L’EVANGELISTA GIOVANNI RACCONTA
24 novembre 2024, NOSTRO SIGNORE GESU’ CRISTO RE DELL’UNIVERSO
(Dn 7,13-14; Sal 93/92; Ap 1,5-8; Gv 18,33b-37)

 

Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce (Gv 18,37)

 

L’evangelista Giovanni racconta in otto versetti il processo ebraico a Gesù. L’interrogatorio del sommo sacerdote Caifa si limita a una sola domanda a proposito dei suoi discepoli e del suo insegnamento (Gv 18,13-14.19-24).

 

Ponzio Pilato, il procuratore romano della Giudea, invece, lo interrogò a più riprese.
Il processo romano occupa un capitolo e mezzo del Quarto Evangelo (Gv 18,28-40; 19,1-16).

 

Questi dettagli, apparentemente marginali, rivelano due aspetti importanti per il credente.

 

Anzitutto che la fede è un processo che coinvolge non solo il potere religioso ebraico, ma anche il potere imperiale e tutti i regni di questo mondo.
Poi che l’incontro con il Figlio di Dio è un avvenimento personale, intimo, da solo a solo, come quello tra Gesù e Pilato nel pretorio, un processo che non è per la morte ma per la vita.

 

Pilato fu costretto dal sinedrio a occuparsi del caso Gesù di Nazareth, sedicente re dei Giudei, e iniziò l’interrogatorio chiedendogli che cosa avesse fatto.
La domanda era semplice e il procuratore si attendeva una risposta altrettanto semplice per valutare in base alle leggi romane se fosse colpevole o meno di un qualche crimine.

 

Ma Gesù non rispose a quella domanda.
Perché la sua presenza non aveva niente a che vedere con l’avere fatto qualcosa, ma con l’avere fatto tutto ciò che esiste. Pilato aveva davanti Colui che dice e fa essere (Gen 1,3): senza di Lui nulla esiste di ciò che è stato fatto (Gv 1,3).

 

Quella notte Pilato non comprese Gesù, non accolse il Verbo che era dal principio, che era Dio (Gv 1,1) e la Verità che gli veniva offerta.
Continuò a interrogarlo, come se avesse davanti ad un uomo qualunque, ma a ogni sua domanda Gesù rispondeva con parole che lo confondevano.
Senza rendersene conto scivolò lentamente dal seggio del giudice al banco dell’imputato.
Se avesse deposto la sua veste ufficiale, se avesse accettato con umiltà di non capire nulla del mistero che gli stava davanti, avrebbe varcato un confine e difficilmente sarebbe tornato indietro.
Ma non ebbe il coraggio di farlo.
Per tre volte davanti a tutti Pilato riconobbe di non trovare in Gesù alcuna colpa, ma se ne lavò le mani e lo fece condannare (Gv 18,38; 19,4.6; Mt 27,24).

 

In ogni caso, come Giuda con il suo tradimento, anche Pilato con la sua ragion di stato, contribuì al compimento dell’ora di Gesù.
Il ruolo di Giuda e Pilato nel piano di Dio, rimane un mistero difficile da decifrare.
Per essere liberato il Figlio dell’uomo doveva essere inchiodato alla croce.
Per salire fino al cielo doveva scendere fino agli inferi.
Non per i suoi miracoli, né per i suoi successi, ma per le sue piaghe noi siamo stati guariti (Is 53,5).
Nel deserto il diavolo aveva cercato di distogliere Gesù da questo cammino che doveva necessariamente attraversare il crocevia del Golgota. In quell’occasione gli aveva offerto tutti i regni del mondo e la loro gloria, in cambio di un atto di adorazione.
Gesù aveva resistito alla tentazione e l’aveva cacciato (Mt 4,1-11).

 

Pilato si trovò davanti, legato dagli uomini con le loro patetiche corde, Colui che è la Via che conduce alla Verità, la Verità che dona la Vita, e la Vita che è la luce degli uomini (Gv 14,6; 1,4). Gesù gli offrì la possibilità di restituire a Cesare ciò che è di Cesare (Mt 22,15-22) e di affidare la sua vita a un altro Re per entrare con Lui in un regno che non è di questo mondo.

 

Avere un re come quelli di questo mondo era stato il desiderio anche degli abitanti di Cafarnao, dopo che Gesù aveva moltiplicato pani e pesci.
Cercavano un re che soddisfacesse bisogni terreni (Gv 6,14).
Ma quando Gesù cominciò parlare di un pane che dona la vita eterna e che era la sua carne da mangiare e il suo sangue da bere, tutti, compresi molti dei suoi discepoli, gli voltarono le spalle e se ne andarono perché – dicevano – questa parola è troppo dura.
Chi può ascoltarla? (Gv 6,54-60).

 

Chiunque è dalla verità ascolta la mia voce.
Non si tratta di capire la Parola ma di ascoltarla.
E l’ascolto è un atto di accoglienza.

 

Con queste parole – Chiunque è dalla verità ascolta la mia voce – si chiuse il primo confronto tra Gesù e Pilato che uscì di nuovo dal pretorio e disse ai Giudei che non trovava in Gesù nessuna colpa (Gv 18,38-39).
Ma invece di ascoltare la voce di Colui che è la Verità, ascoltò quella della folla e del suo piccolo, miserabile interesse, quale che fosse.
Oppure, cosa ancor più probabile, fu uno strumento inconsapevole nelle mani di un Dio che non conosceva e che si serve di strane vie per portare a compimento i suoi progetti (Is 55,8-9).

 

Dopo essere stato processato e condannato, Gesù portando la croce, si avviò verso il luogo detto del Cranio, in ebraico Gòlgota, dove lo crocifissero e con lui altri due, uno da una parte e uno dall’altra, e Gesù in mezzo (Gv 19,17).
Gesù non sta in mezzo al male che c’è nel mondo per condannare il mondo, ma per salvarlo, per far risplendere la luce nelle tenebre.
Luce che le tenebre non hanno spento (Gv 1,5).

 

Un piccolo resto che stava sotto la croce, in silenzio, ascoltò la Voce del Figlio di Dio.
Erano la madre di Gesù, la sorella di sua madre, Maria madre di Cleopa, Maria di Magdala e il Discepolo Amato (Gv 19,25).

 

Il piccolo seme di un regno che non è di questo mondo, un regno di uomini e donne disposti a seguire l’Agnello dovunque vada, come scrisse Giovanni molti anni dopo nel suo secondo libro (Ap 14,4).

 


La verità è il sigillo di Dio (Talmud, Shabbat, 55a). Il che significa in primo luogo che la verità è una come Dio è Uno. La verità è una: ciò è provato dal fatto che il suo contrario, la menzogna, è molteplice. Si può mentire all’infinito, ma non si può enunciare che una sola verità.
(Andrè Neher, Il pozzo dell’esilio)