PRIMA DI PARTIRE
15 settembre 2024, XXIV PER ANNUM B
(Is 50,5-9a; Sal 116/114; Gc 2,14-18; Mc 8,27-35)

 

Il Signore Dio mi assiste… (Is 50,7.9)

 

Prima di partire con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarea di Filippo, Gesù aveva guarito un cieco a Betsaida.
La guarigione dell’uomo era avvenuta in due tempi.
Gesù gli aveva messo della saliva sugli occhi e gli aveva imposto le mani e il cieco aveva cominciato a vedere, anche se non riusciva a mettere bene a fuoco.
Disse a Gesù: Vedo la gente, perché vedo come alberi che camminano.
Il Signore ripeté l’operazione ed egli ci vide chiaramente, fu guarito e da lontano vedeva distintamente ogni cosa (Mc 8,22-26).

 

Questa era anche la condizione dei discepoli di Gesù.
Dopo aver lasciato tutto per seguirlo (Mc 1,16-20), dopo avere assistito a guarigioni di malati e alla liberazione di indemoniati (Mc 1,32-34), dopo avere ascoltato parabole che parlavano del regno di Dio e, in privato, alla loro spiegazione (Mc 4,1-34), i Dodici vedevano ancora in modo confuso e non riuscivano a mettere a fuoco il mistero che circondava la vita del loro Maestro.
Continuavano a chiedersi chi fosse quell’uomo al quale anche il vento e il mare obbediscono, com’era accaduto dopo l’esperienza della tempesta nel mare di Galilea (Mc 4,41).
Di questa cosa parlavano fra loro ma non osavano chiederlo al diretto interessato.
Allora fu Gesù che li interrogò: Ma voi, chi dite che io sia?

 

Ci sono due dettagli, apparentemente marginali, che precedono la domanda e che meritano di essere sottolineati.

 

Gesù interrogava i suoi discepoli per la strada, mentre erano per via.
Questo è il primo, significativo, dettaglio.
La conoscenza di Gesù non avviene dentro un’aula scolastica, sudando su volumi che parlano di lui.
Conoscere Gesù è un cammino, un’ascesi, una salita verso la santa montagna che dura tutta vita. Solo camminando con lui, andando dietro a lui, si inizia a conoscerlo.
Più ci si inoltra in questo cammino più il mistero si allarga e, paradossalmente, la nostra conoscenza di lui diminuisce, ma cresce la virtù dell’umiltà.

 

Il secondo particolare è in quella piccola particella avversativa che precede la domanda.
Ma…
Credere non è un sondaggio d’opinione.
La verità che Pietro ha professato davanti a tutti – Tu sei il Cristo! – esige una risposta personale, che è diversa per ciascun discepolo.
Ci sono modi diversi camminare dietro il Maestro, come diverse sono le nostre storie e quel ma impone a ciascuno di dare la propria risposta.

 

La professione di fede di Pietro a Cesarea di Filippo non è il punto di arrivo del suo cammino spirituale e nemmeno il punto di partenza.
Pietro come il cieco di Betsaida, dà una risposta perfetta, ma in realtà vede ancora in modo confuso.
C’è ancora molta strada che attende lui gli altri discepoli.

 

Da Cesarea di Filippo, la città che con il suo nome rimanda al potere politico e militare di Roma, a Gerusalemme, la città che parla di un potere spirituale, c’è il cammino di Gesù durante il quale annuncia l’evangelo di un regno che non è di questo mondo e di un potere che sfugge alle logiche sia di Roma che di Gerusalemme.

 

Pietro conosceva i canti del Servo del Signore narrati da Isaia, il principe dei profeti.
Il servo del Signore ha presentato il dorso ai flagellatori e le guance a coloro che gli strappavano la barba, non ha sottratto la faccia agli insulti e agli sputi.
Ma Pietro non poteva immaginare né accettare che quello fosse il destino del Messia di Israele.
La sua idea era piuttosto quella diffusa da oracoli apocalittici che proliferavano in quegli anni di dominio romano: E allora un re inviato da Dio distruggerà tutti questi grandi re e il meglio degli eroi; dopo queste cose verrà sugli uomini il giudizio dell’Eterno.

 

Per questo quando Gesù cominciò a insegnare loro che il Figlio dell’uomo, come il Servo del Signore, doveva soffrire molto, ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere, Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo.
Per il bene di Gesù e della nazione, ovviamente.
Ma questa idea di bene è diabolica e Pietro, il primo nella lista dei chiamati, diventa Satana, l’avversario che si pone davanti a Gesù come pietra di inciampo.
Gesù non lo cacciò come aveva allontanato il diavolo dopo le tentazioni nel deserto (Mt 4,10), ma lo rimise al suo posto.
E il posto del discepolo è camminare dietro il Maestro.
È ancora lungo il cammino che Pietro e gli altri discepoli dovranno affrontare prima di arrendersi all’idea di un Messia che vince perdendo, che dona la vita morendo.

 

Il cammino del discepolo non è lineare ma un continuo cadere e rialzarsi, come dice Isacco di Ninive.
E Pietro ne fece la dolorosa e salutare esperienza quando nel cortile della casa del sommo sacerdote per tre volte rinnegò il Signore, giurando e spergiurando di non conoscerlo e di non avere nulla a che fare con lui (Mc 14,66-72).

 

A dire chi fosse Gesù nel momento della sua manifestazione sul Golgota, fu un uomo alle dipendenze del potere politico e militare di Roma.
La leggenda (che afferma una verità più vera e profonda del puro dato storico) racconta che il centurione che stava sotto la croce si chiamava Longino ed era cieco.
Quando con un colpo di lancia trafisse il fianco di Gesù, uno spruzzo di sangue del Signore gli cadde sugli occhi e recuperò la vista.
Ma, a differenza del cieco di Betsàida e dei discepoli di Gesù, egli fu guarito all’istante e ci vide chiaramente.

 

Vide, senza ombra di dubbio, che quell’uomo era davvero il Figlio di Dio (Mc 15,39).

 


Essere credente non significa liberarsi per sempre dal peso di domande pressanti. A volte significa prendere su di sé la croce del dubbio e anche con questa seguire fedelmente Gesù. La forza della fede non risiede nell’imperturbabilità di una convinzione, bensì nella capacità di sopportare il dubbio, l’opacità, di sostenere il peso del mistero e, al contempo, conservare fedeltà e speranza.
(Tomàš Halìk)