LA DOMANDA DOVE SEI?
9 giugno 2024, X PER ANNUM B
(Gen 3,9-15; Sl 130/129; 2 Cor 4,13-5,1; Mc 3,20-35)

 

Ecco, tua madre, i tuoi fratelli e le tue sorelle stanno fuori e ti cercano (Mc 3,32)

 

La domanda Dove sei? non rivela l’ignoranza divina ma il suo amore.

 

Dio sa dov’è Adamo, ma è che Adamo che non sa dov’è finito, che non si rende conto di dove l’ha portato la disobbedienza.

 

A differenza del serpente che, una volta raggiunto il suo obiettivo, ha abbandonato l’uomo e la donna al loro destino, Dio inizia a prendersi cura delle sue creature proprio dal momento della loro disobbedienza (Gen 3,21).
E, nel momento in cui l’uomo si lascia interpellare da Dio e risponde alla Voce che lo chiama, ha inizio il suo cammino, vale a dire una vita intesa come cammino e non come nascondimento, come sguardo in avanti e non come regressione all’indietro, come proiezione verso il futuro che Dio ci prepara e non come nostalgia di un paradiso perduto (Martin Buber).
L’uomo ha cercato (e continua ostinatamente a cercare) di nascondersi a Dio, ma non c’è riuscito e non ha nemmeno potuto impedire che Dio continuasse a cercarlo, smontando pazientemente, pezzo per pezzo, anno dopo anno, giorno dopo giorno, il complesso marchingegno del suo nascondimento (Alberto Mello).
Nel momento in cui Adamo ed Eva odono la voce del Signore e rispondono a quella chiamata, inizia il loro rapporto con Dio.
Nel preciso istante in cui hanno conosciuto la morte, essi iniziano a vivere.

 

Nel racconto biblico non sembra avere molta importanza il fatto che Adamo ed Eva si comportino in modo infantile, come bambini, cercando di giustificarsi senza assumersi la responsabilità delle proprie azioni.
Ciò che conta – se così si può dire – è che non si siano tappati le orecchie per non sentire la voce di Dio che li chiamava.
E il Signore non li chiamava per riportali a casa, dentro il giardino perfetto e sereno dell’Eden, ma per dire loro che non li avrebbe lasciati soli in balia del mondo freddo e ostile che li attendeva (Gen 3, 16-19).

 

Invece i familiari di Gesù, la madre, i fratelli e le sorelle, avevano intenzioni esattamente contrarie quando uscirono per andare a prenderlo, perché dicevano: E’ fuori di sé.
Il verbo usato dall’evangelista Marco quando dice andare a prenderlo, indica l’azione violenta di chi vuole impadronirsi di lui, mettere le mani su di lui.
È il verbo usato nel momento in cui Gesù viene arrestato (Mc 12,12; 14,1.44.46.49.51).

 

La casa dove vogliono riportarlo non è il luogo della Dimora di Dio ma quello abitato dal principe di questo mondo, come indica uno dei possibili significati del nome Beelzebùl, Padrone della casa.

 

Come i familiari di Gesù, anche gli scribi venuti da Gerusalemme che lo accusavano di essere posseduto da Beelzebùl e di scacciare i demòni per mezzo del capo dei demoni intendevano mettere le mani su di lui per riportarlo a casa, nella loro casa.
Ma, sia i familiari venuti da Nazareth che i sapienti venuti dalla capitale, stanno fuori, in piedi, non si siedono attorno a Gesù, come discepoli, per ascoltare la sua parola.

 

Eppure a entrambi il Signore offrì la possibilità di una conversione.
Agli scribi chiamandoli a sé (lo stesso verbo usato per la chiamata dei Dodici) e raccontando parabole.
Ai suoi indicando con lo sguardo quelli che gli erano seduti attorno: Ecco mia madre e i miei fratelli. Perché chi fa la volontà di Dio è per me fratello, sorella e madre.

 

Fare la volontà di Dio è anzitutto un atto di ascolto, di obbedienza (ob-audire).
Al contrario, il peccato imperdonabile contro lo Spirito è un atto di chiusura all’ascolto, di dis-obbedienza. Non è la colpa dei deboli e dei dubbiosi, di quelli che spesso non sanno quello che fanno (Lc 23,34), ma il peccato degli uomini tutti d’un pezzo, come idoli, sicuri di sé, chiusi nel loro mondo, che non cercano di dare gloria di Dio, ma di sostituirsi a Lui (Gen 3,4-5).

 

Come il Creatore con le sue creature, Gesù non chiuse le porte della sua casa a chi voleva riportarlo a casa.
Nella durezza delle sue parole sul peccato imperdonabile e sui veri legami familiari, c’è la sofferta apprensione di un Padre che chiede al figlio Dove sei?, c’è l’amore del Creatore per le sue creature che troppo spesso si perdono perché non sanno quello che fanno.

 

L’evangelo di Gesù, la buona notizia non è solo l’annuncio che tutti i peccati saranno perdonati agli uomini, ma che anche il peccato può diventare una strada che riporta a Dio.

 

Riconosci il Signore in tutti i tuoi passi, ed Egli appianerà i tuoi sentieri (Pr 3,6).
Commentando questo versetto del libro dei Proverbi Abba ben Joseph bar Hama (Rava) diceva: In tutti i tuoi passi, perfino in una trasgressione. Come a dire che non solo è possibile mantenere un legame con Dio anche nella trasgressione, ma che la stessa trasgressione può diventare un passaggio importante nella crescita spirituale.

 

Un giorno in cui riceveva degli ospiti eruditi, il rabbì di Kozk li stupì chiedendo loro a bruciapelo: Dove abita Dio? Quelli risero di lui: Ma che vi prende, rabbì? Il mondo non è forse pieno della sua gloria? Ma il rabbi diede lui stesso la risposta alla domanda: Dio abita dove lo si lascia entrare.
Quando il Signore ci chiede Dove sei?, sta bussando alla nostra porta e attende con fiducia che gli apriamo per lasciarlo entrare (Ap 3,20).

 

Quando Gesù si lasciò prendere per essere crocifisso dimostrò di essere più forte del principe dei demoni. Beelzebùl, che se ne rese conto, tentò in tutti modi di sabotare il compimento del progetto del Padre.
Salva te stesso, scendendo dalla croce, perché vediamo e crediamo (Mc 15,30.32).
Ma Gesù non scese dalla croce proprio perché, vedendolo morire così, credessimo in lui.
Quel pomeriggio, secondo quanto riportano i tre evangeli sinottici, solo due uomini, un ladro e un poliziotto, riconobbero in quell’uomo il Figlio di Dio (Lc 23,40-43.47; Mc 15,39) e divennero per Gesù fratello, sorella e madre.

 


Non ho mai capito perché la gente che riesce a mandar giù l’enorme improbabilità di un Dio con fattezze umane, sia riluttante all’idea di un Diavolo con fattezze umane. Immagino che, se esistesse un Dio capace di amare, il diavolo sarebbe portato a distruggere persino la più debole, la più difettosa imitazione di quell’amore. Non proverebbe forse spavento all’idea che la pianta dell’amore possa crescere, e non cercherebbe di renderci tutti dei traditori, così che lo aiuteremmo a farla finita con l’amore? Se c’è un Dio che ci usa e tira fuori dei santi dalla materia di cui siamo fatti, anche il diavolo avrà le sue ambizioni; magari sogna di addestrare anche uno come me, allo scopo di farci diventare i suoi santi, pronti con fanatismo indotto a distruggere l’amore, ovunque lo troviamo.
(Graham Greene, Fine di una storia)