NELLE PARABOLE DI GESÙ
16 giugno 2024, XI PER ANNUM B
(Ez 17,22-24; Sl 92/91; 2 Cor 5,6-10; Mc 4,26-34)
Così è il Regno di Dio… (Mc 4,26)
Nelle parabole di Gesù riportate dall’evangelista Marco c’è una sola immagine per dire che cosa è il regno di Dio.
Non a che cosa assomigli, ma che cosa è…
Così è il regno di Dio – dice Gesù alle folle – un piccolissimo seme che contiene una vita infinita.
Un’immagine così semplice e quotidiana che i discepoli faticano a comprendere tanto da dover chiedere spiegazioni a Gesù.
E il Signore, con pazienza infinita, in privato ai discepoli spiegava ogni cosa.
Spiegava che il regno di Dio, questo seme che cresce da sé, non ha nulla a che vedere con un processo evolutivo che da una condizione inferiore procede sempre e infallibilmente verso una superiore.
L’aveva compreso anche il profeta Ezechiele esule a Babilonia che fu costretto da Dio a seminare speranza nel cuore di pietra di un popolo in preda alla disperazione.
Dopo la distruzione di Gerusalemme e del suo Tempio, Israele è un albero secco, senza vita.
Eppure…
Il Signore ha il potere di far germogliare l’albero secco e far seccare l’albero verde.
Il Signore può trasformare un piccolo ramoscello in un cedro magnifico che farà frutti e diventerà una dimora per tutti gli uccelli del cielo.
Un secolo prima, Isaia, il principe dei profeti, aveva annunciato che un germoglio sarebbe spuntato dal tronco di Iesse e un virgulto sarebbe germogliato dalle sue radici (Is 11,1).
Ma quando Nabucodonosor, il re di Babilonia, deportò Sedecia, ultimo re della dinastia davidica, il tronco di Iesse sembrò abbattuto per sempre.
Eppure… per chi crede anche l’impossibile può diventare possibile.
Nella fede la categoria del possibile non è più rinchiusa nella limitatezza dell’uomo, ma si allarga alla misura della potenza di Dio (Bruno Maggioni).
Di questa possibilità umanamente impossibile parlano i profeti.
E di questa possibilità umanamente impossibile parla Gesù con le sue parabole quando dice che il regno di Dio è un seme che cresce da sé.
Satana può venire e portare via il seme della Parola dal cuore dell’uomo, le tribolazioni o le persecuzioni, le preoccupazioni del mondo o la seduzione della ricchezza possono soffocare la Parola.
Ma c’è sempre un angolo di terra buona nel cuore dell’uomo che accoglie la Parola e che porterà frutto: il trenta, il sessanta, il cento per uno (Mc 4,1-9.14-20).
Soltanto alla fine il mistero del Regno di Dio che opera in modo nascosto è destinato manifestarsi pienamente.
E per chi crede la parola fine è una parola carica di speranza.
Il regno di Dio è un seme che cresce da sé perché è il Signore che lo fa crescere, servendosi di uomini e donne che umanamente contano poco o nulla.
Sono i piccoli che, dopo aver fatto quanto dovevano fare, riconoscono di essere solo servi inutili (Lc 17,10).
Giovanni Battista, il più grande tra i nati di donna, fu uno di questi servi, eppure il più piccolo nel regno di Dio è più grande di lui (Lc 7,28).
Grandi sono i discepoli che vivono nella fiducia dell’opera di Dio, che hanno il coraggio di non intervenire, di non voler forzare il corso degli eventi quando sembra che niente vada come dovrebbe andare.
I discepoli ebbero il privilegio di ascoltare le spiegazioni delle parabole dalla bocca di Gesù, in privato.
Eppure Gesù li rimproverò perché si ostinavano a non comprendere (Mc 4,13), a non accettare che la logica del Regno di Dio è contraria alla logica dei regni di questo mondo.
Pietro ne è l’esempio più clamoroso.
A Cesarea di Filippo riconobbe in Gesù il Cristo, ma non volle riconoscersi nella via dolorosa che Gesù doveva percorrere.
E il Signore chiamò Satana, e lo rimise – letteralmente – a posto: Va dietro a me!
Dietro, non davanti o a fianco, è il posto del discepolo (Mc 8,29-33).
Anche il diavolo, all’inizio aveva cercato di ingannare Gesù proponendogli di percorrere una via gloriosa, coronata da successo e spettacolo (Mc 1,12-13; Mt 4,1-11; Lc 4,1-13).
Ma il regno di Dio non è così.
È vivo quando sembra morto, vince quando sembra sconfitto, è forte quando sembra debole (2Cor 9-10).
Come il regno di Davide sembrò finire con la morte del re Sedecia, così anche il seme che cresce da sé sembrò soffocato definitivamente sulla cima del Golgota.
I discepoli che Gesù aveva preparato con cura a quel momento lo abbandonarono e fuggirono (Mc 14,50) e il Signore rimase solo.
Come il seme che il contadino ha gettato nel campo.
Ma se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore produce molto frutto (Gv 12,24).
I sapienti che stavano sotto la croce chiedevano a Gesù di scendere dalla croce se voleva che s’inchinassero davanti alla sua potenza (Mc 15, 29-32).
Ma non è questa la logica del seme che cresce da sé.
La comprese uno di quei piccoli che, nel regno di Dio, sono più grandi di Giovanni Battista.
Un uomo che – probabilmente – di Gesù non aveva mai sentito parlare, vide nel legno secco della croce l’albero della vita.
Un cedro magnifico, come aveva profetizzato Ezechiele sei secoli prima.
O un albero di senape con rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra, come aveva detto Gesù in una delle sue parabole.
E, all’ombra di quell’albero, il centurione che stava sotto la croce seppe con certezza che quell’uomo non sarebbe mai morto perché era il Figlio di Dio (Mc 15,39).
San Giovanni Crisostomo a proposito delle parabole dice: Ma Signore, perché parli così ai giudei quando essi non capiscono ciò che dici loro? E il Signore risponde: Di proposito parlo loro così, affinché, grazie all’oscurità della predicazione, da soli si invoglino e cerchino di trovare la Verità.
(Giovanni Crisostomo, Omelia sul Vangelo di Matteo, Omelia 10,2)