IL LIBRO DEL TERZO ISAIA
20 agosto 2023, XX DOMENICA PER ANNUM A
(Is 56,1.6-7; Sl 67/66; Rm 11,13-15.29-32; Mt 15,21-28)

 

È vero, Signore, eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni (Mt 15,27)

 

Il libro del Terzo Isaia si apre con questa profezia: Così dice il Signore: La mia casa sarà chiamata casa di preghiera per tutti i popoli (Is 56,1), e si chiude confermandola: In ogni mese, al novilunio, e al sabato di ogni settimana, verrà ognuno a prostrarsi davanti a me, dice il Signore (Is 66,23).

 

Cinque secoli dopo, un giorno feriale, in un territorio pagano, una donna cananea si prostrò davanti a Gesù.
Lei lo invocò chiamandolo Signore, e Gesù si rivolse a lei chiamandola Donna!
Così, nel quarto evangelo Gesù si rivolge a sua madre (Gv 2,4; 19,26).
E, come Maria di Nazareth, anche questa donna manifestò una fede grande.

 

In questo straordinario incontro, Gesù ricevette una grazia prima di donarla, ottenne una guarigione prima di concederla alla figlia della donna Cananea tormentata da un demonio.
La donna, senza lasciarsi intimorire dalle parole offensive di Gesù, lo aiutò a cambiare prospettiva. Con intelligenza e senso dell’umorismo lo prese per mano e lo portò sotto la tavola. Gli insegnò, se così si può dire, a guardare le cose con gli occhi dei cani.
Anche i cani sono creature di Dio, esseri viventi che hanno diritto, se non al pane dei figli, almeno alle briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni.

 

Non credo che Gesù abbia messo in piedi tutta questa sceneggiata per dare ai discepoli una lezione sulla fede degli stranieri e sul dovere di accoglierli.
Come ogni figlio dell’uomo, anche Gesù, il figlio di Giuseppe, doveva imparare a riconoscere la volontà del Padre dentro la trama complessa della vita quotidiana.

 

Gesù aveva già riconosciuto la fede grande di un altro pagano, il centurione romano di Cafarnao che l’aveva implorato di guarirgli il servo ammalato.

 

In quell’occasione aveva detto: Molti verranno dall’oriente e dall’occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli, mentre i figli del regno saranno cacciati fuori nelle tenebre dove sarà pianto e stridore di denti (Mt 8,5-13).

 

Anche le città della Galilea, nelle quali era avvenuta la maggior parte dei suoi prodigi, non si erano convertite. Se a Tiro e Sidone – disse – fossero avvenuti i prodigi che ci sono stati in mezzo a voi, già da tempo esse, vestite di sacco e cenere, si sarebbero convertite. Ebbene; io vi dico: nel giorno del giudizio, Tiro e Sidone saranno trattate meno duramente di voi (Mt 11,20-22).

 

Anche gli abitanti di Ninive, nel giorno del giudizio, si alzeranno contro questa generazione e la condanneranno, perché essi alla predicazione di Giona si convertirono. Ed ecco, qui vi è uno più grande di Giona. (Mt 11,39-42).

 

Gesù sapeva di essere stato mandato alle pecore perdute della casa di Israele, ma i figli di Israele lo trattavano con ostilità (Mt 15,1), e i suoi stessi discepoli si ostinavano a non comprendere le sue parole (Mt 15,16).
Invece la donna Cananea, prima ancora di avere ricevuto la grazia, riconobbe in Gesù uno più grande di Giona e, nonostante la freddezza dell’approccio e il sarcasmo delle sue parole, lo pregò di aiutarla chiamandolo Signore.

 

Quella donna, senza nome e senza volto, che aveva invocato il suo aiuto, aiutò Gesù ad abbassare lo sguardo per allargare il suo orizzonte.
Portandolo sotto il tavolo, lo accompagnò sulla cima di un monte e da lassù gli mostrò il mondo che sta oltre i confini della terra di Israele, le terre lontane dove uomini e donne attendono una parola di speranza.

 

Colui che annuncia che il regno di Dio si è fatto vicino (Mt 4,17), non può tenere a distanza chi invoca la salvezza.

 

E il buon seminatore non può limitarsi a seminare solo sulla buona terra.
Il Padre desidera che il seme della parola sia sparso su ogni tipo di terreno, pur sapendo che tre parti su quattro andranno perdute (Mt 13,3-9).

 

All’inizio del suo terzo libro, il profeta Isaia aveva annunciato che la salvezza di Dio stava per venire e la sua giustizia stava per rivelarsi.
Cinque secoli dopo (i tempi di Dio non sono i nostri) la donna Cananea che, forse, non conosceva i profeti di Israele, riconobbe in Gesù il compimento della profezia.
Il tempo in cui, non le briciole che cadono sotto la tavola, ma il pane sarebbe stato condiviso nella casa del Padre, che è casa di preghiera per tutti i popoli.

 

Con sette pani e pochi pesciolini, Gesù diede da mangiare a una folla di quattromila uomini, senza contare donne e bambini. Per quanto ne sappiamo, non chiese un documento d’identità. Quel giorno tutti mangiarono a sazietà e alla fine portarono via sette sporte piene di pezzi avanzati (Mt 15,32-38).
Nel banchetto del regno il pane non è mai misurato, ce n’è in abbondanza per tutti.

 

Guardando le cose da un’altra prospettiva, da quella zona di confine che passava sotto il tavolo, Gesù riconobbe la fede grande di una piccola donna Cananea e di molti che, come aveva profetizzato Isaia, praticano la giustizia senza che il mondo lo sappia.

 

All’inizio e alla fine dell’evangelo di Matteo incontriamo degli stranieri.
La loro fede grande è una chiave che lo apre e lo chiude.

 

All’inizio alcuni Magi, giunti dall’oriente, seguendo la scia di una stella, giunsero a Betlemme, (nome che significa, guarda caso, casa del pane).
In una mangiatoia (recipiente per il cibo, guarda caso) videro un neonato, davanti al quale si prostrarono e lo adorarono (Mt 2,11).

 

Alla fine, in un luogo impuro fuori della città santa, sulla cima del Golgota, il centurione romano che stava sotto la croce, vedendo morire Gesù, vedendo come moriva, riconobbe in lui il Figlio di Dio.

 


Se qualcuno possedesse la scienza di questa piccola donna; se potesse sorprendere Dio nel suo stesso giudizio e dire: Sì, Signore, è vero, io sono un peccatore indegno della tua grazia; eppure tu hai promesso il perdono ai peccatori e non sei venuto a chiamare i giusti, ma a salvare i peccatori. Guarda, è così che Dio sarebbe obbligato ad avere pietà di noi in conformità al suo stesso giudizio.
(Martin Lutero, Omelie)