ILSIGNORE DEGLI ESERCITI PREPARERÀ
15 ottobre 2020, XXVIII DOMENICA PER ANNUM A
(Is 25,6-10a; Sl 23/22; Fil 4,12-14.19-20; Mt 22,1-14)

 

… radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempì di commensali (Mt 22,10)

 

Il Signore degli eserciti preparerà sul suo santo monte un banchetto abbondante e regale per tutti i popoli.
L’ha detto il Signore e non c’è promessa più grande in tutto l’Antico Testamento.
Ma più delle grasse vivande, più dei vini eccellenti e raffinati, più dei cibi succulenti, il dono più importante che il Signore offrirà in quel giorno è la sua presenza.
E dove c’è il Signore c’è la Vita, la morte non ha più potere (Rm 6,3-11).
Il Signore asciugherà le lacrime dai nostri occhi resi ciechi dal male e dal dolore e, finalmente, potremo vederlo e godere della sua presenza.

 

Gesù, l’Emmanuele, il Dio con noi (Mt 1,23), il Verbo che si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi (Gv 1,14) realizza ciò che Isaia aveva visto sette secoli prima. Con lui il Regno di Dio s’è fatto vicinissimo e questa presenza esige la conversione (Mt 4,17).

 

Nella sua ultima settimana di vita, Gesù racconta parabole che parlano di urgenza, come se il tempo stesse per scadere e, di fronte all’appello del Vangelo, non ci fossero cose più importanti da fare, non fosse permesso essere distratti (Bruno Maggioni).

 

Le strade che portano ai propri campi o ai propri affari sono vicoli chiusi, perché le cose non hanno vita e, alla fine, che sarà di chi ha accumulato tesori per sé e non si è arricchito davanti a Dio (Lc 12,20)?

 

Gli invitati che rifiutano l’invito alla festa di nozze del figlio del re uccidono se stessi, prima di eliminare i servi. La bramosia, l’attaccamento ai propri affari offre un’illusione di felicità, ma in realtà genera solo morte dentro di sé e attorno a sé.
Violenti o meno che si sia.

 

Un giorno un uomo si era avvicinato a Gesù per chiedergli che cosa dovesse fare di buono per avere la vita eterna.
Era un uomo buono, non violento, rispettoso dei comandamenti e desideroso di entrare nella vita dove la morte è eliminata per sempre e le lacrime sono asciugate.
Gesù lo invitò a liberarsi dei suoi beni e a seguirlo per sedersi al banchetto del regno.
Ma quell’uomo se ne andò via triste, con le spalle curve sotto il peso delle sue molte ricchezze (Mt 19,16-22).

 

In ogni caso il regno si è fatto vicino, la festa di nozze è pronta e il re non sopporta l’idea di essere solo a festeggiare il figlio.
Il desiderio di Dio è che ogni uomo sia salvato (1Tm 2,4), che tutti possano partecipare al banchetto della vita gustando grasse vivande e cibi succulenti, bevendo vini eccellenti e godendo della sua presenza.

 

Nel suo cammino verso Gerusalemme Gesù incontrò ai crocicchi delle strade uomini e donne di ogni estrazione sociale e li invitò alle sue nozze, incurante delle mormorazioni dei devoti (Mt 9,1; 11,19).

 

Pubblicani come Matteo e Zaccheo (Mt 9,10; Lc 19,5), amici come Marta, Maria e Lazzaro (Gv 12,1-3), donne di facili costumi come la peccatrice che gli bagnò i piedi con le lacrime e li asciugò con i capelli (Lc 7,37) e piccole donne dalla fede grande come la vedova che, di nascosto, gettò nel tesoro del tempio due monetine, tutto quanto aveva per vivere (Mc 12,41-44).
Stranieri e pagani come la donna cananea che tappò la bocca a Gesù con la storia dei cagnolini e delle briciole (Mt 15,23- 28) e il centurione di Cafarnao che non si riteneva degno di farlo entrare in casa sua (Mt 8,5-13).

 

Sono questi i commensali che riempirono la sala del banchetto, un miscuglio di gente raccogliticcia trovata all’ultimo momento agli angoli delle strade (Sergio Quinzio).
A loro non fu chiesto un documento d’identità, né un certificato di buona condotta.
Solo la disponibilità ad alzarsi e a lasciare i loro affari, quali che fossero, per partecipare alla festa di nozze del figlio del re.

 

Ma la parabola non ha un lieto fine, come piacerebbe a noi.

 

La pretesa del re riguardo a quell’invitato trovato senza abito nuziale ci sembra eccessiva e fuori luogo dal momento che gli ospiti erano stati convocati all’improvviso e accolti così come si trovavano.
Ma il re è il Signore che miete dove non ha seminato (Mt 25,24-26), che pretende frutti anche dagli alberi fuori stagione (Mc 11,13).

 

La veste bianca che l’uomo non indossa non è un abito morale.
Questa è la pretesa di chi mormorava contro Gesù perché sedeva a mensa con i peccatori e mangiava con loro (Mt 9,11).
Ciò che manca a quell’uomo è la gioia di sentirsi invitato al banchetto del Figlio del Re, e la gratitudine per la coscienza di non meritarlo.
L’uomo che non indossa l’abito nuziale è come il figlio maggiore della parabola del padre misericordioso che non vuole saperne di sedersi accanto al fratello che era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato (Lc 15,32).
O come gli operai della prima ora che si lamentano con il padrone che dà a tutti la stessa paga (Mt 20,1-15).

 

Il banchetto di nozze per il Figlio del Re si tenne sulla cima del Golgota la vigilia della festa di Pasqua. Quel giorno molti, compresi gli apostoli, – se così si può dire – preferirono tornare ai propri affari (Mt 26,56).
Quella paradossale sala del banchetto si riempì di gente ostile nei confronti del Figlio del re. Eppure due uomini presi all’ultimo momento, buoni o cattivi che fossero, parteciparono alla festa.
Il centurione che stava sotto la croce, vedendo morire Gesù, vedendo come moriva, riconobbe in lui, senza ombra di dubbio, il Figlio del Re (Mt 27,54).
E il delinquente crocefisso alla destra di Gesù che, prima di morire, gli chiese la grazia di un ricordo, senza pretendere nulla in cambio.
A quell’uomo, dalla morale non impeccabile, Gesù fece la promessa più grande di tutto il Nuovo Testamento: Oggi sarai con me in paradiso (Lc 23,40-43).

 


Non vi servono vestiti intessuti d’oro che vi rendono belli all’esterno, bensì vestiti che vi adornano interiormente.
(Giovanni Crisostomo, Commento al Vangelo di Matteo)