DOPO IL SUO INGRESSO
8 ottobre 2023, XXVII DOMENICA PER ANNUM A
(Is 5,1-7; Sl 80/79; Fil 4,6-9; Mt 21,33-43)
Vi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti (Mt 21,43)
Dopo il suo ingresso a Gerusalemme (Mt 2,10) Gesù non raccontò parabole per insegnare a che cosa è simile il regno di Dio, ma per dire che cosa doveva accadere al profeta Gesù, da Nazaret di Galilea (Mt 2,11) venuto ad annunciare che il regno di Dio è vicino (Mt 4,17).
Giovanni, l’altro evangelista, l’aveva scritto nel prologo al suo evangelo, l’altro evangelo.
Venne tra i suoi ma i suoi non l’hanno accolto…a quanti però l’hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio, a quelli che credono nel suo nome, i quali non da sangue, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati (Gv 1,11-13).
Gesù non intendeva contrapporre ebrei a pagani, la chiesa alla sinagoga (Rm 10,12) ma il potere mondano dei principi, dei capi del popolo, dei sacerdoti (Mt 23,13-36) al piccolo resto del popolo santo.
Come aveva detto il profeta Isaia sette secoli prima: Il Signore porta in giudizio gli anziani e i principi del suo popolo: siete voi che devastate la mia vigna (Is 3,14).
Vigna per la quale l’amico dello sposo aveva usato parole d’amore, come nel Cantico dei Cantici.
Anche lo sfondo della parabola raccontata di Gesù non è di natura politica o economica.
Ciò che viene tradito è l’amore di un uomo per la sua vigna.
Dio non è il padrone di un terreno, ma lo sposo tradito dalla sposa.
Isaia e Gesù parlano di un rapporto nuziale.
Il giudizio di Dio, il suo violento ripudio può essere compreso solo dentro una storia d’amore non corrisposto.
Amore che per il Dio biblico è sinonimo di giustizia, non di sentimento.
Dal re e dai sacerdoti, da coloro ai quali aveva affidato la sua vigna, Dio si aspettava giustizia ed ecco spargimento di sangue, attendeva rettitudine ed ecco grida di oppressi.
A Dio non importa l’offesa recata a Lui, quanto piuttosto il disprezzo per i poveri da parte di chi dei poveri doveva prendersi cura.
E, come accade in tante storie d’amore, ciò che era iniziato in una stanza nuziale termina in un’aula di tribunale, dove Dio emette una sentenza di condanna contro i latifondisti e i gaudenti, gli increduli e gli ingiusti, i sapienti e i giudici iniqui (Is 5,8-24).
È significativo che al centro di questo elenco di peccatori sociali, ci sia un peccato più radicale, l’incredulità.
Come se la mancanza di fede, il pensiero che Dio non esista o che, se esiste, non si occupi delle creature, generi l’ingiustizia e porti l’uomo alla corruzione, a fare cose abominevoli, com’è scritto nel salmo (Sl 14,1).
Ma l’intenzione di Dio, anche quando emette sentenze definitive di condanna, è sempre in vista della salvezza. Dio rimane lo sposo del suo popolo e il suo desiderio è che la sposa ritorni a lui e che lo chiami marito mio e non più mio padrone (Os 2,18).
In quel giorno la vigna sarà deliziosa, cantatela! / Io il Signore sono il guardiano, a ogni istante la irrigo; / per timore che si danneggi, ne ho cura notte e giorno.
Si afferri alla mia protezione / faccia la pace con me, con me faccia la pace (Is 27,2-6).
Nella sua parabola Gesù si rivolse direttamente ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo (Mt 21,23) e li contrappose ai pubblicani e alle prostitute (Mt 21,28-32).
I capi dei sacerdoti e i farisei compresero che parlava di loro ma, invece di lasciarsi catturare dalle parole di Gesù come un invito alla conversione, cercavano di catturarlo.
Non lo fecero solo per paura della folla, che considerava Gesù un profeta (Mt 21,45-46).
A questa folla, a questo piccolo resto, il Signore affiderà il suo regno per farlo fruttificare.
Chi fa morire finisce per morire, mentre i poveri e gli afflitti, i miti e i misericordiosi, i puri di cuore e i portatori di pace, i perseguitati per causa della giustizia e i perseguitati a causa del suo nome (Mt 5,3-12) diverranno pietra angolare.
Grazie a questo piccolo popolo d’invisibili che non contano nulla agli occhi del mondo, grazie al piccolo resto di ventiquattro giusti, sconosciuti e anonimi che, come insegnano i maestri, Dio garantisce a ogni generazione, il mondo non crolla, schiacciato sotto il peso del male e della violenza.
Per questo la madre di Gesù che, a differenza degli increduli di cui parla Isaia, ha creduto, esulta nel Dio dei suoi padri che rovescia i potenti dai troni e innalza gli umili.
Dio ha guardato all’umiltà della sua serva e Maria ha accolto la sua Parola e ha creduto che il suo Salvatore è più forte del male (Lc 1,45-48).
Ecco il miracolo che sta davanti ai nostri occhi, anche in mezzo al dilagare della violenza.
Le parabole di Gesù, come le parole dure dei profeti, parlano sempre di speranza.
Alla fine chi cercava di catturare Gesù e di farlo tacere riuscì nel suo progetto, come Gesù aveva annunciato, tra l’altro: Presero il figlio, lo cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero.
Ma il Golgota non è la fine triste della storia di Gesù.
È un crocevia da cui si diramano strade che raggiungeranno ogni angolo della terra.
Pietro e gli altri apostoli percorreranno queste strade annunciando l’evangelo del regno.
Pietro è la roccia ma, se le potenze degli inferi non prevarranno sul piccolo resto dei credenti, non è per i suoi meriti (Mt 16,18).
Gesù è la pietra angolare che sostiene tutto l’edificio.
Come comprese uno di quei piccoli che ci passano avanti nel regno di Dio (Mt 21,31).
Lo sconosciuto centurione che quel venerdì pomeriggio, vigilia della festa di Pasqua, stava sotto la croce, riconobbe nella pietra scartata dai costruttori, la pietra d’angolo che avrebbe dato senso e solidità alla sua esistenza (1Pt 4,4).
Professò la sua fede nel Signore Gesù perché solo il Figlio di Dio (Mt 27,54) poteva dimostrare, morendo, che l’Amore è più forte della morte (Ct 8,6).
Un giorno abba Antonio pregava nella sua cella e giunse una voce dal cielo che gli disse: Antonio, non sei ancora arrivato al grado di santità del tal ciabattino di Alessandria. L’anziano si alzò di buon mattino, prese il suo bastone di palma e andò a trovarlo. Entrò, l’abbracciò, sedette accanto a lui e gli disse: Fratello, dimmi quello che fai. Quello rispose: Non so che cosa faccio di buono, abba. Semplicemente, al mattino, quando mi alzo e mi metto al lavoro, mi dico che tutti gli abitanti di questa città, dal più piccolo al più grande, entreranno nel regno a motivo delle loro opere di giustizia; io solo riceverò il castigo per i miei peccati. E di nuovo, la sera, prima di addormentarmi, mi ripeto la stessa cosa.
A queste parole l’anziano disse: In verità come un buon orafo che sta a lavorare in pace a casa sua, hai ereditato il regno dei cieli; io invece non ho discernimento anche se dimoro sempre nel deserto e non ti ho raggiunto.