De la crudel morte del Cristo (Cort. 24)

 

 

De la crudel morte del Cristo
ogn’hom pianga amaramente.

Quando Iuderi Cristo pilliaro,
d’ogne parte lo circundaro;
le sue mane strecto legaro
como ladro, villanamente.

Trenta denar fo lo mercato
ke fece Iuda, e fo pagato
mellio li fora non essar nato
k’aver peccato sì duramente.

A la colonna fo spoliato,
per tutto ‘l corpo flagellato,
d’ogne parte fo ‘nsanguinato
commo falso, amaramente.

Pöi ‘l menar a Pilato
e nel consellio ademandato,
da li Iudèr fo condempnato,
de quella falsa ria gente.

Tutti gridaro, ad alta voce:
“Moia ‘l falso, moia ‘l veloce!
Sbrigatamente sia posto en croce,
ke non turbi tutta la gente.”

Nel süo vulto li sputaro,
e la sua barba sì la pelaro,
facendo beffe l’imputaro
ke Dio s’è facto falsamente.

Poi ke ‘n croce fo kiavellato,
da li Iuderi fo designato:
“Se tu se’ Cristo, da Dio mandato,
descende giù securamente!”

Lo santo lato sangue menao
et tutti noi recomparao
da lo nemico ke ‘ngannao
per uno pomo sì vilemente.

San Iovanni lo vangelisto
quando gurdava suo maiestro,
vedielo ‘n croce: molt’era tristo
et doloroso de la mente.

Li soi compagni l’abandonaro,
tutti fugiero e lui lasciaro,
stando tormento forte et amaro
de lo suo corpo, per la gente.

Molt’era trista sancta Maria
quando ‘l suo figlio en croce vedea,
cum gran dolore forte piangeva
dicendo: “Trista, lassa, dolente!


È la lauda della Passione, siamo nel cuore della Settimana Santa; i riti medievali prevedevano un’accorata partecipazione di tutti i fedeli alle liturgie della morte e resurrezione di Cristo, proprio nei secoli precedenti il Duecento i testi liturgici cominciano a delineare quella che è una ri-presentazione, potremmo dire vera e propria rappresentazione, dei fatti evangelici che costituiscono il cuore della fede cristiana, e che vengono vissuti dalla Chiesa non solo come un fatto da ricordare, ma da ri-vivere, con tutto il proprio essere, corpo, cuore, voce. La consapevolezza di essere stati salvati dalla morte eterna attraverso il sacrificio di Dio determina una partecipazione che oggi, nel XXI secolo, possiamo solo – purtroppo – immaginare.

Anche nei laudari, il tema della Passione è un tema centrale, e le immagini dei vari estensori dei testi sembrano avere una regia comune, basti pensare alla lauda di Iacopone Donna del Paradiso.

Il testo si può dire che completi quello della lauda Plangiamo quel crudele basciare, prendendo le mosse da quel “ripresentare” della sua ultima strofa; dopo il tradimento di Giuda per il quale vengono citate le parole del Vangelo di Marco (14,21 “Bene per quell'uomo se non fosse mai nato!” - Mellio li fora non essar nato), vengono narrati gli ultimi momenti di vita del Salvatore. Il racconto rispetta alcuni tòpoi medievali, vediamone alcuni.

Gli Ebrei sono apostrofati nel consueto disprezzo, “quella falsa ria gente”, anche se la religiosità medievale è ben consapevole che la morte di Cristo vale per la salvezza di tutte le genti che vivono sotto il dominio del peccato originale, guadagnatoci da Adamo ed Eva a causa di una vile mela (tutti noi recomparao / da lo nemico ke ‘ngannao / per uno pomo sì vilemente).

La morte di Gesù deve essere eseguita in fretta (sbrigatamente) perché “non turbi tutta la gente”. Il verbo turbi ha qui un’accezione tutta moderna: il messaggio di Cristo è un messaggio scomodo, perché chiede all’uomo un totale affidamento a Dio e una piena inversione di direzione dei criteri di vita mondani ai quali si contrappone lo scandalo della Croce.

Il sangue di Cristo che ci ha ricomprati al peccato ha una forte valenza eucaristica: proprio in questi secoli si afferma la perfetta identità – reale, non ideale o solo memoriale - fra il pane e il vino eucaristici e il corpo e sangue di Gesù.

Tutti abbandonano il Crocifisso, tranne Giovanni e la santa Madre. L'iconografia coeva mostra sempre Maria e l'Apostolo ai piedi della Croce, entrambi segnati dalla disperazione e dall'angoscia (qui sotto il Crocifisso ligneo di Giotto, Firenze, Santa Maria Novella).

 


Infine, la lauda ha in sé alcune pur brevi componenti drammaturgiche: al narratore dei fatti si alternano le voci della folla giudea e, sul finire, poche strazianti parole di Maria.

La musica si divide nettamente in due parti: la ripresa è una melodia triste e rassegnata, un invito a piangere amaramente la crudele morte di Cristo, a mo’ di coro di tragedia greca che assiste ai fatti narrati attonito e incredulo; la melodia della strofa, per contro, è asciutta, quasi un recitativo sulla corda di Re, con poche variazioni melodiche a salire e a scendere, che scioglie la matassa del racconto in uno stile che può apparire freddo e distaccato, ma che sottende invece una forza emotiva e affettiva insuperata.

Sulla trascrizione della musica vanno fatte alcune considerazioni. Come si può constatare dall’originale, se la ripresa ha chiaramente indicata la chiave di Fa, le strofe sono prive di chiave e di custos a fine rigo. Inoltre, l’ultimo verso della strofa porta alcune abrasioni e mancanze di note, per cui è difficile, in sostanza, sapere come inizi e come si concluda la strofa.

In questo quadro, Liuzzi ha voluto interpretare la nota iniziale della strofa come l’ultima della ripresa, un Re; ma altri musicologi dopo di lui (Theodore Karp e Martin Dürrer, per esempio) hanno ipotizzato come nota di inizio strofa un La e questa scelta, poi, permetterebbe di leggere le note finali esattamente come le ultime note della ripresa, come spesso succede nelle laudi. Il ragionamento appare convincente se non fosse per il cambio repentino di quello che possiamo chiamare l'asse modale del brano, che si sposterebbe da Re nella ripresa a La nella strofa. Inoltre, i due “trasporti” delle note sui due righi successivi alla ripresa potrebbero essere giustificati dalla necessità di non utilizzare tagli addizionali nel terzo verso, dove le note scendono di una quinta rispetto alla fondamentale, e conosciamo bene la libertà con cui il copista del Laudario utilizzasse la chiave mobile. Infine, il clima del brano, nelle trascrizioni più recenti, perderebbe quella peculiarità di cui ho scritto poco sopra, appiattendo di fatto la strofa alle stesse caratteristiche della ripresa. Ecco perché la versione del Liuzzi ci risulta ancora particolarmente affascinante, senza il bemolle al si, però, e senza alcuna scansione ritmica prefissata, quasi una gregoriano nella ripresa e una declamazione intonata per le strofe.