Una cosa che mi sono chiesto, circa la leggenda del diacono Pietro, è: come scriveva il buon monaco, la musica che gli dettava Papa Gregorio? Essendo morto il Pontefice agli inizi del VII sec., è impossibile che il copista usasse sistemi a più righe.
Partiamo con qualche informazione generale. La notazione tradizionale gregoriana usa alcuni simboli chiamati neumi, un termine che deriva dal greco e che significa "segno". Probabilmente, per "segno" si intendeva non solo quello grafico, ma anche quello gestuale, quello cioè del magister che con la mano indicava il salire e lo scendere della melodia. Anche oggi, se venite a Messa nella Abbazia dei Benedettini Olivetani di Seregno, il maestro conduce il canto assembleare per i brani dell'ordinario (Kyrie, Gloria, Credo, Sanctus, Agnus Dei) con semplici gesti che aiutano la "memoria vocale" del popolo ad eseguire le note giuste.
Ma torniamo ai neumi. Essi indicano le altezze dei suoni ma non i loro valori di durata. Forse perché il canto gregoriano non ha un andamento ritmico? La questione è ancora sospesa, e temo che lo rimarrà. I primi manoscritti che riportano la notazione gregoriana (IX secolo), comunque, non usavano alcun rigo, ma erano in campo aperto (notazione adiastematica), cioè raffiguravano solo il profilo globale del canto, con segni come il pes o podatus (due note ascendenti) e il clivis (due note discendenti). Risulta chiaro che in mancanza di altri più validi riferimenti, questo tipo di notazione serviva solo per "ricordare" ai cantori l'incedere della melodia, evidentemente già conosciuta.
Ecco come si presentava il Rorate caeli desuper alla Schola cantorum di Laon, circa nel X sec.:
Solo nei secoli successivi si cominciò a tirare una linea "a secco" sui codici, per indicare una nota di riferimento (ma quale fosse questa nota non è sempre chiaro).
Se volete avere un'idea delle diverse notazioni di canto gregoriano andate sul sito dell'Associazione Internazionale Studi di Canto Gregoriano (AISCGRE) dove è proposta una Tavola di Neumi e dove c'è il link al Graduale di Laon 239, posteriore al 930, il più completo che ci è pervenuto, e un al Cantatorium di San Gallo 359 della fine del IX sec. Una vera chicca per gli estimatori.
Oggi per il servizio liturgico si usa il Graduale Triplex (Edizione dell'Abbaye Saint-Pierre de Solesmes, 1998, da ora per abbreviazione GT), che reca la versione dei canti con tre notazioni diverse: quella "quadrata", su tetragramma, quella di Laon (sopra) e quella di San Gallo (sotto). Ecco lo stesso brano di prima nella versione stampata nel GT.
Modalità
Poco fa ho parlato di "modi" dei canti gregoriani e questo è un altro argomento che per me è tuttora difficile da capire in tutti suoi risvolti esecutivi. A livello teorico, i modi gregoriani delineano il cosiddetto "octoechos", l'insieme cioè degli otto modi sui quali è impostato il melodiare dei canti. Di cosa si tratta? Il nostro sistema musicale, e per nostro intendo quello diffuso in tutto l'Occidente, si basa essenzialmente su due scale, o modi: quello maggiore e quello minore. A determinare la differenza è la sequenza di toni e di semitoni che configura le due scale. Non è una questione solo teorica, all'ascolto infatti queste appaiono molto diverse fra loro, e le melodie su di esse costruite stimolano percezioni uditive ben distinte che operano sulla nostra sfera psicologica che - detto molto semplicemente e a grandi linee - possono essere descritte in sensazioni gioiose o di serenità, solennità etc. per la scala maggiore e sensazioni più melanconiche e tristi per la scala minore. Tutta la produzione musicale classica miscela sapientemente queste due scale. A costo di sembrare banale vi faccio due esempi: se pensate a Mozart, e avete a memoria la Sinfonia in Sol minore, la n. 40, ricorderete che è una delle sue sinfonie dal clima più nostalgico, pieno di emozioni agitate ed eroiche; quella successiva nella catalogazione delle sue opere, la n. 41, cosiddetta "Jupiter", è in Do maggiore, e solo dagli accordi iniziali sentirete che è tutt'altra cosa: un vero e proprio trionfo di olimpica gioia. Mozart è "aiutato" ad esprimere questi opposti sentimenti proprio dall'uso delle due scale.
Bene: se mi avete seguito fino a qui siamo a buon punto. Nel canto gregoriano queste scale si chiamano modi, e sono ben 8, 4 autentici e 4 plagali, il famoso octoechos. Senza entrare eccessivamente nei dettagli, tutte le melodie gregoriane adottano i parametri di questo schema:
Modo | Categoria | Tipo | Estensione | Tenore salmodico | Finalis |
I | Protus | Autentico | re - re | la | re |
II | Protus | Plagale | la - la | fa | re |
III | Deuterus | Autentico | mi - mi | si (do) | mi |
IV | Deuterus | Plagale | si - si | la (sol) | mi |
V | Tritus | Autentico | fa - fa | do | fa |
VI | Tritus | Plagale | do - do | la | fa |
VII | Tetrardus | Autentico | sol - sol | re | sol |
VIII | Tetrardus | Plagale | re - re | si (do) | sol |
dove il "tenore salmodico" è anche detto "corda di recita", e la "finalis" è la nota con cui si chiude il canto.
Come per le due scale (modi) della tonalità moderna (di cui abbiamo parlato prima, il modo maggiore e il modo minore), sembra che anche gli otto modi abbiano una loro funzione "psicologica", suggeriscano cioè sensazioni diverse. Dicono che Guido d'Arezzo avesse proposto questa descrizione: il I è grave (serio), il II triste, il III mistico, il IV armonioso, il V allegro, il VI devoto, il VII angelico e l'VIII perfetto (?). Ma dopo anni che canto il gregoriano, mi sento di poter dire che queste sono categorie del tutto soggettive, anzi, a me del tutto estranee.