A GERUSALEMME NEL CORTILE DEL TEMPIO
22 ottobre 2023, XXIX DOMENICA PER ANNUM A
(Is 45,1.4-6; Sl 96/95; 1Ts 1,1-5b; Mt 22,15-21)

 

Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono? (Mt 22,20)

 

A Gerusalemme, nel cortile del tempio, Gesù affrontò i suoi avversari.
Come spesso accade, un nemico comune genera alleanze comuni (Lc 23,12).
Così uomini e gruppi che non osavano nemmeno sfiorarsi, trovarono il modo e il tempo di incontrarsi per elaborare strategie finalizzate a eliminare l’avversario.
Capi dei sacerdoti e anziani del popolo (Mt 21,23), discepoli dei farisei ed erodiani (Mt 22,16), sadducei e farisei (Mt 22,23.34) crearono – se così si può dire – un governo di larghe intese con il preciso obiettivo di cogliere in fallo Gesù mettendo alla prova la sua ortodossia (Mt 22,35) per catturarlo (Mt 21,46).

 

Non erano interessati a conoscere la verità, ma a trovare un motivo per chiudere la bocca a colui che si presentava come la Via, la Verità e la Vita (Gv 14,6).
Ma fu Gesù che con tre mosse diede scacco a farisei ed erodiani quando gli posero la questione della tassa da pagare all’imperatore.

 

Con la prima mossa li costrinse a tirare fuori dalle tasche la moneta del tributo.
Ed essi – scrive – molto ingenuamente glielo presentarono.
Pazienza per gli erodiani che erano sfacciatamente amici dei romani, ma i discepoli dei farisei (nome che significa puri) non avrebbero dovuto nemmeno toccare quella moneta, soprattutto all’interno del Tempio.
Nel libro del Deuteronomio (che sicuramente conoscevano) sta scritto: State bene in guardia per la vostra vita: poiché non vedeste alcuna figura quando il Signore vi parlò sull’Oreb dal fuoco, non vi corrompete dunque, e non fatevi l’immagine scolpita di qualche idolo, la figura di maschio o femmina (Dt 4,15-16).
Con una semplice richiesta Gesù rovesciò le parti e da accusato divenne accusatore, da imputato a giudice.

 

Con la seconda mossa, da bravo rabbi, Gesù rispose alla domanda con un'altra domanda e costrinse chi voleva incastrarlo a dare la risposta che attendeva da lui.
Gli uomini che lo interrogarono sul tributo avevano posizioni diametralmente opposte riguardo al potere romano: gli erodiani lo appoggiavano, i farisei non lo combattevano con azioni violente, come gli zeloti, ma lo consideravano un castigo di Dio.
Il dilemma che posero a Gesù tendeva a farlo schierare e, quale che fosse la sua risposta, si sarebbe creato un nemico.

 

Solo allora Gesù rispose alla domanda iniziale – questa fu la terza mossa, quella dello scacco – e portò la discussione su un altro piano.
Il Vero Nemico dell’uomo, il suo e quello dei farisei e degli erodiani, dei capi del popolo e dei sacerdoti, dei romani e degli zeloti, non è l’imperatore.

 

Il modo con cui i discepoli dei farisei e gli erodiani si erano presentati a Gesù (per quanto di un’irritante adulazione) affermava la verità su di lui, ma era la verità diabolica di chi con lui non voleva avere niente a che fare (Mc 1,24).
Sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità – gli dissero.

 

Ma di percorrere quella Via non avevano alcuna intenzione.
Gesù si sottrasse al dilemma e all’adulazione, ma non perse l’occasione di mostrare loro la Verità e indicare la Via di Dio.
Una via da percorrere, non da conoscere.
La sua risposta non fu un patetico tentativo di mediazione.
La sua parola fu profetica, non politica.
La scelta da fare non è tra la posizione dei farisei o quella degli erodiani.
La scelta è tra Dio e Satana.

 

Prima di iniziare la vita pubblica, anche Gesù fu posto di fronte a questa alternativa.
Nel deserto il Diavolo gli offrì la gloria dei regni di questo mondo in cambio del tributo dell’adorazione: Tutte queste cose io ti darò se prostrandoti mi adorerai!
Cacciandolo, Gesù restituì al diavolo tutto ciò che gli appartiene, le cose, e offrì a Dio ciò che spetta solo a lui: Adora il Signore tuo Dio e a lui solo rendi culto (Mt 4,8-10).

 

Di quella moneta ci si deve liberare restituendola a Cesare di cui porta l’immagine e la scritta per non confondere le cose di Dio con le cose del mondo.

 

Le parole di Gesù lasciarono senza parole coloro che volevano coglierlo in fallo nei suoi discorsi e, alla fine, sconfitti lo lasciarono e se ne andarono.
Lasciarono il maestro veritiero che indicava la via di Dio e se ne andarono per altre strade, seguendo altre verità.
Con la sua parola, come avevano fatto i profeti prima di lui, Gesù non intendeva condannare il mondo, ma salvarlo (Gv 3,17), desiderava aiutare uomini e donne ad aprire gli occhi, non a chiuderli (Gv 9,7).

 

Di fronte alla Verità (Gv 18,38), anche Pilato preferì inchinarsi a Cesare e condannò a morte Gesù. Se liberi costui – gli dicevano – non sei amico di Cesare.
Eppure dalla sua bocca di funzionario devoto all’imperatore uscì la verità su Gesù, quando, presentandolo alla folla, disse: Ecco il vostro re! (Gv 18,12-16).

 

Sulla moneta del tributo c’era l’immagine dell’imperatore e l’iscrizione che ne proclamava la divinità.
Gesù in croce rivela l’immagine paradossale del Dio che nessuno ha mai visto (Gv 1,18).
Un Dio sconfitto e tuttavia vittorioso.
Con le mani e i piedi inchiodati e tuttavia libero.
Morto e tuttavia vivente per sempre.

 

Dalla croce Gesù restituì al Padre ciò che appartiene a Lui e a nessun altro.
Padre nelle tue mani consegno la mia anima (Lc 23,46).
Sopra il capo di Gesù c’era anche un’iscrizione, come nella moneta del tributo.
Pilato l’aveva fatta incidere su una tavoletta di legno e l’aveva fatta collocare sulla croce perché tutti la vedessero.
E non la modificò, anche se i capi dei sacerdoti dei Giudei non la gradirono.

 

Di chi è l’immagine e l’iscrizione? Di Gesù, il Nazareno, il re dei Giudei (Gv 19,19-22).
Del Figlio di Dio!
come riconobbe il centurione che stava sotto la croce (Mt 27,46).

 


La fede afferma che le grandi cose sono piccole, e le piccole sono grandi; che ciò che è esatto è falso, e ciò che è falso è esatto; che ciò che è disperato è ricco di promesse, e ciò che è pieno di speranza è contestato. Essa afferma che la croce significa vittoria e la morte vita.
(Dietrich Bonhoeffer)