GLI EROI BIBLICI
10 novembre 2024, XXXII PER ANNUM B
(1 Re 17,10-16; Sal 146/145; Eb 9,24-28; Mc 12,38-44)

 

Nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere (Mc 12,44)

 

Gli eroi biblici sono degli antieroi.
Elia, il profeta di fuoco, entra in scena assistito prima dai corvi e poi da una vedova.
Sopravvisse alla carestia da lui stesso annunciata grazie ai corvi che gli portavano pane e carne nella grotta presso il torrente Cherìt che è a oriente del Giordano (1Re 17,1-6).
E quando il torrente seccò, il Signore gli ordinò di recarsi a Sarepta, una città fenicia lungo la costa del Mediterraneo.
Sarepta era la patria di Gezabele, moglie di Acab, re di Israele, una donna perfida e malvagia, idolatra e pagana, che in tutti i modi cercò di liberarsi dell’ingombrante presenza di Elia.
Eppure il Signore inviò il suo profeta proprio in quella terra impura e ostile, a casa di una vedova che si prese cura di lui, anche se aveva poco o nulla per sé e per suo figlio.

 

Il sostentamento fornito a Elia in piena carestia da creature estremamente miserabili, il corvo e la vedova, sono un segno (Andrè Neher).

 

Di questo miserabile segno parlò anche Gesù otto secoli dopo nella sinagoga di Nazareth: C’erano molte vedove in Israele al tempo di Elia, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese, ma a nessuna di esse fu mandato Elia se non a una vedova a Sarepta di Sidone (Lc 4,25).

 

La vedova di Sarepta aveva davanti a sé solo la prospettiva della morte, per lei e per il figlio, eppure si fidò della parola di Dio e dello strano profeta che gliel’annunciava.
Una parola che le chiedeva di dare tutto quello che le restava.
Tutto quanto aveva per vivere.
Come l’altra miserabile vedova evangelica di cui nessuno si era accorto, nemmeno i discepoli distratti dal suono delle molte monete che i ricchi gettavano nel tesoro del Tempio.

 

Mentre era in cammino verso Gerusalemme, Gesù aveva messo in guardia i discepoli dall’ipocrisia di chi ama passeggiare in lunghe vesti e ricevere saluti nelle piazze, di chi prega a lungo per farsi vedere e di chi pratica la sua giustizia davanti agli uomini per farsi ammirare da loro (Mt 6,1.5.16).
E nello stesso tempo aveva cercato di educarli a vedere ciò che è nascosto e marginale, ciò che non attira l’attenzione.

 

Gesù non si lasciava distrarre dalle lunghe preghiere, né dalle lunghe vesti, né da chi alzava la voce e sgomitava per occupare i primi posti nelle sinagoghe o nei banchetti.
Egli fissava lo sguardo sulle persone che incontrava lungo il cammino e ne vedeva il cuore (Mc 10,21; 1Sam 16,7).

 

Senza averne coscienza, la vedova di Sarepta e la vedova intravista da Gesù nel tempio furono segni miserabili e potenti della logica del regno di Dio che si è fatto vicino (Mc 1,15) e i cui misteri sono nascosti ai sapienti e ai dotti e sono rivelati ai piccoli (Mt 11,25).
Tra i sapienti che si erano avvicinati a Gesù senza la malizia di chi cercava di coglierlo in fallo nel discorso (Mc 12,13), ma con la semplicità dei piccoli, ci fu uno scriba che l’aveva interrogato sul primo di tutti i comandamenti (Lc 12,28-34).
Gesù gli aveva risposto con le parole dello Shemà: Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza.

 

Con tutto il tuo molto, come dice letteralmente l’ultimo termine che noi traduciamo forza.

 

Il molto dei ricchi è poco, mentre il poco della vedova è molto.
Nella sua miseria ha dato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere.
Con quelle due monetine la vedova mostrò di amare Dio con tutte le sue forze.

 

Anche il poco della vedova di Sarepta, un pugno di farina nella giara e un po’ d’olio nell’orcio, è tutto quello che aveva per vivere, prima di morire di fame.
E di mezzo non c’era solo la sua vita, ma anche quella del figlio.
Eppure donò tutto all’uomo di un Dio che non era il suo Dio.

 

In due occasioni Gesù aveva chiesto ai discepoli di mettere a disposizione ciò che avevano per dare da mangiare a una folla che attendeva di essere saziata.
La prima volta avevano offerto cinque pani e due pesci a cinquemila uomini, la seconda sette pani a quattromila.
Donando il poco che avevano tutti mangiarono a sazietà (Mc 6,35-44; 8,1-8).

 

La vedova di Sarepta e suo figlio superarono la carestia perché la farina nella giara non venne meno e l’orcio dell’olio non diminuì, secondo la parola che il Signore aveva pronunciato per mezzo di Elia.

 

Dell’altra vedova, quella evangelica, che non si rese conto di essere stata guardata da Gesù, non sappiamo nient’altro.
Rimane il suo gesto nascosto di creatura estremamente miserabile.
Un segno diventato Parola di Dio, Parola che non passa (Mc 13,31).
E profezia di ciò che sarebbe accaduto sulla cima del Golgota.

 

Come se avesse detto ai discepoli con il suo silenzio: Quello che ho fatto io, in segreto, è quello che farà il vostro Maestro e Signore, davanti a tutti, quando sarà innalzato da terra. Sarà spogliato di tutto e darà tutto il suo molto per la salvezza di molti.

 

Il molto di Gesù è poco e disprezzato agli occhi del mondo (1Cor 1,26-29).
Ma è tutto per chi consegna nelle mani di Dio (Lc 23,46) tutto quello che ha, tutto quanto ha per vivere.
Come la vedova di Sarepta e quella evangelica, come il buon ladrone (Lc 23,40-43) e il centurione che stava presso la croce (Mc 15,39).
Come i piccoli ai quali Dio rivela i misteri del regno.

 


Il profeta è l’uomo che si sa circondato da Dio e che non conosce, né nel suo spazio, né nel suo tempo, un luogo o un momento che siano vuoti di Dio.
La pesantezza dei profeti significa la pienezza di Dio.
(Andrè Neher)