LUNGO IL MARE DI GALILEA

16 luglio 2023, XV DOMENICA PER ANNUM A

(Is 55,10-11; Sl 65/64; Rm 8,18-23; Mt 13,1-23)

 Egli parlò loro di molte cose con parabole (Mt 13,3)

Lungo il mare di Galilea le folle si accalcavano attorno a Gesù.
Il Signore provava un’infinita compassione per questi uomini e donne che lo in-seguivano, perché erano stanchi e sfiniti come pecore che non hanno pastore (Mt 9,36), ma non approfittò della loro debolezza per legarli a sé.
Egli non cercava persone che dipendessero da lui, ma discepoli disposti a seguirlo con libertà lungo la via tracciata dalla sua parola.

Salendo sulla barca e staccandosi dalla riva, Gesù stabilì una giusta distanza e da quell’insolito pulito iniziò a raccontare parabole.
Storie semplici, scene di vita quotidiana.
Il lavoro nei campi (Mt 13,3.24), la vita di una massaia (Mt 13,33), tesori da dissotterrare e perle preziose (Mt 13,44-45), pescatori che gettano la rete nel mare (Mt 13,47).

Ma il paradosso è che Gesù non raccontava queste piccole storie per essere compreso.
Le parabole rivelano i misteri del regno dei cieli, ma il verbo ri-velare è ambiguo e può significare sia togliere il velo, sia metterlo di nuovo.
Le parabole aprono il sipario sui misteri del regno ai piccoli, ma lo chiudono ai sapienti e i dotti (Mt 11,25), a chi è cieco e ha la presunzione di vedere (Gv 9,40).

 All’inizio Dio dice: Sia la luce. Dagli spazi infiniti scaturisce una fiamma. Dio polverizza questa luce in atomi. Miriadi di scintille furono disseminate nel nostro mondo, ma non possono essere colte da tutti noi. Il vanitoso che procede con arroganza, non ne percepirà mai nessuna. Ma l’umile e il modesto, con gli occhi bassi le intende (Dall’introduzione di Arnold Schönberg al Kol Nidrè).

Solo chi è come un bambino (Mt 18,3) riesce a comprendere le parabole di Gesù.
I bambini amano ascoltare le storie e non si stancano di ascoltare la stessa storia infinite volte. A loro non interessa comprenderne la morale.
Invece gli adulti leggono un libro per ricavarne una morale, per trarne un profitto, per guadagnare in conoscenza.
E quando la sera leggono le favole ai bambini pensano sia per farli addormentare, ma non sanno che queste storie servono a svegliarli e a fornire loro le armi necessarie per affrontare le prove della vita.

Le parabole sono un sale che ha perso il suo sapore (Mt 5,13) se se ne dà, come di consueto, un’interpretazione morale. Il non comprendere le parabole, e quindi il loro trasformarsi in strumento di accecamento e di morte consiste proprio nell’intenderle in senso morale, nel chiedersi a cosa servono o cosa ci insegnano (Sergio Quinzio).

Le parole degli uomini sono spesso vuote, a volte uccidono (Sir 28,18) e generano morte.
La parola diventa un atto di de-creazione.

Invece la parola di Dio è generatrice di vita.
Il termine ebraico dabar, non significa solo parola, ma anche cosa, storia, azione.
Dio disse: Sia la luce! E la luce fu (Gen 1,2-3).
Quando Dio dice, le cose sono, iniziano a esistere.
Che gli uomini ascoltino o non ascoltino (Ez 2,5).

Quando la parola di Dio scende dal cielo sulla terra, la feconda e la fa germogliare.
Non ritorna a Lui senza avere operato ciò che desidera, senza aver compiuto ciò per cui l’ha inviata.

Ma la parabola del seminatore racconta la drammatica possibilità che questo non avvenga.
La libertà umana ha il potere di limitare l’onnipotenza divina.

Come insegna la storia di Gesù, Parola di Dio che ha posto la sua dimora in mezzo a noi: Venne fra i suoi e i suoi non l’hanno accolto (Gv 1,11.14).
Il Messia è un fallimentare seminatore che non trova per il suo seme che strade, sassi e spine, e pochissima terra buona (Sergio Quinzio).

Questa pochissima terra buona non è il frutto della nostra buona volontà.E’ il dono di grazia che riceve chi accoglie nel suo cuore la parola paradossale di un Messia fallimentare e decide di seguirlo.

In privato Gesù spiegava le parabole agli apostoli, i suoi amici più intimi, perché comprendessero i misteri del regno dei cieli nascosti in esse.
Ma, come aveva profetizzato Isaia, anch’essi guardando non videro e udendo non ascoltarono e non compresero.
E quando Gesù fu arrestato, i suoi discepoli lo abbandonarono e fuggirono (Mt 26,56) e il Maligno rubò ciò che era stato seminato nel loro cuore.

Eppure, anche in quel luogo di morte, nell’istante dello scandaloso fallimento del Messia, tra le pietre e i rovi che ricoprivano il Golgota, soffocando il cuore di molti, un piccolo angolo di terra buona accolse il seme della parola.

E’ probabile che il centurione che stava sotto la croce sapesse poco o nulla di Gesù.
E forse, per quanto ne sappiamo, non si era mai posto il problema se la sua vita fosse o no un buon terreno.
Ma guardando quell’uomo che moriva, vide l’autore della Vita.
E nel silenzio del Golgota il seme di una parola germogliò nel suo cuore.
Davvero quest’uomo era il Figlio di Dio – disse (Mt 27,54).

 Davvero nessuna parola che esce dalla bocca di Dio ritorna a Lui senza effetto, senza avere operato ciò che Lui desidera.

In seguito, a chi gli chiedeva che cosa fare per affrontare un mondo dove il Maligno cerca di rubare ciò che è stato seminato nel loro cuore, il centurione non dava consigli, come un presuntuoso maestro di vita, ma si limitava a raccontare la parabola della vita di Gesù.

 E tutte le stelle che hanno deviato dalla propria rotta,
nella loro caduta più vertiginosa sono riprese, ciascuna,
nel proprio momento
e ritrovano il cammino verso l’eterna dimora.

(Nelly Sachs)