ALCUNI DICEVANO DI GESÙ
3 settembre 2023, XXII DOMENICA PER ANNUM A
(Ger 20,7-9; Sl 63/62; Rm 12,1-3; Mt 16,21-27)
Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre… (Ger 20,7)
Alcuni dicevano di Gesù che fosse Giovanni Battista, altri lo identificavano con Elia, altri infine con Geremia (Mt 16,13-14).
Tre profeti dalla fede tutt’altro che pacificata.
Giovanni Battista, in carcere aveva dubitato di Gesù e, di conseguenza, della sua missione. Forse si era ingannato, forse il Signore stesso l’aveva ingannato (Mt 11,3).
Elia era sprofondato in una profonda depressione, dopo avere raggiunto il culmine del successo. Non sono migliore dei miei padri – diceva tra sé. Desideroso di morire si trascinò nel deserto per lasciarsi morire sotto una ginestra (1Re 19,4).
Geremia, il ragazzo di Anatot che più di ogni altro assomiglia a Gesù, fu il profeta che lottò con tutte le sue forze per sfuggire alla presa di Dio che l’aveva scelto quando era ancora nel grembo della madre senza lasciargli alcuna possibilità di replica (Ger 1,4-5).
La storia di questi tre profeti annuncia il destino del Messia e della sua paradossale onnipotenza che non si manifesta nel dominio sulle forze della natura (Mt 14,33), ma nel lasciarsi dominare dalla violenza degli uomini per disinnescarla.
Da Cesarea di Filippo in poi, in tutti modi, Gesù cercò di preparare i discepoli ad accettare questa scandalosa onnipotenza.
Egli è il Cristo, il Messia figlio di David, chiamato a regnare nella città dove Davide e i suoi figli avevano avuto il loro trono regale.
Ma Gerusalemme, la città che uccide i profeti (Mt 23,37) farà sedere Gesù su un trono molto diverso da quello d’oro e pietre preziose di Davide e Salomone.
Il trono di Gesù è come quello che Erode aveva riservato a Giovanni Battista: un vassoio con la sua testa (Mt 14,10-11).
È un albero come la ginestra sotto la quale si stese Elia per lasciarsi morire, perché diceva di non essere migliore dei suoi padri.
È il fango di una cella in cui sprofondò Geremia, quando di lui e delle sue parole ci si volle liberare (Ger 38,6).
Che il Messia dovesse andare a Gerusalemme per morire invece che regnare apparve talmente assurdo a Pietro che prese in disparte Gesù e lo rimproverò come se avesse a che fare con i capricci di un bambino. In quel momento Pietro in cui parla lo Spirito di Dio (Mt 16,17), è Satana, e in lui parla il nemico di Dio (Sergio Quinzio).
Di fronte allo scandalo Pietro reagisce ragionando secondo gli uomini e non secondo Dio.
A differenza di Pietro, che ragiona su Dio con categorie umane, Geremia grida verso Dio: Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre!
La sua confessione, così umana, non è lo sfogo di un cuore sensibile ma la preghiera di un profeta di Dio, di un uomo che lotta con l’Eterno e sfoga davanti a Lui i suoi sentimenti, senza censurarli, senza preoccuparsi della loro ortodossia e decenza.
Tu mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre.
Mi hai ingannato come un uomo adulto inganna una ragazzina per abusare di lei.
Geremia pensava di fuggire da Dio, di non parlare più in suo nome, eliminando così la causa di tutti i suoi mali. Ma la Parola che Dio gli aveva messo sulle labbra (Ger 1,9) era un fuoco che non poteva essere soffocato.
Un fuoco che non distruggeva la vita, la originava (Es 3,2).
Anche Gesù ha lottato con Dio.
Nel Getzemani ha dubitato come Giovanni Battista.
Oppresso dalla tristezza e dall’angoscia, come Elia sotto la ginestra, chiese al Padre, se possibile, di non fargli bere qual calice (Mt 26,36-42).
Nelle parole di Gesù e nelle gocce di sudore e sangue che cadevano a terra, c’è l’eco del grido di Geremia: Mi hai sedotto Signore.
L’esperienza del profeta si rivela nell’aspetto irriducibile della lotta (André Neher).
L’abbandono di Gesù alla volontà del Padre – Non la mia, ma la tua volontà sia fatta – non è una resa pacifica, ma drammatica. La resistenza di Gesù (come quella di ogni profeta) è vinta da Dio e non ha potuto sottrarsi al suo destino. E tuttavia, anche per Gesù, la benedizione arriva al termine della notte, dopo avere lottato con Dio, come Giacobbe che, al guado dello Iabbok, si ritrovò zoppo, ma benedetto (Gen 32,25- 32).
Pietro, fece un patetico tentativo di distogliere Gesù da questa lotta.
Per il tuo bene! gli disse. Anche se, senza rendersene conto, pensava al suo bene.
Pietro, volendo salvare la vita di Gesù e la propria, rischiava di perdere sia Gesù sia la sua vita. Per questo il Signore lo riprese con tanta durezza.
Per il discepolo è diabolicamente scandaloso cercare di evitare lo scandalo della croce.
Gesù cercò di preparare i suoi amici al destino che lo attendeva a Gerusalemme, ma essi non vollero accettarlo e, alla fine, tutti i discepoli lo abbandonarono e fuggirono (Mt 26,56).
E Pietro, invece di rinnegare se stesso (Mt 16,24), per tre volte rinnegò il Signore (Mt 26,69-75).
Gesù rimase solo, perché questo è il destino dei profeti.
Solo contro gli uomini e solo contro Dio.
Solo con Dio.
Sul Golgota Gesù non rispose a chi, come Satana e come Pietro, gli suggeriva di scendere dalla croce per dimostrare di essere il Messia, il Figlio di Dio (Mt 27,39-43). Forse, in quegli istanti terribili, con quella morte così poco eroica e così scandalosamente banale, come quella di un delinquente comune, Gesù fu sfiorato dal pensiero di avere sprecato la sua vita, com’era accaduto a Giovanni Battista, in carcere.
Forse, come Elia, pensò di meritare la morte perché non era migliore dei suoi padri.
Ma, a differenza di Pietro, non ragionò secondo gli uomini.
Come Geremia gridò a Dio: Mi hai sedotto, Signore, mi hai abbandonato (Mt 27,46).
Eppure, quando l’uomo biblico grida a Dio: Mi hai abbandonato, dice nello stesso istante e tramite la medesima parola (azav in ebraico): Tu mi hai raccolto.
Quando Gesù poteva suscitare una fede notevole, dopo essere risorto da morte, egli si è mostrato di nascosto solo a una donnicciola… Quando veniva punito, era visto da tutti; invece dopo che risuscitò da morte, fu visto da una sola persona, mentre sarebbe dovuto accadere proprio il contrario.
(Origene, Contra Celsum II)