STRADA È LA PAROLA
27 ottobre 2024, XXX PER ANNUM B
(Ger 31,7-9; Sal 126/125; Eb 5,1-6; Mc 10,46-52)
Il figlio di Timeo, Bartimeo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare (Mc 10,46)
Strada è la parola che apre e chiude il racconto del cieco Bartimeo (Mc 10,46.52).
Nell’evangelo di Marco la strada è un luogo teologico prima di essere un luogo geografico. Il Padre si rivela nel cammino obbediente del Figlio.
All’inizio Bartimeo sedeva lungo la strada a mendicare.
Alla fine seguiva Gesù lungo la strada.
Il verbo all’imperfetto non indica l’entusiasmo passeggero di un istante, ma l’azione duratura del discepolo.
La città di Gerico era la porta d’ingresso della terra di Israele.
Dodici secoli prima, un altro Gesù, Giosuè figlio di Nun, l’aveva attraversata con il suo popolo, dopo quarant’anni di peregrinazioni nel deserto.
Ma per entrare in città e attraversarla, Giosuè ne aveva fatto crollare le mura (Gs 6,1-27).
Gesù, invece, nell’attraversarla fece rialzare un uomo che se ne stava seduto lungo la strada a mendicare. Lo fece risorgere, come dice il verbo greco usato da Marco.
E quella di Bartimeo fu una risurrezione piena di gioia.
Sei secoli prima, il profeta Geremia aveva cantato la risurrezione del suo popolo che tornava dall’esilio. Il profeta di Anatot non l’aveva vissuta perché finì i sui giorni in Egitto, uno dei tanti deportati di cui non si seppe più nulla.
Eppure il suo canto del ritorno (che a lui è stato negato) è pieno di gioia.
Una gioia alimentata dalle lacrime, come quelle del contadino di cui parla il salmo.
Chi semina nelle lacrime mieterà nella gioia. Nell’andare se ne va piangendo, portando la semente da gettare, ma nel tornare viene con gioia portando i suoi covoni (Sl 126,5-6).
La gioia di Geremia è un canto sugli scogli, come scrive Andrè Neher.
A questo coro di gioia e di speranza partecipa soltanto chi, come Geremia, ha conosciuto la sofferenza: i poveri e gli abbandonati, un piccolo resto di straccioni e mendicanti che Dio riconosce come figli suoi.
Ecco li riconduco dal paese del settentrione e li raduno dall’estremità della terra; fra essi sono il cieco e lo zoppo, la donna incinta e la partoriente (Ger 31,8-9).
A questo coro di gioia profetizzato da Geremia, si unì il grido di Bartimeo, cieco e anche zoppo a forza di starsene seduto lungo la strada a mendicare, ma con una voce potente che la miseria non aveva soffocato: Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!
Anche i demoni si rivolgevano a Gesù chiamandolo Santo di Dio (Mc 1,24), Figlio di Dio (Mc 3,11), e Figlio dell’Altissimo (Mc 5,7).
Ma essi gridavano perché se ne andasse e li lasciasse in pace.
Bartimeo, invece, gridava il nome di Gesù perché gli si avvicinasse e avesse misericordia di lui e per questo la sua preghiera fu esaudita.
E per il grido di questo figlio di Israele, che tutti avrebbero voluto zittire, Gesù interruppe il suo cammino verso Gerusalemme.
Anche Pietro, dopo il primo annuncio della passione avrebbe voluto impedire a Gesù di proseguire il cammino, ma il suo grido, a differenza di quello di Bartimeo, era stato quello stonato e diabolico dei demoni, un grido scandaloso (Mc 8,32-33).
Bartimeo, il cieco e zoppo, invece diventa l’immagine perfetta del discepolo di Gesù.
Come all’inizio Pietro e Andrea, Giacomo, Giovanni e Matteo il pubblicano avevano lasciato tutto per seguire Gesù (Mc 1,16-20; 2,13-17), così anch’egli gettò via il suo mantello, abbandonò la sua vita passata e corse incontro al figlio di Davide.
C’era stato un altro che poco prima era corso incontro a Gesù in cammino verso Gerusalemme per chiedergli che cosa dovesse fare per avere la vita eterna.
Avrebbe dovuto gettare il mantello di una vita perfetta e i molti beni che lo rendevano cieco e voltare le spalle al passato. Scelse di voltare le spalle a Gesù e se ne andò via triste, tornando nella sua terra d’esilio (Mc 10,17-22).
Nell’evangelo di Marco il cammino decisivo di Gesù verso Gerusalemme inizia con la fede di una donna siro-fenicia che ottenne la guarigione della figlia (Mc 7,29) e termina con la fede di un uomo cieco che è salvato (e non solo guarito) dal Figlio di Davide.
Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui (Gv 3,17), per riportare in patria uomini e donne dai loro esili, come aveva profetizzato Geremia: il Signore ha salvato il suo popolo e l’ha ricondotto dal settentrione e l’ha radunato dall’estremità della terra. Erano partiti nel pianto e io li riporterò tra le consolazioni.
Gesù rispose al grido di Bartimeo.
Lo fece avvicinare e gli disse: Va’, la tua fede ti ha salvato.
Ma Bartimeo non se ne andò, non tornò indietro ma, ritrovata la luce, seguiva il figlio di Davide lungo la strada.
Strada che portava a Gerusalemme, la città che uccide i profeti (Lc 13,34).
E Bartimeo, ritrovata la vista e la fede, lo sapeva, a differenza dei discepoli che avevano occhi e non vedevano, avevano orecchi e si ostinavano a non ascoltare (Mc 8,18).
L’evangelo di Marco non dice più nulla di Bartimeo, e quello che accadde dopo possiamo solo immaginarlo.
Da Gerico Gesù salì a Gerusalemme ed entrando in città fu accolto da una folla che lo osannava: Benedetto il regno che viene del nostro padre Davide! (Mc 11,9-10).Ma Bartimeo non unì la sua voce al quel coro ambiguo.
Discreto e silenzioso, senza farsi notare, rimase accanto Gesù nel Getzemani (Mc 14,32) e poi nel cortile della casa del sonno sacerdote (Mc 14,53).
Tutti i discepoli avevano abbandonato il Maestro ed erano fuggiti (Mc 14,50).
Bartimeo invece rimase e, piangendo, seguì Gesù che portava la sua croce lungo la strada del Golgota.
Sotto la croce si trovò in compagnia di un centurione romano al quale, secondo la tradizione, fu restituita la vista, com’era accaduto a lui.
E quando tutto fu compiuto (Gv 19,30) insieme tornarono in città.
Come gli esuli dopo l’esilio, con la gioia di chi, dopo avere seminato nelle lacrime, miete nella gioia, con la fede di chi, dopo avere attraversato la notte, ha ricevuto in dono l’incrollabile certezza della risurrezione.
In Geremia la gioia non è stata che un sogno. È la gioia del domani, di quel domani che il profeta non ha mai conosciuto, di cui non ha scorto l’aurora, di cui sapeva soltanto che, nella notte opaca, doveva sorgere, perché mezzanotte era passata. È entrato nei giorni del nulla che Osea aveva intravisti. Non ne è risorto. Ma per esservi penetrato, ha conquistato l’incrollabile certezza della risurrezione.
(André Neher)