese in molte regioni dell’Italia centrale e poi settentrionale, in Borgogna, in Germania, in Polonia fino ai lontani lidi della Scizia (paesi caucasici), raccogliendo proseliti in tutte le classi sociali, dall’aristocrazia al popolo più indigente. La pratica dell’autoflagellazione esisteva già nell’Alto Medioevo, fra gli asceti, era un’espressione privata della “disciplina”, della penitenza per i propri peccati, ma soprattutto per resistere alle tentazioni della carne. Di questa pratica si fece propagatore Pier Damiani (1007-1072), e sul suo esempio la flagellazione assunse l’aspetto di penitenza “giuridica”. Nel passaggio da gesto privato a gesto pubblico, attraverso le processioni, la flagellazione darà voce a quella esigenza di fare penitenza di cui si parlava poc’anzi. Ma non tutte le autorità cittadine erano ben disposte: Manfredi impedì ai flagellanti l’ingresso nei suoi domini in Puglia e nelle città lombarde a lui devote; i Torriani, signori guelfi di Milano, rizzarono 600 forche in vicinanza delle mura, quando videro avvicinarsi le folle dei flagellanti, quo viso retrocesserunt; e così a Firenze e Ferrara, fino alla condanna della pratica da lì a breve, nel 1261, da parte di papa Alessandro IV. I flagellanti, però, non scomparvero del tutto, e vi furono delle riapparizioni qua e là nel XIV e all’inizio del XV sec. Anche Clemente VI, temendo una svolta ereticale della pratica (si era arrivati a teorizzare la sostituzione dei Sette Sacramenti con la pratica della flagellazione), dovette intervenire con la bolla Inter sollicitudines del 1349.

Salimbene, nella sua Chronica dice che i flagellanti componebant (improvvisavano?) laudes divinas ad honorem Dei et Beatae Virginis, quas cantabant dum, se verberando, incedebant.Il loro repertorio si focalizzava sulle laude della Passione. Un altro cronista, Bartolomeo Scriba, narra nella prima metà del sec. XIII che a Perugia alcuni uomini nudi camminavano in processione flagellandosi, dai più grandi ai più piccoli, cantando:

 

Domina Sancta Maria,
recipite peccatores,
et rogetis Jesum Christum
ut nobis parcere debeat…

 

Non sfugge la forte somiglianza con il testo della Lauda n. 4 di Cortona:

 

Madonna santa Maria
mercè de noi peccatori;
faite prego al dolçe Cristo
ke ne degia perdonare…

 

La melodia può quindi essere ben considerata uno dei punti di contatto fra Laudesi e Disciplinati. Cattin (p. 164) teorizza una netta divisione fra queste due tipologie di fraternite, con due strade distinte, quelle dei Laudesi – che si specializzarono nel canto delle laude – e quelle dei Disciplinati che promossero, agli inizi del XIV sec., lo sviluppo della lauda drammatica. Allegri (p. 204 segg.) è invece più propenso verso una progressiva diversificazione, che col passare del tempo portò molte confraternite di Laudesi a convogliare in quelle dei Disciplinati. Magli (p. 79) afferma che le confraternite dei Disciplinati sono a volte un tutt’uno con quelle dei Laudesi, e che la ritmicità accentuata di certe laude incoraggiava il vigore delle flagellazioni.

È mio parere che il rapporto delle voci costitutivo della lauda volgare stimolò naturalmente lo sviluppo di forme di tipo drammatico, attraverso una diversificazione (non necessariamente una evoluzione) fra lauda “narrativa”, lauda “dialogica” e lauda “drammatica”. Dal canto singolo si passò al canto alterno, e dallo stile “narrativo” si passò al testo “dialogico” distribuito fra vari personaggi. Il solista rivestiva la parte di protagonista, trasformandosi quasi in attore, differenziandosi dal coro che rappresentava in scena il gruppo dei devoti. All’inizio, quindi, la lauda era cantata in occasione delle cerimonie, e in un secondo tempo la riunione dei fedeli fu indetta proprio per recitare o ascoltare la lauda. Così l’esecuzione del componimento si trasformò in spettacolo attraverso la forma di “sermone semidrammmatico”, nel quale un predicatore inseriva episodi drammatizzati, con apparato scenico tratto dal dramma sacro, e cantanti ed esecutori si trasformarono presto in professionisti, un processo che richiese la compilazione di raccolte scritte delle laude (che inizialmente venivano tramandate oralmente da un “insegnante di laude”), raccolte chiamate “laudari”; ce ne sono pervenuti circa 200: a Perugia, Gubbio, Assisi, poi Orvieto, L’Aquila, Roma, ma anche in Liguria e in Emilia.

 

3. I LAUDARI CON NOTAZIONE MUSICALE

 

Fra questi Laudari solo 2 ci forniscono anche la notazione, potendo testimoniare così un altissimo livello qualitativo della musica dei Laudesi:

- il Laudario di Cortona I-Ct 91 (non dimentichiamo che a Cortona vi era una “cella” di San Francesco) del tardo Duecento, appartenuto alla Confraternita di Santa Maria delle Laude presso la chiesa di San Francesco. Le sue 65 laude (46 musicate) furono tratte dal repertorio di area senese, aretina e cortonese. Le prime 16 composizioni sono di soggetto mariano, le altre ricalcano approssimativamente il calendario liturgico: l’Annunciazione, la Natività, l’Adorazione dei Magi, quindi un piccolo panorama della vita del Cristo e l’annuncio delle sue future sofferenze con l’entrata a Gerusalemme, la Passione, la Crocifissione, la Risurrezione.

- il Laudario di Firenze I-Fn BR18, detto “Magliabechiano”, copiato nei primi anni del Trecento per la Compagnia delle Laude di Santo Spirito e poi appartenuto alla Confraternita degli Umiliati d’Ognissanti, contenente 97 laude di cui 88 musicate. Questo laudario è molto più decorato e curato di quello di Cortona, presenta una serie di splendide miniature, e ciò dimostra che lo stile decorativo dei manoscritti non era solo un monopolio delle corti.

Alcune laude appartengono, con piccole e grandi differenze, sia al Laudario di Cortona che a quello di Firenze (Ave donna santissima per esempio).

Era prassi eseguire sulla stessa linea melodica diversi testi di laude (erano chiamate contrafacta); un esempio è la melodia di Altissima luce (del Laudario di Cortona) che nel Laudario di Firenze appare due volte, come Altissima luce (modificata)e col testo di Regina sovrana.

 

Vi sono poi casi opposti, dove il testo è cantato con diverse melodie, ed è il caso di Gloria in cielo che nei due laudari è proposta con linee melodiche differenti.

Non è rimasta purtroppo alcuna fonte musicale delle laude dei Disciplinati; i testi evidenziano un forte tono penitenziale e il desiderio di rivivere le sofferenze di Cristo e dei santi martiri. I contesti rappresentativi erano i funerali e le cerimonie di suffragio, la Settimana Santa (la lavanda dei piedi del Giovedì Santo, per es.), le processioni penitenziali.

 

4. FORMA LETTERARIA

 

Nata in forma lirica di lassa monorima (la lassa è un tipo di strofa, di derivazione francese, laisse, formata da un numero variabile di versi uguali, legati tra loro dalla rima, la sua origine è la poesia giullaresca narrativa) o di strofe di sei versi (ababcc), la lauda adotta presto lo schema metrico della ballata, canzone da ballo anch’essa di tradizione giullaresca quindi profana, con una ripresa (ritornello) corale (come il virelai francese) e strofa (stanza) solistica. Spesso la melodia della stanza riprende la fine della strofa (volta).

Gli endecasillabi misti a settenari sono i versi maggiormente usati nella ballata e le rime possono essere disposte in modo differente con la regola che l'ultimo verso della stanza (volta) faccia rima con l'ultimo verso della ripresa.

Altissima luce col grande splendore, a  
in voi, dolze amore, agiam consolanza. x  
     
Ave, regina, pulzell’amorosa, b  
stella marina ke non stai nascosa b  
luce divina virtù gratiosa, b  
bellezza formosa: di Dio se’ semblanza! x  
     
Templo sacrato, ornato vasello c  
annuntiato da san Gabriello, c  
Cristo è incarnato nel tuo ventre bello, c  
fructo novello cum gran delectanza x  
     

Per questo schema strofico aaax / bbbx / ecc. non è necessario scomodare lo schema arabo-andaluso zagialesco, poiché questo stesso schema si trova già in componimenti mediolatini, come ad esempio la diffusissima sequenza del sec. X “Verbum bonum et suave”; si comprende così la derivazione della lauda dalle esperienze liturgiche o paraliturgiche mediolatine. Comunque sono presenti anche laude dalla forma innodica, senza ripetizione di segmenti melodici (forma ABCD).

Verbum bonum et suave,
personemus illud ave,
per quod Christi fit conclave,
Virgo mater filia.

Per quod ave salutata
mox concepit fecundata
Virgo David stirpe nata,
inter spinas lilia.

[etc.]

Fu proprio l’adozione di questi metri, molto conosciuti e alla quale l’orecchio della gente era abituato, a determinare la grande fortuna della lauda. Sostituendo i dialoghi amorosi con quelli evangelici o sacri il gioco era fatto.

Il responsabile di questo fortunato trapianto fu forse Guittone d’Arezzo (Arezzo 1235 - Bologna 1294), poeta e religioso dell’Ordine dei Frati della Beata Gloriosa Vergine Maria (cosiddetti “frati gaudenti”), o forse Jacopone da Todi (1236-1306) autore di 92 laude spirituali, o forse ancora un certo Garzo (1165-1269, così si firma negli stessi testi di Altissima luce, Ave vergine gaudente, Spirito santo glorioso, Amor dolze senza pare – dal Laudario di Cortona, e Del dolcissimo Signore, San Giovanni amoroso, Geso Cristo redentore, Ave Donna santissima, Santa Chiara sia laudata), che per Fernando Liuzzi (di cui si parlerà poi) si identifica in ser Garzo dell’Incisa, bisavolo di Francesco Petrarca, tesi che indagini più recenti tendono a rigettare per questione di stile e datazione. O forse ancora, e io propendo per questa ipotesi, come spesso succede in queste situazioni, non c’è un solo responsabile. In generale, infatti, l’autore dei testi e delle musiche rimane anonimo. La qualità letteraria dei testi varia: D’Ancona (p.134 segg.) è abbastanza categorico nel definire la lauda “disadorna”:


[…] ai più dotti compositori dei drammi liturgici soccorrevano in copia cantici ed inni da intarsiare ne’ sacri testi del rito, e frasi e parole apprese nello studio de’ classici pagani e cristiani: laddove i poveri flagellanti umbri non altro vocabolario avevano, se non quello rozzo e dispetto che loro suonava sul labbro, e che allora soltanto cominciava a ridursi in scritto.


Ma D’Ancona inserisce questo giudizio in una più vasta considerazione sulla produzione volgare mediolatina:


[…] generalmente parlando, la poesia volgare non altro mai è, se non rozza parafrasi della sequenza latina.


 

5. LA MUSICA DELLE LAUDE

 

La condotta melodica delle laude, come risulta dai due laudari superstiti, appare diversa, meno elegante delle altre produzioni coeve francesi, germaniche e spagnole. La lauda sembra avere una connotazione tutta italiana; lo stile è semplice, popolare, anche nelle melodie più melismatiche, e questo la apre alla pratica dell’improvvisazione. L’analisi dei due laudari evidenzia che chi li ha scritti non era un grande esperto né di poesia né di musica, denunciando ancora una forte dipendenza dalla pratica orale della musica. Molti errori sono presenti, sia sul testo che sulla musica. Va precisato che la notazione delle melodie monodiche medievali non sono, in genere, notazioni “di scuola”, non rispecchiano cioè le consuetudini di un particolare centro scrittorio (scriptorium) con le sue convenzioni semiografiche. Anzi, i copisti dei due laudari avevano evidentemente una certa indifferenza per le regole, le distinzioni e le precisazioni delle prassi di copiatura musicale “colte”.

In entrambi i laudari la notazione musicale è quadrata, tipica della musica liturgica. Incontriamo i tipici segni della cosiddetta scrittura “corale romana” o “corale italica”:

 

Ecco il manoscritto di Altissima luce (Cortona, n. 8), possiamo vedere anche l’uso della chiave di Fa (ma nei laudari è usata anche quella di Do) e del custos.

 

 

Il sistema prevede di regola quattro righe, ma sono utilizzati anche sistemi da due o tre righe. Le due chiavi si possono alternare anche nella stessa melodia, per evitare categoricamente che le note possano uscire dal sistema di righe e sovrapporsi al testo.

Come mai, in pieno sviluppo della polifonia, le laude sono monodiche e non polifoniche? Molto probabilmente a causa della riluttanza dei compositori trecenteschi verso l’uso della tecnica polifonica – fino ad allora praticata nella musica religiosa – in un genere lirico e dalla tematica sostanzialmente amorosa com’era la ballata monodica. Il testo aveva insomma ancora la supremazia sulla musica. La lauda, poi, era nata nell’ambiente delle confraternite, che annoveravano sì chierici ed erano ospitate nelle chiese, ma la polifonia richiedeva l’opera di cantori versati nella lettura della notazione mensurale, e di simili specialisti – all’epoca – si poteva disporre solo in ambienti religiosi altolocati o signorili. Inoltre, come abbiamo detto, la lauda era l’espressione di una decisa riappropriazione del culto religioso da parte delle forze laicali quand’anche popolari.

Comunque è probabile che l’esecuzione della lauda fosse arricchita dall’ison, o bordone vocale. Il concetto appare per la prima volta nel Micrologus di Guido D’Arezzo, per il quale l’ison era una sorta di organum. Egli ci ricorda che tale pratica era comune a Roma e non essendo considerata una forma di polifonia, era naturalmente assimilata alla monodia.

Il primo trascrittore di laude in epoca moderna fu Fernando Liuzzi, che ebbe il merito di riproporre il repertorio laudistico coniugando ricerca storiografica a grande sensibilità poetico-musicale. Nel 1935 pubblicò La lauda e i primordi della melodia italiana, due lussuosi volumi che oltre a un apparato storico-critico, riproducono i facsimili dei due laudari e le tracrizioni di tutte le laude ivi contenute. Questa pubblicazione diede la possibilità al mondo musicale e musicologico di riscoprire il patrimonio laudistico, anche se non tutti condivisero i criteri di trascrizione di Liuzzi, soprattutto per ciò che riguarda l’interpretazione dei valori ritmici, vera croce degli studiosi che affrontano il repertorio monodico su poesie volgari del Duecento; la loro notazione musicale, infatti, è precisa nell’indicazione dell’altezza delle note, ma non altrettanto per la loro durata assoluta e relativa. Liuzzi, pur constatando che la grafia delle note delle laude offrisse molte somiglianze con quelle della notazione musicale mensurale, si allineò con quei musicologi (Kiesewetter, 1838) che ritenevano le norme mensurali destinate alla musica polifonica, e non a quella monodica. Per quest’ultima, Liuzzi sposa la linea per cui a un segno musicale non dovesse corrispondere un valore fisso e uniforme, bensì regolato sui tempi delle sillabe secondo il metro poetico. Questo non significava mancanza di valori ritmici precisi, ma solo indipendenza dalle durate e dalle proporzioni del mensuralismo; e, nel pensiero di Liuzzi, indipendenza anche dai sei modi ritmici derivati dai piedi classici, utilizzati per le melodie di trovatori e trovieri, troppo rigidi nell’impostazione perfecta (ternaria), e dannosi per l’accentuazione naturale del testo. Per Liuzzi il ritmo della lauda deriva dal metro poetico col contributo del ritmo orchestico (il fraseggio puro della melodia). Risulta evidente, in questa impostazione, l’influsso del Vierhebigkeit che Riemann utilizzò per la trascrizione delle melodie trobadoriche.

Di cosa si trattava? In sostanza, si dà per scontato e condiviso il principio che il verso poetico debba condizionare la melodia, la quale a sua volta rafforzerà lo schema metrico del testo; si assumerà la sillaba accentata come unità di tempo, alla quale si adegueranno, in un certo senso saranno “schiacciati”, i valori dei gruppi delle sillabe non accentate.

Qui di seguito, a titolo di veloce esemplificazione, propongo la ricostruzione del ritornello di Laude novella sia cantata (Cortona, n. 2). Ecco l’originale:

 

 

Ed ecco la trascrizione “diplomatica”:

A questo stadio inseriamo gli accenti musicali in corrispondenza di quelli testuali:

Liuzzi, nella sua trascrizione, ha accorpato le note rimanenti non accentate, scegliendo come ritmo base un tempo quaternario, ritenendolo il più usato nel Duecento nelle forme monodiche in volgare:

Come si può vedere alcune sillabe, come “no” di “novella”, essendo non accentata e in levare rispetto all’accento della parola di appartenenza, è stata “accorpata” alle due note precedenti. Stessa sorte ad altre sillabe in levare: “a” (ultima nota della prima riga), “en-” di encoronata. L’attribuzione delle durate alle sillabe rimanenti dipende dalla scelta di rimanere su una struttura di 4 battute. Ecco la versione finale di Liuzzi (sul bemolle in chiave se ne parlerà in altra sede):

La scelta di usare le terzine, poi, è puramente estetica, per rendere il canto più dolce e meno rigido. Viceversa avrebbe potuto essere:


che è poi la versione che abbiamo scelto di usare nel Kalòs, per la sensazione di festosa danza che trasuda da quelle specie di acciaccature in battere.

Il sistema di Liuzzi (ripreso, con diversi esiti, anche da Luigi Lucchi e Raffaello Monterosso) non convince sempre, soprattutto perché a volte si sarebbe costretti a ridurre un melisma di molte note (anche sette) in una sola unità di tempo. Teniamo inoltre presente che Liuzzi trascrive in musica solo la prima strofa (come fa il manoscritto stesso) e lascia all’esecutore l’arduo compito di far quadrare lo schema ritmico musicale della prima strofa ai versi delle altre, anche in presenza di versi ipermetrici o ipometrici.

Partendo da queste osservazioni, il musicologo spagnolo Higinio Anglés osservò che il criterio del Vierhebigkeit, se poteva funzionare con melodie sillabiche, non poteva essere applicato alle laude quando queste sono melismatiche, e propone così un’interpretazione ritmica “mensurale”, in stretta dipendenza della stessa notazione e senza schemi ritmici prestabiliti (né modi ritmici né Vierhebigkeit): la scelta del ritmo, binario o ternario, dipende dalle cicostanze e può cambiare anche all’interno della stassa lauda; quindi si applicheranno le uguaglianze segno-valore ritmico qui esposte:

 

Nel caso di Laude novella si giunge a questa versione del ritornello (che io trovo francamente discutibile, perché poco rispettosa dell’accentazione del testo; cionondimeno, altre interpretazioni in chiave mensurale sono più felici):

 

 

Infine, Dom Pellegrino Ernetti e Clemente Terni proposero la lettura isocronica: le singole note sono tutte uguali ed equivalenti a un tempo base. Qui di seguito la lettura di Ernetti.

L’altra questione su cui si sono accaniti gli studiosi delle laude è relativa all’uso delle alterazioni. Sembrerebbe che la lauda duecentesca affondi le sue radici mell’humus dei modi liturgici – soprattutto il protus autentico e plagale (finalis re), il tritus autentico e plagale(finalis fa) e il tetrardus autentico e plagale (finalis sol); tende a scomparire il deuterus (finalis mi). Ma, secondo Liuzzi, la tendenza verso la naturale cristallizzazione nei modi maggiore e minore proietta la lauda verso la tonalizzazione. In altre parole, non vi era bisogno di segnalare il bemolle o il diesis, perché era prassi eseguirli “d’istinto”. È un po’ come per noi oggi, che spesso percepiamo la tonalità di un brano dalle sue prime note, senza neanche controllare l’impostazione di chiave. Come Liuzzi la pensavano J.A. Westrup e Lucchi, che suggeriscono il bemolle fra parentesi quadre in chiave o sopra la nota in corpo minore.

Altri, Anglés, ma anche Ernetti, rispettano fedelemente la lezione del manoscritto, adducendo la tesi che il copista, quando voleva l’alterazione, la metteva.

A completamento della veloce panoramica sul quadro editoriale, Martin Dürrer, nel 1988 ha proposto un’edizione semidiplomatica, segnalando in grigio i passi non originali, ritrascritti, cioè, nel XVII secolo, in fase di restauro del manoscritto.

Marco Gozzi, dell'Università di Trento, partendo da qesta varietà di chiavi di lettura e dalla necessità di emendare le edizioni dei molti errori di trascrizione tramandati dalle prime pubblicazioni, auspica una nuova edizione critica delle laude, ma di questo ne parleremo nella parte dedicata ai singoli brani, sui quali Gozzi ha molto da dire e da proporre.

 

6. GLI STRUMENTI

 

I Laudari non riportano alcuna indicazione di accompagnamento strumentale. Ma, viste le innumerevoli testimonianze iconografiche e letterarie sull’uso degli strumenti nella pratica musicale dell’epoca, non si vede come si possa teorizzare che la lauda fosse aliena dall’accompagnamento strumentale. Se il passo citato poc’anzi dalla Chronica di Salimbene non è significativo in tal senso, molto di più parlano i libri paga delle Confraternite dei Laudesi del XIV sec., dove compaiono cantanti professionisti al pari di strumentisti. Lo strumento più citato in questi documenti è la viella, poi viene l’organo, la ribeca e il liuto (Confraternite fiorentine di Orsanmichele e di Santa Croce), ma a volte vengono stipendiati anche i pifferi che lavorano per il Comune. In un documento del 1388 della Confraternita di Orsanmichele si legge:


I pifferi e i sonatores del detto Comune con le loro trombe, campane e strumenti sono obbligati a presentarsi al detto Oratorio in ogni giorno festivo solenne, la vigilia solenne della Vergine Maria, i pascali e oltre a ciò ogni domenica mattina per suonare devotamente e solennemente rendendo mactinata, mentre l’immagine della graziosa Madre di Dio viene scoperta dal velo che la copre.
(La Reverdie, p. 30)


Possiamo addirittura dedurre che fra le varie confraternite vi fosse una sorta di gara ad accalappiarsi i migliori strumentisti. Questi potevano anche essere impiegati per preludi o interludi alle laude, oltre che per accompagnare il canto stesso.

Interessante è il dato che, nel XV sec., quando cominciò a diffondersi la lauda polifonica, l’uso di assoldare strumentisti andò scemando.

 

7. I TEMI DELLE LAUDE

 

Le laude, sia quelle liriche che quelle drammatiche, prendono spunto dai cicli della Natività, della Passione (v. la Lauda della Passione, nel Laudario di Perugia, in cui compaiono personaggi come Pilato, il Centurione o i soldati che si spartiscono la veste del Cristo), della Resurrezione, la devozione a Maria vergine; alcune laude narrano fatti evangelici (la Decollazione di San Giovanni, per esempio) o la vita dei Santi (per queste i testi erano tratti spesso dalla Legenda aurea di Jacobus de Voragine, 1260 ca, si veda il ciclo dei santi del laudario di Cortona, Sia laudato San Francesco, San Iovanni al mondo è nato, la lunghissima Ciascun ke fede sente dedicata a Sant’Antonio, o Magdalena degna de laudare che tratta dettagliatamente tutto l’arco della vita di Maddalena, dalla sua conversione al ritrovamento del corpo a Verdelai);altre ancora si avvicinano alle Moralità francesi o inglesi, portando in scena personaggi allegorici, come il Vivo e il Morto (Laudario Aquilano), i Sette Peccati Mortali (Laudario dei Disciplinati di Orvieto).

Il tono dei testi è molto distante dalla consueta essenzialità della narrazione delle sacre scritture; qui il contesto emotivo ed espressivo dei personaggi è intensamente vissuto. Soprattutto, con la Madonna “entra nel dramma l’umanità” (Allegri, 203), non solo l’umanità nella sua accezione di collettività, ma anche e soprattutto il sentimento del singolo fedele che si immedesima con l’umanità di Cristo, schiacciata e offesa. La partecipazione e la devozione individuali sono sollecitate dagli stessi personaggi, la Madonna, Cristo, San Giovanni; il poeta stesso, a volte, esorta il fedele a pentirsi o a considerare la sofferenza del Cristo:

 

Ben è crudele e spietoso
ki non si move a gran dolore
de la pena del Salvatore.

 

La devozione dei fedeli e la realizzazione della lauda si alimentano a vicenda in un circolo virtuoso. La Chiesa, che detiene saldamente le redini di questo processo, lo utilizzerà per i suoi scopi catechetici ed educativi.

Ma facciamo un passo indietro. La Passione di Montecassino, della metà del sec. XII, il cui testo è nella maggior parte in latino, termina con tre versi in volgare della Madonna:

 

[…] te portai nillu meu ventre
Quando te bejo [mo]ro presente
Nillu teu regnu agi me a mmente.

 

Allegri (p. 203), nell’evidenziare il forte impatto emotivo di questi tre versi – importanti soprattutto per la gestualità tutta teatrale indicata dalla didascalia (cum ingenti clamore, quasi ostendes ei ventrem in quo Christum portavit) – giustamente segnala la connessione con una lauda di circa un secolo successivo, il Pianto della Madonna de la passione del figliolo Jesù Cristo (più nota con l’incipit Donna del Paradiso, lauda XCIII) di Jacopone da Todi, scritta dopo il 1270. D’Ancona, a sua volta, fa risalire l’ispirazione di Jacopone al Planctus Mariae (che si credeva di San Bonaventura); il letterato, infatti, compiendo comparazioni fra i testi di alcuni drammi liturgici e quelli delle laude con analogo contenuto, teorizzava che essi derivassero direttamente – senza l’intermediazione dei drammi – dai testi evangelici, con la grande interpolazione, semmai, della produzione letteraria dei padri della Chiesa e degli asceti, molto diffusi tra il popolo. Bastino come esempio le forti analogie riscontrate nelle Cento Meditazioni sulla vita di Gesù Cristo di San Bonaventura e certe laude drammatiche su L’Annunziazione, La Circoncisione, La Presentazione al Tempio, La Disputa, Le Nozze di Cana, La Passione ecc.

 

Donna del Paradiso è una delle poche laude interamente dialogate, e per questo è considerata il primo antichissimo germe di quella che sarà la lauda drammatica. Il lamento della Madonna è straziante: l’insistenza sulla parola “figlio”, e anche sulla parola “mamma” da parte di Cristo ci rivelano un rapporto carnale autentico, con cui Jacopone apre uno squarcio originale sulla Passione. La Vergine madre diventa così protagonista della Passione del Figlio; è tramite i suoi occhi e i suoi sentimenti che assistiamo alla crocefissione.

Purtroppo non ne abbiamo la musica notata, ma vi sono tre laude, due appartenenti al Laudario di Cortona, De la crudel morte del Cristo e Onne homo ad alta voce, e una al Laudario di Firenze, Voi ch’amate lo Criatore, che trattano con la stessa intensità espressiva il medesimo soggetto, e di cui – come ormai è noto – abbiamo anche la musica. Alcune stanze di Onne homo presentano significative analogie con il testo di Donna del Paradiso. Il dislivello poetico è evidente, ma l’intensità espressiva del canto è molto coinvolgente. In Jacopone la teatralità è ancor di più messa in luce dalla mancanza del narratore, che invece è presente nella lauda cortonese, infatti i personaggi sono indicati a mo’ di copione. Questo fatto ci fa capire che la lauda di Jacopone doveva essere necessariamente rappresentata da più personaggi.

 

Onne homo ad alta voce
laudi la verace croce!

La sua madre cum dolore
kiama e dice “Dolze amore,
öimé, fillio e signore,
perké fosti posto in cruce?”

La sua madre dice: “O fillio
aulorito più ke gillio,
perké fo questo consillio
ke morisse nella croce?”

Dice Cristo: “O madre mia,
quest’è l’obedienza mia,
ke se compia in questa dia
k’ io moia nella croce.”

 

Da Donna del Paradiso

[Madonna]

O figlio, figlio, figlio! 40
figlio, amoroso giglio,
figlio, chi dà consiglio
al cor mio angustiato?

[...]

 

[Madonna]
Figlio, che m'agio anvito, 88
figlio, patre e marito,
figlio, chi t'ha ferito?
figlio, chi t'ha spogliato?

 

[Cristo]
Mamma, perché te lagni? 92
voglio che tu remagni,
che serve i miei compagni
ch'al mondo agio acquistato.

 

Il personaggio della Vergine, nelle laude, è trattato anche in funzione della battaglia contro l’eresia catara che negava l’Incarnazione di Gesù (vedi per esempioMadonna sancta Maria / che n’ài mostrata la via, / or escacia ogne resia, / receve ki vol tornare).

La Madonna è ovviamente il personaggio su cui si concentrano le laude composte per tutte le festività mariane del calendario liturgico: Annunciazione, Natività, Ascensione, Assunzione.

L’Annunciazione era una celebrazione per la quale era previsto il personaggio dell’Angelo e, come sappiamo, questa fu una figura fra le prime ad entrare nei drammi liturgici con tutta la sua forza rappresentativa, spesso un bambino appeso a dei fili che nei ludus pasquali intonava il “Quem quaeritis?”. Si vedano i due libri processionali della Biblioteca Capitolare di Padova, codici 55 e 56, redatti intorno al 1300, dove viene – fra l’altro – dettagliatamente riportato l’ufficio drammatico dell’Annunciazione del 25 marzo (Cattin, p. 199), o la cerimonia fiorentina del 1429 nella chiesa dell’Annunziata, molto nota per la cronaca dettagliata, dove si prevede che Gabriele voli per la chiesa. Ma qui siamo già nel terreno delle sacre rappresentazioni gestite dalle confraternite di laici nel sec. XV.

Nel Laudario di Cortona v’è la lauda dell’Annunciazione (n. 7), Da ciel venne messo novello la cui narrazione segue pedissequamente quella evangelica (Luca, 1, 26-37):

 

Dal ciel venne messo novello,
ciò fo l’ angel Gabriello.

Nella città di Galilea
ch’è chiamata Nazarèth,
là u’ la vergene nacque et stette.
Sponsata era a Iosephe

L’angel fo messo da Dio,
ben comenzò et ben finio:
saviamente, senza rio,
annuntiò lo suo libello:

“Ave Maria, gratia plena”
Dio ti salvi, stella serena!
Dio è con teco che ti mena
enn-el paradiso bello.

Fra le femene se’ benedecta
più ke null’altra ke sia decta:
Spirtu sancto sì t’ à electa
per la melior, senza ribello.

Del tuo ventre uscirà tal fructo,
ke salvirà lo mondo tutto,
unde ‘l diavolo avirà corocto,
sì parrà grande ‘l flagello.”

La donna fo tutta turbata
la raina incoronata
et dieisi gran mirata
di quel ke disse Gabriello.

“Come fie quel che tu ài decto?
Nol credo a torto né a dritto,
e ben ne posso far disdetto:
non cognosco hom, vecchio né fancello.”

L’angel disse “Non temere,
tu se’ a Dio sì a piacere,
altra madre non vole avere
se non voi, con k’io favello.

Filiol di l’Altissimo fie chiamato,
Iesù Cristo in oni lato:
per lui fi’ ‘l mondo salvato
et tracto de le man del fello.

Tu se’ regina et elli è reie;
virgo Maria, credi a meie:
non avrà fine, il dico a teie
lo so regno altissimo e bello.

Elysabèth tua cognata
in sua vekieza è ‘ngravidata:
non è impossibile cosa nata
fare al re Manuello.”

Respose la kiara stella:
“Io son qui ke so’ su’ ancella,
sia secundo la sua favella:
cusì mi chiamo et apello!”

Questa donna intercedente
agia merzé de la gente!
Pregi ‘l padre omnipotente
ke possamo essare con ello.

26 Nel sesto mese, l'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret, 27 a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. 28 Entrando da lei, disse: «Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te». 29 A queste parole ella rimase turbata e si domandava che senso avesse un tale saluto. 30 L'angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. 31 Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. 32 Sarà grande e chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre 33 e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine». 34 Allora Maria disse all'angelo: «Come è possibile? Non conosco uomo». 35 Le rispose l'angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio. 36 Vedi: anche Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia, ha concepito un figlio e questo è il sesto mese per lei, che tutti dicevano sterile: 37 nulla è impossibile a Dio». 38 Allora Maria disse: «Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto». E l'angelo partì da lei.

 

La festa dell’Epifania, con l’arrivo dei tre Magi e il loro dialogo con Erode, è cantata nella lauda Stella nuova ‘n fra la gente (Laudario di Cortona, n. 21). Nella sua versione molto stringata narra dei tre Magi e del loro dialogo con Erode (Matteo, 2, 1-12).

Stella nuova ‘n fra la gente
k’aparuisti novamente!

Stella k’aparuisti al mundo
quando nacque ‘l re iocondo,
stett’en mezzo a tutto ‘l mondo
per aluminar la gente.

Le tre Magi l’abber veduto,
tosto l’ebber cognosciuto;
diser: “Nat’è lo saluto,
Dio padre omnipotente.”

Ciaschedun col suo reame
sì lo prese a seguitare
co’rricc’offert’e da laudare,
la qual fo molt’avenente.

Da la stella se cansaro,
ritt’arr’Erode capitaro,
tai novelle li portaro
k’el fecer molto dolente.

Dissar: “Nat’è re benigno,
quei k’è ‘mperio d’ogne regno:
en ciel n’è apparito ‘n segno
k’ell’è nato veramente.”

El re fo, molt’adirato,
colli savi contastato:
“Da voi me sia tosto ‘insegnato
la ‘ve pote star nasente.”

Puosen mente in una via
et in una profetia:
vider ke ‘n Beleèm nascea
quei k’alumina la gente.

1 Gesù nacque a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode. Alcuni Magi giunsero da oriente a Gerusalemme e domandavano: 2 «Dov'è il re dei Giudei che è nato? Abbiamo visto sorgere la sua stella, e siamo venuti per adorarlo». 3 All'udire queste parole, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. 4 Riuniti tutti i sommi sacerdoti e gli scribi del popolo, s'informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Messia. 5 Gli risposero: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta: 6 E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero il più piccolo capoluogo di Giuda: da te uscirà infatti un capo che pascerà il mio popolo, Israele». 7 Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire con esattezza da loro il tempo in cui era apparsa la stella 8 e li inviò a Betlemme esortandoli: «Andate e informatevi accuratamente del bambino e, quando l'avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch'io venga ad adorarlo». 9 Udite le parole del re, essi partirono. Ed ecco la stella, che avevano visto nel suo sorgere, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. 10 Al vedere la stella, essi provarono una grandissima gioia. 11 Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, e prostratisi lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. 12 Avvertiti poi in sogno di non tornare da Erode, per un'altra strada fecero ritorno al loro paese.

Da notare che nella lauda Erode prima è “dolente” (in Matteo è “turbato”), poi sarà “adirato” e avrà addirittura un alterco con i Magi (El re fo, molt’adirato, / colli savi contastato), cosa di cui non v’è traccia nel Vangelo. Questo forse ci può far pensare che l’autore della lauda si sia rifatto in qualche modo a uno dei molti Ordo Stellae (Officium stellae ecc., Allegri, 173-179) dove la figura di Erode è caratterizzata dall’ira e dal furore (per esempio Montpellier, sec. XII, Padova e Fleury, sec. XIII) che sfoceranno nella successiva “strage degli innocenti”.

 

Caso rilevante è la Lauda del venerdì santo (Laudari di Gubbio e Assisi) fatta di rimandi espliciti fra testo e decorazione pittorica degli ambienti nei quali essa veniva rappresentata. Quando i fedeli intonavano la quartina qui riportata, nell’Oratorio di San Rufinuccio ad Assisi avevano davvero davanti un affresco della crocefissione, e così per gli altri episodi della Passione (ora gli affreschi, probabilmente di Puccio Capanna, XIII sec., sono presso il Museo del Duomo).

 

Levate gli occhi e resguardate
morto è Cristo oggi per noie,
le mani e i piedi en croce chiavate
aperto el lato, o tristi noie.

 

In una Lauda della Natività senese è palese l’ottica fortemente spettacolarizzata, visto che sono previste dalle stesse didascalie scene di danza (gli Angeli al canto del Gloria, o i Pastori che dopo aver adorato il bambino, se ne vanno ballando e saltando), in contrasto, quindi, con quanto per lungo tempo teorizzato dalla Chiesa e dai suoi Padri sull’uso di attori e danzatori durante le funzioni sacre. Evidentemente le parole di Bonaventura da Bagnoregio, siamo a metà del XIII sec., furono raccolte dagli organizzatori dello spettacolo (Allegri, p. 67). Sarebbe stato per noi molto utile che il Santo, oltre alle “quattro cause” indicate, ne avesse aggiunta un’altra per il “luogo”:


[…] lo spettacolo di danza non è cattivo in sé […] ma diviene cattivo per quattro cause, cioè il modo, quando è un modo lascivo; per il fine, quando è per provocare libidine; per il tempo, perché non sia in tempo di tristezza [in Quaresima, per es.]; per la persona, perché non venga fatto da un religioso. Al di à di ciò è ammissibile.


Così, con il passare del tempo, è sempre più attraverso la visività spettacolare, e non più per la componente letteraria, che la devozione religiosa lascerà il campo al teatro.

Come si diceva, i soggetti delle laude sono i fatti evangelici, le vite dei santi, ma anche la mortificazione della carne, la penitenza e la carità, la critica politica verso la corruzione della chiesa. Anche su questi argomenti spicca la figura di Jacopone da Todi. A lui sono state attribuiti i testi di due laude che fanno parte del Laudario di Cortona (Troppo perde ‘l tempo e Oi me lasso è freddo lo mio core) e cinque del Laudario di Firenze (Lamento mi et sospiro, Tutor dicendo, O Cristo ‘nipotente, Dolce vergene Maria e Vergen pulzella per mercè). Jacopone venne inoltre frequentemente saccheggiato nei “sermoni semidrammatici”, e le sue laude entrarono a forza nel dominio della teatralità. Il mito di Jacopone autore anche della musica è, però, del tutto infondato.

Egli compose anche una lauda in stile “narrativo” intitolata De la gran battaglia dell’Anticristo.

 

Or se parrà chi averà fidanza!
la tribulanza ch'è profetizata,
da onne lato vegiola tonare.

La luna è scura, el sole obtenebrato,
le stelle del cielo vegio cadere;
l'antiquo serpente pare scapolato,
tutto lo mondo vegio lui sequire;
l'acque s'ha bevute da onne lato,
fiume Giordan se spera d'enghiuttire,
lo popolo de Cristo devorare.

Lo sole è Cristo, che non fa mo segna
per fortificare li soi servente:
miracoli non vedemo che sostegna
la fidelitate nella gente;
question ne fa gente malegna,
obproprio ne dicon malamente,
rendendo lor ragion nogl potem trare.

La luna sì è la ecclesia scurata,
la qual la notte al mondo relucìa,
papa e cardenal con lor guidata:
la luce è tornata en tenebrìa;
la universitate clericata
è encorsata e pres'ha mala via;
o sire Dio, chi porrà scampare?

Le stelle che del cielo son cadute,
la universitate reliosa,
molte de la via si son partute,
entrate per la via pericolosa;
l'acque del diluvio son salute,
coperti i monti, sommerso onne cosa;
aiuta, Dio, aiuta lo notare!

[…]

 

Tutta la gente vegio ch’è signata
del caratte de l'antiquo serpente;
ed en tre parte l' hane divisata:
chi campa d'uno, l'altro el fa dolente;
l'avarizia nello campo è entrata,
fatt' ha sconfitta e morta molta gente,
e pochi son che vogliano restare.

Se alcun ne campa d'esta enfronta,
metteglie lo dardo del sapere:
enfia la scienzia en alto monta,
vilipende gli altri e sé tenere;
a l'altra gente le peccata conta,
li suoi porta drieto a non vedere:
voglion dir molto e niente fare.

Quigli pochi che ne son campati
de questi doi legami dolorosi.
en altro laccio sì gli ha 'ncatenati:
de fare signi sì son desiosi,
far miracoli, render senetati,
de rapti e profezie son golosi;
se alcun ne campa, sì pò Dio laudare.

Àrmate, omo, ché se passa l'ora
che possi campare di questa morte:
ché nulla ne fo ancora sì dura
né altra ne sarà giamai sì forte;
gli santi n'àber molto gran paura
de venir a prender queste scorte;
d'essere securo stolto me pare.

 

Parafrasi:

Ora si vedrà chi avrà fede!
La tribolazione che è stata profetizzata
vedo tornare da ogni parte.

La luna è scura, il sole è ottenebrato,
vedo le stelle del cielo cadere;
l’antico serpente sembra liberato
vedo tutto il mondo seguirlo:
si è bevuto le acque da ogni lato,
vuole inghiottire il fiume Giordano,
e di divorare il popolo di Cristo.

Cristo è il sole, che ora non dà più segni
per dar forza ai suoi seguaci:
non vediamo miracoli che sostengano
la fede della gente;
i maligni ne fanno una questione,
ne dicono malamente ogni infamia
è difficile non da loro ragione.

Così la luna è la chiesa oscurata,
che riflette la notte al mondo,
con la guida del papa e dei cardinali
la luce si è mutata in tenebre;
tutto il clero
si è messo a correre sulla cattiva strada:
Signore Dio, chi potrà scampare?

Le stelle cadute dal cielo
sono tutta l’umanità religiosa
che si è allontanata dalla via (retta)
per entrare in quella pericolosa;
le acque del diluvio sono salite,
hanno coperto i monti e sommerso ogni cosa,
aiutaci o Dio, aiutaci a nuotare!

[…]

Vedo che tutta la gente è segnata
con la lettera dell’antico serpente;
ed è stata divisa in tre parti:
chi sfugge al primo dardo è colpito da un altro;
l’avarizia è entrata nella Chiesa
e ha sconfitto e ucciso molta gente,
e sono pochi quelli che si salvano.

Se uno si salva da questo primo dardo,
gli scaglia il dardo del “sapere”:
la scienza monta in alto,
insulta gli altri e salva se stessa;
conta i peccati agli altri
mentre nasconde i propri:
parlano molto, ma non fanno niente.

Quei pochi che si sono salvati
da questi due vincoli dolorosi (avarizia e sapere)
in un altro laccio sono impigliati:
sono così desiderosi di dare segni,
di far miracoli, di dare la salvezza,
sono golosi di profezie e di rapine;
se qualcuno è sopravvissuto, si può lodare Dio.

Armati, o uomo, perché passi questa ora
e che tu possa scampare alla morte,
perché nessuna sarà più dura
né altra sarà più forte;
I Santi ne hanno gran paura
di essere presi in questi gruppi,
mi pare stolto sentirsi sicuri.

 

Le immagini della luna oscurata, il sole ottenebrato, le stelle che cadono dal cielo sono tutte tratte dalla Bibbia:

  • Giobbe 25,5: Ecco, la luna stessa manca di chiarore e le stelle non sono pure ai suoi occhi:
  • Salmi 71,7: Nei suoi giorni fiorirà la giustizia / e abbonderà la pace, / finché non si spenga la luna.
  • Isaia 13,10: Poiché le stelle del cielo e la costellazione di Orione non daranno più la loro luce; il sole si oscurerà al suo sorgere e la luna non diffonderà la sua luce.
  • Gioele 2,10: Davanti a loro la terra trema, / il cielo si scuote, / il sole, la luna si oscurano / e le stelle cessano di brillare.
  • Gioele 3,4: Il sole si cambierà in tenebre / e la luna in sangue, / prima che venga il giorno del Signore, / grande e terribile.
  • Matteo 24,29: Subito dopo la tribolazione di quei giorni, il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, gli astri cadranno dal cielo e le potenze dei cieli saranno sconvolte.
  • Marco 13,24: In quei giorni, dopo quella tribolazione, il sole si oscurerà e la luna non darà più il suo splendore
  • Luca 21,25: Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti.
  • Atti 2,20: Il sole si muterà in tenebra e la luna in sangue, prima che giunga il giorno del Signore, giorno grande e splendido.
  • Apocalisse 6,13: le stelle del cielo si abbatterono sopra la terra, come quando un fico, sbattuto dalla bufera, lascia cadere i fichi immaturi.
  • Apocalisse 12,4: la sua coda (del drago) trascinava giù un terzo delle stelle del cielo e le precipitava sulla terra. Il drago si pose davanti alla donna che stava per partorire per divorare il bambino appena nato.
  • Apocalisse 12,7: Scoppiò quindi una guerra nel cielo: Michele e i suoi angeli combattevano contro il drago. Il drago combatteva insieme con i suoi angeli…
  • Apocalisse 12,9: Il grande drago, il serpente antico, colui che chiamiamo il diavolo e satana e che seduce tutta la terra, fu precipitato sulla terra e con lui furono precipitati anche i suoi angeli.
  • Apocalisse 13,4: e gli uomini adorarono il drago perché aveva dato il potere alla bestia e adorarono la bestia dicendo: “Chi è simile alla bestia e chi può combattere con essa?”.
  • Apocalisse 16,13: Poi dalla bocca del drago e dalla bocca della bestia e dalla bocca del falso profeta vidi uscire tre spiriti immondi, simili a rane.

I tre dardi scagliati dal serpente daranno lo spunto a Dante per la “selva oscura” del primo Canto della sua Commedia: le tre fiere che il poeta dovrà affrontare sono i peccati che attanagliano il cristiano e la società, compresa la Chiesa, contemporanea al poeta: lussuria, avarizia e superbia; così in Jacopone l’uomo che scampa al primo dei dardi del serpente, sarà colpito o dal secondo o dal terzo (avarizia, sapere = superbia, e false profezie). Moltissime sono le coincidenze con i primi versi della Commedia: identica la serie rimica e l'ordine per dura-forte-paura (Ahi quanto a dir qual era è cosa dura / esta selva selvaggia e aspra e forte / che nel pensier rinova la paura!, Inf. I, vv. 4-6; Laude vv. 62-4, ultima stanza), e presenti nella stessa strofa morte e scorte (Tant' è amara che poco è più morte; / ma per trattar del ben ch'i' vi trovai, / dirò de l'altre cose ch'i' v'ho scorte.). L’“acqua perigliosa” in Dante al v. 24 (E come quei che con lena affannata, / uscito fuor del pelago a la riva, / si volge a l'acqua perigliosa e guata) ha un corrispettivo nell’“acqua de lo deluvio” che “sommerso onne cosa” (vv. 29-30).

 

La Lauda del XIV sec. “In Dominica de Adventu” con la quale concludo è straordinaria per forza espressiva e ritmo drammaturgico, a tal punto che D’Ancona sospetta, per l’analogia di stile e per certe immagini già presenti in De la grande battaglia de l’Anticristo, che essa sia stata scritta dallo stesso Jacopone (D’Ancona, p. 155).

Da sottolineare, in questa lauda ma spesso in tutta la letteratura poetica delle laude medievali, l’assenza di una figura non di secondaria importanza, quella di Dio, a favore dell’Uomo-Dio, il Cristo. è in lui che si identifica maggiormente l’uomo medievale, è in lui che trova conforto, ed è lui che giudica il mondo, poiché è lui ad essere il primo ad essere stato “condannato” dalla giustizia implacabile del Padre: il Cristo che muore è l’uomo che muore (Magli, p. 82 seg.).

 

Dal Laudario lir. dram. d’una Compagnia, che credesi di San Simone e Fiorenzo, XIV sec., Biblioteca Vallicelliana di Roma.

In Dominica de Adventu incipiunt Duo Reges qui veniunt cum Antexpo:

[…]

Xps

Tanto tempo aggio soferto
El malfar(e) dei pecatore.
Che conviene ormaie per certo
Ch' io lo' dia pena e dolore.
Andar volglio a giudecare
Onn' uom, secondo el su' operare.

Ecco le piaghe, anco ricente,
Qual per voie sostenne en croce;
Ecco la lancia su pongente,
E quiste agute si ferroce;
Ancor sostenne maiur fragello,
Che me passò fin al cervello.

Per voi è che da Giuda foie traduto
E abandonato d'onne gente,
Tutta nocte fuie battuto
A 'sta colonda amaramente.
O peccator(e), non faite escusa,
Che tutto el mondo oggie v'acusa!

Ecco la croce ensanguenata
Là dua per voie volse morire;
Aveia la bocca desecata,
Aceto e fiel(e) me fier venire.
Tutto el feie per vuole salvare;
Oggie ve volglo çamuiare.

[…]

 

Segue la narrazione evangelica della divisione in benedetti e maledetti, poi Maria intercede per i peccatori, e questa forte connotazione di Maria nelle vesti di advocata nostra è un aspetto tipico della devozione dei Laudesi.

 

Mater ad Filìum

Per quil lacte ch'io te diei,
Or me resguarda, Filglo, un poco:
Entende l'umel priece miei,
Perdona quillo per cuie io avvoco;
Nulla gratia a me negaste
Da puoie che (tu) de me encarnaste.

Io non seria tua madre fatta
Se non per gle peccatore;
Non sia la volgla tua sì ratta,
Non te muove[re] a furore;
Perdona, Filglo, se te piace,
E fa co' lloro ancor più pace.

Nove mese te portaie
E'llo mio ventre vergenello,
A quiste poppe t'alataie
Mentre foste piccolello;
Io si te priego, se esser puote.
Che la sentençia tu revoche.

Xps ad Mater:

Madre mia, non me pregare,
Chè non puoi esser(e) exaudita.
L' ofese molte e '1 despreçare
C’on de me fatto e' lla lor vita
Cridan(o) ch'io vendetta faccia:
Però tacere ormaie te piaccia.

 

8. FORTUNA DELLA LAUDA

 

Il progressivo arricchimento tematico e strutturale dei testi contenuti nelle laude, probabilmente miscelato alla naturale evoluzione in chiave teatrale dei drammi litrugici, darà presto vita alle forme della sacra rappresentazione, che dominerà lo spettacolo del Quattrocento italiano. Non siamo in grado di determinare il momento di questo passaggio. Pian piano aumentarono i testi non cantati e solo recitati; si abbandonò la pratica di alternare solista e coro e furono inseriti stacchi strumentali.

Il poeta fiorentino Feo Belcari (1410-1484), priore nonché membro dell'Arte della Lana (una delle 7 arti maggiori delle corporazioni di arti e mestieri di Firenze), trovava la sua massima espressione nella piazze fiorentine dove recitava le sue “Sacre Rappresentazioni” spesso derivate dalle laude drammatiche del Duecento. Tra le più riuscite si annoverano: L'Annunciazione, il Dì del Giudizio, S. Giovanni nel deserto, S. Giorgio e soprattutto Abram ed Isaac. Le sue storie generalmente iniziavano con un prologo e chiudevano con un monito declamato sul momento rivolto agli spettatori. Molte le parti cantate – anche se cominciano ad essere consistenti i dialoghi recitati – e le sezioni strumentali che fungevano da intermezzo o per accompagnare lo spostamento degli attori da un luogo all’altro.

Da circa il 1430 le laude si fecero anche polifoniche a due, tre o quattro voci. Con la crisi economica degli inizi del Cinquecento, e in piena Controriforma, le compagnie dei Laudesi progressivamente sparirono. La fase creativa finale delle laude coincise nel XVI sec. col repertorio polifonico della Congregazione dell’Oratorio di San Filippo Neri (Giovanni Giovenale Ancina, Giovanni Animuccia).

 

DISCOGRAFIA

 

La discografia delle laude è vasta, anche se molti dischi contengono solo alcune laude insieme ad altri brani provenienti da altri repertori. Inoltre, è molto difficile reperire i CD, anche nelle Biblioteche.

L’elenco qui è in ordine cronologico ed è stato estratto da Wikipedia e poi integrato. In neretto sono riportati i pochi album rintracciati.

1962 - Laudario 91 di Cortona. La Natività - La Passione. Solisti, Coro e Orchestra della Società cameristica di Lugano, dir. Edwin Loehrer. Introvabile. Un CD della Accord (Palestrina - Laudario 91 di Cortona 20 156 2) contiene degli estratti insieme a composizioni di Palestrina.

1970(?) - Laudes Antiquae. Medieval Songs of Praise. Coro della Cappella Papale di San Francesco d'Assisi, dir. Alfonso Del Ferraro. Introvabile, un CD della Deutsche Grammophon (Chants gregoriens Privilege 2726 004, 2 CD) contiene degli estratti.

1970(?) - Laudario di Cortona. Codex 91 dell' Accademia Etrusca di Cortona, Quartetto Polifonico Italiano, Sarx Records SXAM 2010-2 (registrazione integrale).

1981(?) - La Prepolifonia - Le Laudi. Edizione integrale del Laudario di Cortona cod. 91, I Prepolifonisti, dir. P. Pellegrino M. Ernetti, Pan PRF 205 / 6 / 7 / 8 (4 LPs)

1988 - Laude. Medieval Italian Spiritual Songs, Musician of the Early Music Institute, dir. Thomas Binkley, EMI, Focus 912.

1988 - Amor mi fa cantar. Musica italiana del primo trecento, Ensemble Micrologus, Quadrivium SCA 004-2.

1990 - Laudario di Cortona. Le Laude e l'Ars Nova, solisti e "Cantori di Santomio" (Vicenza), dir. August Wenzinger, Accord 20 076 2.

1990 - Ave maris stella. Marienverehrung im Mittelalter. Münchner Ensemble für frühe Musik, Christophorus CHR 77 289.

1992 - Speculum amoris. Lyrique d'Amour médieval, du Mysticisme à l'érotisme, La Reverdie, Arcana A 336.

1992 - Amar e Trobar. Leidenschaft & mysterium im mittelalter, Verlag der Spielleute CD 9201.

1993 - Laudario di Cortona. Mystère médiéval du 13e siècle, Ensemble Vocal de Montpellier, dir. Jean Gouzes, Jade JAD C 092.

1994 - Laude di Sancta Maria. Veillée de chants de dévotion dans l'Italie des Communes, La Reverdie, Arcana 34.

1994 - Saint Francis and the Minstrels of God, Altramar Medieval Music Ensemble, Dorian Discovery DIS-80143.

1994 - Joculatores Dei. Laude from Venice, Florence and Cortona, Vox Resonat, Eric Mentzel dir., Marc Aurel Editions 20012.

1995 - Laudario di Cortona. Un mystère du XIIIe siècle, Ensemble Organum, Marcel Pérès dir., Harmonia Mundi HMC 901582.

1995 - Dante Alighieri - Lo mio servente core, Ensemble Lucidarium, L'Empreinte digitale ED 13051.

1996 - Nova Stella A Medieval Italian Christmas, Altramar Medieval Music Ensemble, Dorian Discovery DIS-80142.

1997 - Peccatori e santi. L'amor sacro e il sentimento popolare nei laudari italiani e spagnoli del XIII secolo, Ensemble Chominciamento di Gioia, Avvenimenti A301697.

1997 - Legenda Aurea. Laudes des Saints au Trecento italien, La Reverdie, Arcana 304.

1997 - Venite a laudare, Obsidienne, Emmanuel Bonnardot dir., Opus 111 OPS 30-158.

1997 - Antoine Brumel, The Hilliard Ensemble, Hilliard Live HL 1003, Coro 16052.

1997 - Le chant de Maria Férès. Maria Férès, Camerata de Paris, Maria Férès MARF 777.

1997 - Mi ris, mi plours. Musiques des XIIIème et XIVème siècles, Ensemble Faenza, Marco Horvat dir., Tabula Rasa TR01.

1997 - A Florentine Annunciation. Mass for the Feast of the Annunciation, Les Six, Move MD 3094.

1998 - Terra Adriatica. Chants sacrés des terres croates & italiennes au Moyen-Âge, Dialogos, Katarina Livjanic dir., L'Empreinte Digitale ED 13 107.

1999 - Cantico della Terra. Le sacré et le populaire dans l'Italie du XIIIe siècle, Quartetto Vocale, Giovanna Marini dir., Micrologus, Opus 111 30-277.

1999 - Laudario di Cortona, Ensemble Micrologus, Micrologus 00010 / 3. Registrazione integrale di tutte le opere, comprende un facsímile del manoscritto in PDF (v. Bibliografia)

1999 - Tu tu pan pan. A piper journey through medieval Europe, Poul Høxbro, Classico CLASSCD 286.

1999 - Gloria 'n Cielo e Pace 'n Terra. Songs of the age of St. Francis of Assisi, Orientis Partibus, Dynamic 269.

2000 - Resonanzen 2000. Vox populi, Vox Dei. La Reverdie, ORF "Edition Alte Musik" CD 252.

2001 - Friedrich II - Stupor Mundi. Musik und Poesie am hofe des stauferkaisers, Oni Wytars, Carsten Wolfewicz, Verlag der Spielleute CD 0101.

2002 - Laude novella. Ein musikalisches Reisetagebuch ... von Baiern nach Italien um 1392. EST! Ensemble für Musik des späten Mittelalters, Verlag der Spielleute CD 0204 (2 CD).

2003 - Laudario di Cortona. Canti devozionali del XIII secolo. Ensemble Vocale La Dolce Vita, Giovanni Causo dir., Tactus 270001.

2003 - Christo è nato. Lauding the Nativity in Medieval Italy, Trefoil, MSR Classics 1094.

2003 - Regina Pretiosa. Una Celebrazione Mariana del Trecento Fiorentino, Insieme vocale e strumentale L'Homme Armé, Fabio Lombardo, Tactus TC 350001.

2003 - Il Laudario cortonese 91, XIIIe s., Eresmin (coro da camera), Nekane Lasarte, Gallo CD-1117.

2005 - Barbarossa. Les Jongleurs de la Mandragore, Fidelio "Mediaeval" FACD 015.

2006 - From Byzantium to Andalusia. Medieval Christian, Jewish and Islamic Music and Poetry, Peter Rabanser, Belinda Sykes, Jeremy Avis, Oni Wytars, Naxos 8.557637.

2006 - Zeit Gefühle. Musik aus dem späten Mittelalter, Wolkenstayn, Verlag der Spielleute CD 008.

2006 - Laude sulla vita di Gesù. Canti drammatici delle Confraternite del XIII secolo, Concentus Lucensis, I Cantori del Miserere di Sessa Aurunca, Stefano Albarello, Tactus TC 280 001.

2007 - Io son un pellegrin. El caminar en la música medieval, Capilla Antigua de Chinchilla, Columna Música 1CM 0186

2007 - Ave Donna Santissima. Itinerario musicale intorno a Maria, Armoniosoincanto, Franco Radicchia, Tactus TC 260001.

2007 - Vita S. Elisabethæ. The life of St. Elisabeth of Thuringia (1207-1231), told in medieval songs and texts, Ioculatores, Ars Choralis Coeln, Amarcord. Raum Klang RK 2605.

2008 - Venite a Laudare. Laude mariane e natalizie, Manoli Ramirez de Arellano, Alberto De Maestri, Coro di Comunione e Liberazione, Pippo Molino dir.

Molte delle laude che ho ascoltato non corrispondono alla mia personale “immagine sonora” del repertorio laudistico. Spesso le incisioni mi sembrano anche lontane dalla sensibilità spirituale ed estetica che le stesse laude evocano.

Per esempio, non apprezzo che le interpretazioni di certe laude si avvicinino pericolosamente a una sensibilità musicale fortemente suggestionata dalla musica popolare di stampo sette-ottocentesco (Oni Wytars Ensemble), col risultato che per evidenziare certi aspetti ritmici e per strizzare l’occhio al folklore popolare vengano poi mortificate alcune componenti poetiche, spirituali e drammatiche delle laude.

Per contro, trovo noiose le interpretazioni fatte a cappella (Wenzinger e il Coro di Santomio raddoppiano la melodia con un portativo, pressoché inudibile) ed ispirate in toto all’isocronia (Spirto gentil).

Trovo molto affascinanti, anche se forse fino troppo elaborate, le interpretazioni de La Reverdie.

Di considerevole forza drammatica la versione della Nuova Compagnia di Canto Popolare di De la crudel morte del Cristo (da La serpe a Carolina, 1972).

Per concludere, nel 1972 Franco Zeffirelli ha diretto un film pluripremiato, Fratello sole, sorella luna, sulla vita di San Francesco. La colonna sonora del film fu firmata da Riz Ortolani: fra le musiche, una in particolare è diventata molto famosa, ed eseguita anche oggi nelle chiese.

Da nessuna parte risulta che la musica è stata quasi totalmente “rapinata” da una lauda cortonese (n. 38) Sia laudato San Francesco.

 

BIBLIOGRAFIA

 

Le voci precedute da ** indicano che l’edizione contiene una trascrizione musicale del corpo integrale delle laude di entrambi o almeno di uno dei due Laudari.

 

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Lauda, voce da The New Grove Dictionary Music and Musicians, Edited by Stanley Sadie