LA PRIMA PARABOLA RACCONTATA DA GESÙ
19 novembre 2023, XXXIII DOMENICA PER ANNUM A
(Prv 31,10-13.19-20.30-31; Sl 128/127; 1Ts 5,1-6; Mt 25,14-30)

 

Ecco ciò che è tuo… (Mt 25,25)

 

La prima parabola raccontata da Gesù nell’evangelo di Matteo è quella delle due case.
Una, costruita sulla roccia, rimase salda al suo posto quando cadde la pioggia, strariparono i fiumi, e i venti si abbatterono su di essa. L’altra, invece, costruita sulla sabbia, franò su se stessa e la sua rovina fu grande (Mt 7,24-27).

 

L’ultima parabola che Gesù raccontò ai discepoli prima di iniziare il suo calvario è quella dei talenti. In questo caso non si tratta del crollo di una casa, ma della vita corretta e onesta di un uomo al quale il padrone ha affidato il suo talento, prima di partire per un viaggio.

 

L’uomo in questione non ha rubato, non è scappato con il denaro, non l’ha sperperato nelle sale da gioco e con donne di facili costumi.
Si è comportato – se così si può dire – evangelicamente, da uomo delle beatitudini, senza preoccuparsi del futuro, come gli uccelli del cielo che non seminano e mietono, né raccolgono nei granai, e come i fiori del campo che non filano (Mt 6,25-32).
Ha evitato di accumulare tesori sulla terra dove tarma e ruggine consumano e i ladri scassinano (Mt 6,19).
Non ha servito Mammona (Mt 6,24) e non si è assoggettato alla legge del mercato.
E ha messo in pratica il suggerimento del Talmud che consiglia di custodire il denaro sotto terra per difenderlo da chi lo potrebbe rubare, ladri o banchieri che siano (Babà, Mezi‘a’ 42a).

 

Il peccato di quest’uomo onesto cui viene tolto tutto e, come se non bastasse, viene gettato fuori nelle tenebre, dove sarà pianto e stridore di denti è quello diabolico di chi non vuole avere niente a che fare con il suo padrone (Mc 1,24).
Ecco ciò che è tuo! – gli dice, restituendo il talento.
Questa cosa è tua, non mi riguarda.
In questo caso la sua restituzione non è un atto di giustizia ma una presa di distanza.

 

Il padrone di quell’uomo era partito per un viaggio, era rimasto lontano da casa per molto tempo, ma il cuore di quel servo era sempre stato lontano da lui, anche quando viveva sotto lo stesso tetto.
Il padrone si era fidato di lui, ma lui non si fidava del padrone, ne aveva paura perché era un uomo duro che miete dove non ha seminato e raccoglie dove non ha sparso.
E nella Scrittura la paura è la radice della schiavitù (Rm 8,15).
Al contrario dove c’è amore non c’è timore, l’amore perfetto scaccia il timore, perché il timore suppone un castigo e chi teme non è perfetto nell’amore (1Gv 4,18).

 

Questo terzo servitore che vive da schiavo nella casa del suo padrone assomiglia al figlio maggiore della parabola del padre misericordioso (Lc 15,11-32).

 

Ecco, dice al padre – io ti servo a tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai dato mai un capretto per far festa con i miei amici. Adesso che questo tuo figlio è tornato…
Troppo preso dal risentimento non comprende le parole del Padre: Tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio tuo…
Invece il figlio minore, nel suo cammino tormentato, pericoloso e provvidenziale, sperperando il suo patrimonio, l’ha paradossalmente investito e moltiplicato.
Restituendo a Cesare ciò che è di Cesare (Mt 22,21) ha ritrovato se stesso e la via del ritorno in quella casa solida dove il padre lo attendeva.
Era perduto ed è stato ritrovato, era morto ed è tornato in vita.

 

Questo terzo servitore assomiglia agli operai della prima ora che mormorano perché non hanno compreso la grazia di essere stati chiamati fin dal mattino al servizio di un uomo buono e generoso (Mt 20,11).

 

Anche gli altri due servitori conoscevano bene il padrone, sapevano che era un uomo che miete dove non ha seminato e raccoglie dove non ha sparso, ma nutrivano nei suoi confronti un sano timore che, com’è scritto nel libro dei Proverbi, è il principio della sapienza (Pro 1,7; 9,10).
Quando il padrone consegnò loro i suoi beni non si sentirono schiacciati dalla responsabilità, ma liberati dalla fiducia.
Tutto ciò che è mio è tuo: il bene del padrone è il loro stesso bene.
I due servi si misero in movimento senza perdere un istante e subito andarono a investire i talenti ricevuti.

 

Subito è un piccolo avverbio che ritorna con frequenza negli evangeli, soprattutto in quello di Luca, ed è un segno di salvezza, della presenza della grazia (Lc 2,13; 8,13; 13,13; 17,7; 19,5).

 

Zaccheo era un uomo che aveva saputo impiegare con profitto le ricchezze accumulate, ma l’aveva fatto per sé e l’eccesso di denaro aveva finito per soffocarlo (Lc 19,1-10).
La chiamata di Gesù gli aprì gli occhi: Zaccheo, scendi subito perché oggi devo fermarmi a casa tua. Al subito di Gesù, Zaccheo rispose con il suo subito e quel giorno, restituendo le sue ricchezze ai poveri, le investì moltiplicandole all’infinito, perché, come dice il salmo, la Tua grazia vale più della vita (Sl 63,4).

 

Consegnare è il verbo che scandisce come un ritornello la parabola dei talenti.

 

Nei giorni della sua passione il Padre consegnò il Figlio.
Una ricchezza infinita che Dio mise nelle mani degli uomini che per paura o ignoranza, non sanno quello che fanno (Lc 23,34).
E il Figlio, pur essendo nella condizione di Dio, svuotò se stesso, assumendo una condizione di servo (Fil 2,6-7).

 

Quel pomeriggio solo un uomo, il centurione che stava sotto la croce, vide la pienezza della vita in quel luogo di morte (Mt 27,54).

 

E si sentì chiamato da quell’uomo che non poteva più parlare: Bene, servo buono e fedele, prendi parte anche tu alla gioia del tuo padrone.

 


La terribile fretta della salvezza, la sua terribile lentezza.
(Sergio Quinzio)