L’ULTIMA IMMAGINE DEL REGNO
12 novembre 2023, XXXII DOMENICA PER ANNUM A
(Sap 6,12-16; Sl 63/62; 1Ts 4,13-18; Mt 25,1-13)

 

Ecco lo sposo! Andategli incontro! (Mt 25,6)

 

L’ultima immagine del regno che Gesù consegnò ai discepoli, prima delle ore decisive della sua passione e morte, fu una festa di nozze.
Un matrimonio paradossale senza sposa, né banchetto, né invitati.
C’è solo lo sposo, e dieci ancelle che lo attendono con le loro lampade.
Lo sposo arriverà, questa è l’unica certezza.
Ma non si può sapere da dove, né a quale ora del giorno.

 

Le immagini del grano e la zizzania, del granello di senape e del lievito, del tesoro nascosto nel campo e della perla preziosa, di una rete gettata nel mare (Mt 13) o di un banchetto di nozze sono simili al regno dei cieli.
Ma ciò che lo caratterizza in modo preciso è il suo ritardo.
Ritardo legato, ovviamente, alla nostra percezione della realtà e alla nostra fretta.
Agli occhi di Dio mille anni sono come il giorno di ieri che è passato, come un turno di veglia nella notte (Sl 90,4).

 

Abramo attese venticinque anni prima di stringere tra le braccia il figlio della promessa (Gen 18,10), e non ebbe la grazia di vedere una discendenza benedetta e numerosa come le stelle del cielo (Gen 15,5).
La preghiera di Abramo è il grido disperato di un vecchio che chiede conto a Dio delle sue promesse: Signore Dio, che cosa Signore mi darai? Ecco, a me non hai dato una discendenza e un mio domestico sarà mio erede (Gen 15,2-3).

 

Signore, fino a quando? è il ritornello che ritorna con insistenza nel libro dei Salmi (Sl 4,3; 13,2-3; 80,5).

 

Gesù aveva iniziato la sua vita pubblica annunciando il regno dei cieli che si era fatto vicino (Mt 4,7), ma la termina raccontando parabole che parlano del suo ritardo.

 

Il ritardo del regno è il mistero più terribile (Sergio Quinzio).

 

Non dieci maestri, ma dieci ragazzine ci insegnano che nell’attesa dello sposo non c’è nient’altro da fare se non tenere viva la luce della lampada.

 

Nella tradizione biblica la lampada rimanda alla Parola di Dio, com’è scritto nel salmo: lampada ai miei passi è la tua parola e luce alla mia strada (Sal 119,105).
Questa Parola custodita con amore alimenta l’olio della nostra lampada a nostra insaputa, sia che vegliamo sia che dormiamo (Mc 4,27).

 

Tutte e dieci le vergini hanno ricevuto in dono questa luce, ma le stolte si sono limitate a un ascolto superficiale. La Parola non è scesa nel loro cuore così da trasformarsi in luce. Hanno ascoltato la Parola ma non l’hanno messa in pratica, come uno che costruisca la sua casa nella sabbia (Mt 7,24-27).

 

Non c’è rovina più grande che sentirsi dire dal Signore: Non vi conosco!
Le sagge, invece, hanno custodito la Parola con amore.
Per loro la Parola è viva, non lettera morta, e ha il potere di irradiare luce.
La luce permette di non sentirsi persi nel buio della notte.
E chi non si perde, è sempre pronto nel lungo tempo dell’attesa.

 

Tutte dieci le ragazze si addormentarono.
Ma la qualità del loro sonno è radicalmente diversa.
Quello delle vergini stolte è un sonno superficiale, come la loro esistenza.
Quello delle vergini sagge è un sonno profondo e vigile.
Esse possono dire come l’amata del Cantico dei Cantici: Io dormo, ma il mio cuore veglia (Ct 5,2). Il desiderio di Dio, la sua Parola scesa nella stanza segreta del loro cuore, ha continuato ad alimentare la fiamma della lampada.

 

Il discepolo di Gesù di notte dorme come tutti gli esseri umani ma, come dice il salmo, all’aurora egli cerca l’amato del suo cuore, la sua carne lo desidera ardentemente come terra deserta arida senz’acqua (Sl 63,2).

 

La vera ricerca spirituale è il desiderio di Dio, non di altro.
Una ricerca incessante, di tutta la vita e di ogni momento.
Di giorno come di notte, quando nel mio letto di te mi ricordo e penso a te nelle veglie notturne, a te che sei stato il mio aiuto, esulto di gioia all’ombra delle tue ali e a te si stringe l’anima mia (Sl 63,7-9).
Ma anche se mi addormento esulto di gioia e il mio cuore mi istruisce (Sl 16,7).

 

È l’esperienza che il pellegrino russo racconta con poche essenziali parole nel suo libro: Un mattino fui, per così dire, svegliato dalla Preghiera (Racconti di un pellegrino russo).

 

C’è un po’ d’ironia, di tragica ironia, nell’invito che le sagge rivolgono alle stolte, quando dicono loro di andare dai venditori a comprarsi l’olio per le lampade.
L’olio che tiene accese la lampada per l’arrivo dello sposo non si compra e non si vende.
Non c’è banco del mercato o negozio umano che lo possa offrire come una merce.
E un dono della grazia che scende nel cuore di chi ha sete di Dio perché la sua grazia vale più della vita (Sl 63,2.4).

 

Da quasi quattromila anni Abramo è una lampada che brilla della notte, perché ha custodito nel cuore la Parola di Dio e, nonostante tutto, ebbe fede sperando contro ogni speranza (Rm 4,18).

 

Da duemila anni anche la lampada di Maria di Nazareth continua a irradiare la sua luce.
Non solo perché ha custodito nel suo grembo il Figlio di Dio, ma soprattutto perché ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore (Lc 1,45).
E quando non la comprendeva, custodiva tutte queste cose nel suo cuore (Lc 2,19).

 

A suo modo anche del centurione che stava sotto la croce si può dire che fosse un uomo evangelicamente saggio.
Non si trovò impreparato in quell’ora di tenebra e in quel luogo impuro quando udì una voce che diceva: Ecco lo sposo! Andategli incontro! Subito (Lc 18,43; 19,5) gettò via la spada, accese la sua lampada ed entrò con il Figlio di Dio alle nozze (Mt 27,54). 

 


Di quelli che pur cadendo nel sonno hanno serbato almeno l’olio del desiderio per risvegliare la loro lampada, il Signore avrà pietà e li accoglierà come se avessero vegliato ad attenderlo.
(Sergio Quinzio)