I MIEI PENSIERI NON SONO I VOSTRI PENSIERI
24 settembre 2023, XXV DOMENICA PER ANNUM A
(Is 55,6-9; Sl 145/144; Fil 1,20c-24.27a; Mt 20,1-16)

 

Nel ritirarlo mormoravano contro il padrone (Mt 20,11)

 

I miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie.

 

Le parabole di Gesù confermano le parole del profeta Isaia.
Il padrone della vigna è un uomo duro, che miete dove non ha seminato e raccoglie dove non ha sparso (Mt 25,24) ed è, nello stesso tempo, un uomo generoso che non tiene conto dei meriti personali per calcolare la ricompensa.
È lo sposo che caccia fuori nelle tenebre l’invitato alle nozze solo perché non indossa l’abito nuziale (Mt 22,11-13) e chiude la porta in faccia a cinque ragazze sprovvedute che hanno finito l’olio delle loro lampade (Mt 25,11-12), ma è anche un padre pieno di compassione che riabbraccia il figlio che se n’è andato di casa e ha dissipato tutte le sue sostanze con le prostitute (Lc 15,20-22).

 

Un giorno, abba Antonio, volgendo lo sguardo all’abisso dei giudizi di Dio, chiese: Signore, come mai alcuni muoiono giovani, altri vecchissimi? Perché alcuni sono poveri e altri ricchi? Perché ci sono degli empi che sono ricchi e dei giusti che sono poveri?
(Perché – potremmo aggiungere noi – con alcuni sei un Padre buono e con altri un giudice inflessibile). E giunse a lui una voce che disse: Antonio, bada a te stesso. Sono giudizi di Dio questi: non ti giova conoscerli (Vita e detti dei padri del deserto).

 

I pensieri di Dio non sono i nostri pensieri, le sue vie non sono le nostre vie.

 

C’è una parola di Gesù che apre e chiude la parabola degli operai dell’ultima ora: Molti dei primi saranno ultimi e molti degli ultimi saranno primi (Mt 19,30; 20,16).
Parola non originalissima nella tradizione ebraica che si trova nella Mishnah e nel Talmud: Ho visto un mondo rovesciato: I primi erano diventati gli ultimi e gli ultimi i primi (Bava Batra 10b).

 

Gesù che ha visto il mondo del Padre, un mondo dalla prospettiva rovesciata, invita a cercare Dio, non a farsi un’immagine di Lui, che è il peccato contro il primo dei comandamenti (Es 20,4) e un’inutile perdita di tempo.
Dio è sempre oltre, sempre di là dei nostri pensieri.
È un Dio vicino (Dt 4,7; 30,14) che si fa trovare, come scrive il profeta Isaia e, nello stesso tempo, un Dio lontano da cercare, le cui vie non sono le nostre vie.

 

La sola immagine di Dio che possediamo è quella che ci ha rivelato il Figlio (Gv 1,18).
Ma Gesù non ha lasciato immagini di sé, come i grandi di questo mondo e, se ha scritto qualcosa, l’ha scritto sulla sabbia, parole che il vento si è portato via (Gv 8,6.8).
Gesù è il figlio primogenito che diventa ultimo (Fil 2,6-8), e che, morendo come il pagano in terra impura, è l’ultimo che diventa primo (Sergio Quinzio).

 

Il Padre rivela i suoi pensieri e le sue vie al discepolo che vive in comunione con Gesù.
Com’è accaduto al Discepolo Amato che, appoggiando il capo sul petto di Gesù, ne ha sentito il battito del cuore (Gv 13,25), che stava sotto la croce (Gv 19,25-27), che percepì la presenza del Dio risorto nello spazio vuoto di un sepolcro (Gv 20,8).

 

Ma per questo cammino una vita intera non basta.
Ciò che oggi ci sembra ragionevole riguardo a Dio, domani ci sembrerà assurdo e ciò che oggi sembra assurdo domani, ci apparirà ragionevole, perché le sue vie non sono le nostre vie, i suoi pensieri non sono i nostri pensieri.

 

Maria di Nazareth ha compreso fin dall’inizio questa incomprensibile logica di Dio che rovescia le prospettive. Di fronte alla cugina Elisabetta ha cantato il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe che rovescia i potenti dai troni e innalza gli umili, che ricolma di beni gli affamati e rimanda i ricchi a mani vuote (Lc 1,52-53).

 

Ma, come noi, anche Maria ha dovuto attraversare la dolorosa e inevitabile nube della non conoscenza (come dicono i medievali). Ma, diversamente da noi, quando non comprendeva i pensieri di Dio (Lc 2,48-49), né le vie che faceva percorrere al Figlio (Mc 3,31-35), custodiva tutte queste cose nel suo cuore (Lc 2,50-51).

 

Invece di custodire ciò che non si comprende, i lavoratori della prima ora mormoravano contro il padrone dicendo: Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e tu li hai trattati come noi che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo.

 

Mormoravano come avevano mormorato i figli di Israele nel deserto contro Dio e il suo servo Mosè perché, a loro avviso, era preferibile una vita da schiavi in terra d’Egitto con la pentola della carne a portata di mano e pane a sazietà, piuttosto che una vita da uomini liberi nel deserto con il Signore in mezzo a loro (Es 16,2-4).

 

I lavoratori della prima ora s’indignarono contro il loro padrone, come in un’altra parabola il figlio maggiore s’indignò per l’atteggiamento troppo remissivo del padre nei confronti di quel figlio che aveva sperperato tutte le sue sostanze con le prostitute (Lc 15,28).

 

La mormorazione è il peccato di chi si ritiene giusto e irreprensibile e crede di avere compreso tutto. È il peccato originale dell’orgoglio e della presunzione.

 

Gli operari della prima ora non avevano compreso – come dice il Salmo – che stare nella casa del Signore è la vera ricompensa.
È meglio un giorno nei tuoi atri che mille nella mia casa. Stare sulla soglia della casa del mio Dio è meglio che abitare nelle tende dei malvagi (Sl 84/83,11).

 

Grazie a Dio le sue vie non sono le nostre vie.
Se così non fosse il Signore non uscirebbe a tutte le ore del giorno a cercare non solo chi s’è perduto, ma anche chi nemmeno immaginava d’essere cercato.
Uomini come Zaccheo il pubblicano tra i rami di un sicomoro (Lc 19,1-10), o il centurione romano tra le pietre del Golgota.
Era ormai il tramonto di un venerdì vigilia della festa di Pasqua, quando il Signore uscì verso l’ora nona e, visto un uomo che se ne stava sotto la croce, gli disse: Perché te ne stai qui tutto il giorno? Vieni anche tu a lavorare nella mia vigna (Mt 27,54).

 


Ma chi sono gli ultimi, in che cosa consiste il loro privilegio, e perché è accordato proprio a loro? Gli ultimi sopporteranno solo una breve fatica, ma hanno sopportato una lunga attesa, stando nel timore di non trarre dalla giornata nessun guadagno. Veramente eletti sono loro tra tutti i chiamati perché i più poveri (Mt 5,3) sono quelli che hanno più a lungo atteso e patito delusione, perché la salvezza non è frutto delle opere, ma del dolore di non poterle compiere.
(Sergio Quinzio)