DOPO CHE IL POPOLO EBBE PROMESSO
25 agosto 2024, XXI PER ANNUM B
(Gs 24,1-2a.15-17.18b; Sal 34/33; Ef 5,21-32; Gv 6,60-69)

 

Volete andarvene anche voi? (Gv 6,67)

 

Dopo che il popolo ebbe promesso di voler servire il Signore, Giosuè, figlio di Nun disse: Voi non potete servire il Signore, perché è un Dio santo, è un Dio geloso che non perdonerà le vostre trasgressioni... Se l’abbandonerete egli vi si volterà contro e, dopo avervi fatto tanto bene, vi farà del male e vi annienterà (Gs 24,19-20).
Per nulla impressionati dalla messa in guardia di Giosuè i rappresentanti delle Dodici tribù per due volte giurarono solennemente di voler servire il Signore e ascoltare la sua voce (Gs 24,21.24).

 

Questo fu l’ultimo atto della vita di Giosuè, figlio di Nun, successore di Mosè.
Morì a 110 anni e fu sepolto a Timnat-Serach, sulle montagne di Efraim, dopo aver portato a termine la sua missione.
Per lasciarsi alle spalle Egitto il popolo aveva dovuto attraversare il Mar Rosso (Es 14,21-22). Per lasciarsi alle spalle il deserto ed entrare nella terra Promessa, dopo quarant’anni di peregrinazioni, i figli di Israele dovettero attraversare il Giordano (Gs 3,14-17).
Un piccolo fiume se paragonato al Mar Rosso, ma quell’azzurra e tortuosa linea d’acqua era molto più che una geografica linea di confine.

 

Attraversarlo significava entrare in una terra dove il nemico più insidioso non era il Cananeo, l’Ittita, l’Eveo, il Perizzita, il Gergeseo, l’Amorreo e il Gebuseo (Gs 3,10), ma il Dio vivente, santo e geloso.
È con Lui, con il Santo Benedetto, che i figli di Israele avrebbero dovuto vedersela.

 

Giosuè porta lo stesso nome che Maria e Giuseppe diedero al figlio, più di mille anni dopo.
Nome che significa Gesù, Dio è salvezza.
Anche Gesù, con il suo nome consolante, tracciò una linea di confine dopo avere a lungo dialogato e discusso con la folla nella sinagoga di Cafarnao.
Con parole sue ripeté lo stesso avvertimento dato da Giosuè alle Dodici tribù.
Voi non potete servire il Signore…
Nessuno – disse Gesù – può venire a me se non gli è concesso dal Padre mio.

 

Ma, se non possiamo servire il Signore, come aveva detto Giosuè, e se nessuno può venire a Gesù se non gli è concesso dal Padre, allora chi può essere salvato? (Mt 19,26).

 

La parola di Gesù è dura, difficile da ascoltare, è una spada affilata che penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, delle giunture e delle midolla, e scruta i sentimenti e i pensieri del cuore (Eb 4,12).

 

Nella sinagoga di Cafarnao, alla fine, non c’era più una folla generica di Giudei che discuteva con Gesù sulla sua carne da mangiare e il suo sangue da bere.
Erano rimasti i discepoli.
E molti di loro, dopo avere ascoltato Gesù, gli dissero che era meglio se continuava a moltiplicare il pane piuttosto che le parole.
Gesù non fece nulla per trattenerli, non ritrattò le sue parole addolcendole.
Tracciò una linea di confine e l’attraversò senza voltarsi indietro per vedere quanti l’avrebbero seguito.
I primi ad andarsene erano stati i Giudei.
Poi molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui.
Alla fine dei cinquemila uomini che sul monte avevano mangiato il pane e il pesce offerto da Gesù (Gv 6,10) rimasero solo i Dodici.
Che il Signore non lodò per il coraggio e non ringraziò per la fedeltà.
Anche per i suoi amici più intimi tracciò una linea di confine.

 

Volete andarvene anche voi?

 

La parola di Gesù è dura, difficile da ascoltare e chi mette mano all’aratro (Lc 9,62) deve pensarci bene prima di continuare a seguirlo perché, come aveva detto Giosuè, noi non possiamo servire il Signore.

 

Non è umanamente possibile oltrepassare quella linea di confine per salire, con le nostre forze, fino al monte di Dio. Ma ciò che è impossibile agli uomini, è possibile a Dio, perché tutto è possibile a Dio (Gen 18,14; Mt 19,26).

 

Non con un atto di volontà, ma con un atto di fede, passando dall’io posso al Tu puoi, si può raggiungere l’altra riva, di là dal mare (Gv 6,25), luogo della dimora di Dio.

 

Lo comprese in quel momento il più inaffidabile dei Dodici quando per rispondere al Signore non disse: Anche se dovessi morire con te, io non ti rinnegherò mai (Mc 14,31), ma: Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna.
Non io, ma Tu.
Non il solito Simon Pietro con il suo io presuntuoso e arrogante, ma l’umile discepolo cosciente di non potercela fare a servire il Signore se non gli è concesso dal Padre.
E il Padre concede a tutti questa grazia perché non ha mandato il Figlio per condannare il mondo ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui (Gv 3,17).
Ma la presunzione e l’arroganza umana hanno il potere di limitare l’onnipotenza del Padre cui tutto è possibile.

 

Simon Pietro ne fece la dolorosa esperienza quando giunse l’ora di Gesù.
Durante la cena giurò al Signore che avrebbe dato la sua vita per lui (Gv 13,37).
Ma, poche ore dopo, nel cortile della casa del Sommo sacerdote per tre volte giurò e spergiurò di non essere discepolo di Gesù (Gv 18,15-18.25-27).

 

Anche i figli di Israele, davanti a Giosuè, avevano solennemente giurato per tre volte di volere servire il Signore e di ascoltare la sua voce. Promessa che in seguito, in quella terra dove scorre latte e miele, si ostinarono a trasgredire.
La Bibbia non si vergogna di raccontare storie di promesse non mantenute e di tradimenti, di giuramenti di fedeltà e continui atti d’infedeltà, perché questa è la nostra stessa storia.

 

Noi non possiamo servire il Signore, ma è proprio per questo che il Verbo si è fatto carne e ha posto la sua dimora in mezzo a noi (Gv 1,14).

 


Dio non è una perla in fondo all’oceano, la cui scoperta dipende dall’abilità e dall’intelligenza dell’uomo. L’iniziativa deve essere nostra, ma il conseguimento dell’impresa dipende da Lui, non solo da noi. Senza il suo amore e il suo aiuto, l’uomo è incapace di accostarglisi. L’uomo è libero di cercarlo ed è libero di ignorarlo, ma soltanto chi cerca di purificarsi è assistito dall’alto (Berakhôth, 33b). Soltanto chi si santifica un poco riceve dall’alto maggiore santità (Shabbat, 104a).
(Abraham J. Heshel)