IL LIBRO DELLA GENESI INIZIA
6 ottobre 2024, XXVII PER ANNUM B
(Gen 2,18-24; Sal 128/127; Eb 2,9-11; Mc 10,2-16)
Questa volta è osso delle mie ossa e carne della mia carne! (Gen 2,23)
Il libro della Genesi inizia con due diversi racconti della creazione.
Il secondo assomiglia al lavoro di un artigiano che in corso d’opera si rende conto che il suo lavoro necessita di continui aggiustamenti.
In principio la terra era un luogo vuoto e arido. Ancora non c’era la pioggia ma una polla d’acqua sgorgava dalla terra e ne irrigava il suolo. Però mancava qualcuno che ne incanalasse le acque per coltivarlo.
Così Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo, soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente.
Per la sua creatura piantò un giardino in Eden pieno d’alberi meravigliosi con quattro corsi d’acqua che lo attraversavano.
Eppure… Dio si rese conto che ancora non bastava perché l’uomo era solo e triste.
Allora fece gli animali e ordinò all’uomo di imporre loro un nome.
Imporre il nome significa instaurare una relazione, creare un legame, ma non c’era tra gli animali uno che fosse degno di lui (Gen 2,5-15).
Per l’ennesima volta Dio pose mano al suo progetto riconoscendo, con un certo stupore, che tutte quelle meraviglie non bastavano a rendere felice l’uomo perché non c’era per lui un aiuto che gli corrispondesse.
Dovendo accettare anche il fatto che nemmeno Lui, il Creatore, ci riusciva, a riempire quel vuoto.
Così, per riempire il vuoto e portare a termine la sua opera, il Signore Dio gli tolse dal fianco una delle costole e con questa formò la donna.
Quando la presentò all’uomo e lo vide sorridere, se così si può dire, il Signore comprese che la sua opera era compiuta.
Nel Talmud il matrimonio è chiamato qiddush che significa santificazione, parola che rimanda a Qadosh che indica il Santo, come a dire che al centro dell’esperienza dell’amore tra un uomo e una donna c’è la presenza stessa di Dio.
Per portare a termine la sua opera Gesù non doveva addormentarsi ma affrettare il cammino per raggiungere Gerusalemme. Lasciò definitivamente la Galilea, venne nella regione della Giudea e oltre il fiume Giordano (Mc 10,1).
La folla accorreva per ascoltarlo, mentre i farisei lo interrogavano per metterlo alla prova.
Cercando pretesti contro di lui, affrontavano le questioni più dibattute, come quella riguardante il divorzio, a proposito del quale le due principali scuole rabbiniche avevano opinioni divergenti.
I discepoli di rabbì Hillel erano più liberali, quelli di Shammaj più intransigenti.
Il Deuteronomio afferma che un uomo può mandare via di casa sua moglie se trova in lei qualcosa di sconveniente (Dt 24,1).
Il problema era stabilire cosa indicasse il termine sconveniente.
Per la scuola di Shammaj solo qualcosa di vergognoso poteva giustificare un divorzio, mentre per quella di Hillel era sufficiente una minestra bruciata o una donna più bella della propria.
Tentando di trascinare Gesù dentro la discussione, i farisei volevano che si schierasse, così, quale che fosse la sua posizione, si sarebbe trovato contro qualcuno.
Ma Gesù, da bravo maestro, rispose alla domanda con un’altra domanda e si sottrasse alle beghe tra scuole rabbiniche, su minestre bruciate o atti vergognosi e cercò di riportare i suoi interlocutori al centro del problema, la durezza di cuore, la sclerocardìa.
Perché per questo, solo per questo, Mosè aveva permesso di scrivere un atto di ripudio.
L’alleanza tra uomo e donna rimanda a quel mistero grande che è il rapporto dell’uomo con Dio e, come dirà san Paolo, della Chiesa con Cristo (Ef 5,32).
Per Gesù la questione del matrimonio è teologica e mistica prima che antropologica e giuridica.
Anche i profeti, e Osea in particolare, avevano parlato del rapporto dell’uomo con Dio nei termini di un’alleanza nuziale, come se anche Dio sentisse il desiderio di un aiuto che gli corrispondesse, come di fronte a lui.
Il Dio Biblico, il Dio dei profeti, non è l’essere perfettissimo ma lo sposo che rimane ostinatamente fedele nonostante l’infedeltà del popolo con i suoi ripetuti tradimenti e la durezza del suo cuore. È un marito che, nonostante i torti subiti è disposto a tutto pur di riavere la sua sposa (Os 2,16).
Gesù non evitava il confronto con gli avversari, ma cercava di portarli a vedere le cose da un’altra prospettiva, più umana e più profonda nello stesso tempo.
A quell’inizio della creazione quando Dio, con le sue mani, aveva plasmato l’uomo e la donna e con il suo spirito ne aveva fatto degli esseri viventi.
E al compimento di quella storia, quando il Figlio, offrendo la sua vita, chiese al Padre di perdonare gli uomini perché non sanno quello che fanno (Lc 23,34).
Il problema non è se sia lecito a un marito ripudiare la propria moglie, ma se sia possibile riparare con la misericordia la durezza del cuore umano.
Gli uomini continuano a tradire e mentire, e a spezzare così l’opera di Dio.
Anche Simon Pietro ne fece la dolorosa esperienza la sera dell’Ultima Cena quando nel cortile della casa del sommo sacerdote per tre volte rinnegò il Signore che l’aveva amato e avrebbe continuato ad amato fino alla fine (Mc 15,66-72; Gv 13,1).
Ma l’amore di Gesù è più forte della morte e le grandi acque non possono spegnerlo, né i fiumi travolgerlo (Ct 8,6-7).
Sul Golgota tutto è compiuto (Gv 19,30).
L’unità di ciò che era in principio, prima della disobbedienza, è un ideale.
Irraggiungibile come tutti gli ideali, ma che troverà il pieno compimento quando Dio sarà tutto in tutti (1Cor 15,28).
Ciò che per noi è possibile da quando Gesù in croce ha unito la terra al cielo, è la possibilità del perdono.
Perché il perdono riaccende la speranza.
E la speranza dona la grazia di ricominciare e la forza per rimettere insieme i pezzi di una storia che la durezza del nostro cuore ha infranto.
Gli sposi sono una cosa sola e chi perde sua moglie vive nella propria carne la distruzione del tempio. E le pietre dell’altare piangono quando un uomo dimentica l’amore della sua giovinezza.
(Dal Talmud)