Ribeca (rebeca, rebecq, rebet, rebecum, rabel o rebequin)
La ribeca deriva dallo strumento di origine araba "rebab".
I musulmani avevano invaso la penisola iberica, spingendosi fin nella Francia sudoccidentale, ma furono fermati nella loro devastante conquista dell’Europa dalle truppe di Carlo Martello (battaglia di Poitiers, 732 d.C.). La sconfitta non fu sufficiente a frenare l’impeto arabo, e il 15 agosto 778, a Roncisvalle, la retroguardia di Carlo Magno - comandata dal paladino Orlando, prefetto della Marca di Bretagna, e dagli altri paladini di ritorno da una spedizione in Spagna - fu attaccata e distrutta dai saraceni. Il prode paladino rifiutò, pur nella consapevolezza della sconfitta, di suonare il suo corno (l’Olifante) che avrebbe chiamato in aiuto il grosso dell’esercito di Carlo Magno, perché non voleva che la Francia subisse onta per causa sua. Solo dopo che fu ferito a morte, Orlando suonerà l’Olifante: il suono del corno risuonerà tre volte sulle rocce di Roncisvalle. Orlando morirà coprendo e nascondendo con il proprio corpo la sua spada Durendala, perché al suo interno erano contenute le reliquie dei santi, ragione per cui non doveva cadere nelle mani dei pagani. Giunto Carlo, sbaraglierà gli avversari i quali inseguiti si daranno alla fuga annegando nel fiume Ebro. Poco dopo gli angeli discenderanno su Orlando per portarlo nel regno dei cieli.
Cosa centra la Chanson de Roland con la ribeca? Semplice, oltre a darsela di santa ragione, cristiani e musulmani si influenzarono vicendevolmente sotto i vari aspetti culturali. E così fu che alcuni strumenti arabi, come l’oud (liuto) e la rebab (ribeca) fecero il loro ingresso nello strumentario musicale medievale.
Va subito precisato che, come per altri strumenti, non esistono copie originali delle epoche antiche, quindi i moderni liutai la costruiscono basandosi sulle immagini dei diversi dipinti, affreschi o miniature che presentano lo strumento. Qui sotto, per esempio, due illustrazioni che ornano le duecentesche Cantigas de Santa Maria di Re Alfonso X El Sabio, re di Castiglia e di Léon; quella inferiore la ritrae insieme a un oud.
Oppure nel dipinto in testa a questo articolo del 1509 di Gerard David.
Lo strumento, che insieme alla viella si può a ragione considerare antenato della moderna famiglia degli archi (violino, viola, violoncello e contrabbasso), scomparirà intorno al Cinquecento dalla musica colta, sostituito dalle più dolci e sonore viole da gamba, resistendo però nella cultura musicale popolare del centro Italia.
La sagoma della ribeca, con la sua caratteristica forma “a pera” è tratta da un unico blocco di legno, con una struttura tale per cui non è visibile una netta distinzione fra il corpo e la tastiera.
Come per molti altri strumenti, la ribeca si presenta in diverse taglie e con un numero diverso di corde, da tre a cinque, anche se quella a tre corde sembra essere la più popolare.
La ribeca soprano è la più piccola, e si suona appoggiata al fianco o alla spalla. Le ribeche di taglia maggiore, contralto o tenore, si suonano in verticale, appoggiate o retta dalle gambe del suonatore. Il suono è nasale, debole e un po’ grezzo; può essere usata sia per eseguire la melodia che per il bordone strumentale.
La ribeca suonata nel Kalòs è una ribeca tenore, ma Dom Luigi preferisce suonarla appoggiata alla spalla, come un violino.
Nussbaum