GESÙ TERMINA IL SUO ULTIMO DISCORSO
26 novembre 2023, CRISTO RE DELL’UNIVERSO - A -
(Ez 34,11-12.15-17; Sl 23/22; 1Cor 15,20-26.28; Mt 25,31-46)
Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria… (Mt 25,31)
Gesù termina il suo ultimo discorso con la descrizione del giudizio finale.
Come nelle parabole che l’hanno preceduto, le parole del Signore sono un appello alla vigilanza non al senso di colpa, un invito al Timore del Signore non alla paura di Lui.
La sequela di Cristo è una cosa seria ed è di questa serietà che il Signore parla con le ultime parole del suo ultimo discorso.
Ogni azione, ogni scelta ha una conseguenza ma il pensiero che Dio goda nel mandare al supplizio eterno, nel fuoco eterno, chi non l’ha riconosciuto o amato, chi l’ha offeso o ignorato viene dal maligno.
L’evangelo del Figlio di Dio è l’annuncio dell’eternità del paradiso, non dell’inferno.
Gesù non ha sacrificato la sua vita per la nostra morte, ma perché noi potessimo ottenere pienezza di vita, per avere la vita e averla in abbondanza (Gv 10,10).
Tutto tu hai sopportato per salvare tutti (Ufficio della Passione della liturgia ortodossa).
Anche quelli che non l’hanno riconosciuto e non lo riconoscono.
Anche quelli che l’hanno offeso e offendono il suo Santo Nome.
La salvezza è vera perché è offerta a tutti.
Se non vi è possibilità che tutti siano salvati, nessuno è salvato.
E, d’altra parte, la salvezza è vera perché non è imposta a nessuno.
Tutti possono accettarla, se lo vogliono.
E, se lo vogliono, tutti possono rifiutarla.
Il dono divino della libertà offre la possibilità di assaporare personalmente cos’è paradiso: vita in Dio. E cos’è inferno: morte, in ragione della separazione da Dio (Basilio di Iviron).
Ma Colui che ci ha creato non può godere della perdizione eterna delle sue creature.
Se il Giudice, alla fine, dovrà riconoscere che alcuni sui figli non vogliono avere niente a che fare con Lui, come i demoni che ne riconoscono la divinità ma rifiutano la comunione (Mc 1,24), e preferiranno la morte eterna alla vita eterna, emetterà il giudizio con le lacrime agli occhi.
Come quando Gesù, alla vista della città, pianse su Gerusalemme dicendo: Se avessi compreso anche tu, in questo giorno, la via della pace (Lc 19,41).
Gesù ha raccontato le parabole che doveva raccontare per rivelare il volto del Padre e il mistero del Regno.
Dio è il pastore che va a cercare la pecora perduta (Mt 18,12-14), ma è anche il padrone che miete dove non ha seminato e raccoglie dove non ha sparso (Mt 25,26).
È il contadino che chiede al padrone di pazientare ancora un anno con l’albero che non produce frutto prima di tagliarlo (Lc 13,8-9), ma è anche il Signore che maledice l’albero di fichi tra le cui foglie non trova il frutto, nonostante sia fuori stagione (Mt 21,19).
È lo sposo che accoglie le vergini sagge che hanno saputo mantenere accesa la loro lampada, ma è anche lo sposo che non ha pietà per le stolte che bussano e implorano di farle entrare (Mt 25,10-12).
Ma, sia queste parabole con le loro contraddizioni e i paradossi che ci disorientano, sia la descrizione del Giudizio con cui Gesù termina i suoi discorsi, non sono il compimento del suo cammino in mezzo a noi (Gv 19,30).
Terminati tutti questi discorsi, Gesù disse ai suoi discepoli: Voi sapete che fra due giorni è Pasqua e il Figlio dell’uomo sarà consegnato per essere crocefisso (Mt 26,1).
Il compimento, la chiave di lettura del mistero del Figlio dell’uomo e dell’evangelo del regno che si è fatto vicino, si trova nel crocevia del Golgota.
Il Figlio dell’uomo che aveva usato la frusta per cacciare dal tempio chi aveva fatto della casa del Padre suo un luogo di mercato (Gv 2,15-16), è lo stesso che si lascia frustrare dai soldati di Pilato senza opporre resistenza (Mt 19,1).
Il Re che getta fuori nelle tenebre l’invitato che non indossa l’abito nuziale (Mt 22,13) è anche il Re che si lascia spogliare delle vesti e portare fuori dalla Città Santa (Mt 27,28).
Un Dio che ama soltanto, ma non giudica sarebbe un distributore automatico di perdono, con il quale si potrebbe giocare. Un Dio che giudica soltanto e non ama, prima di tutto e dopo tutto, sarebbe un mostro (Ulrich Luz).
La logica mondana non può comprendere il mistero del Regno che si è fatto vicino (Mt 4,17) e tuttavia rimane lontano, di una Voce che si fa sentire nel Silenzio (1Re 19, 12), di una Vita che nasce dalla morte (Gv 12,24).
Un giorno anche abba Antonio fu preso dalla vertigine meditando sull’abisso dei giudizi di Dio e gliene chiese conto. Giunse a lui una voce che disse: Antonio, bada a te stesso. Sono giudizi di Dio questi: non ti giova conoscerli (Vita e detti dei padri del deserto).
Il compito del discepolo non è di difendere Dio.
Il nostro dovere è badare a noi stessi dentro le contraddizioni del mondo e le nostre e, con umiltà e fiducia, continuare a fare quanto siamo chiamati a fare, come servi inutili di cui, tuttavia, il Signore non può fare a meno (Lc 17,10).
Il Giudizio finale, la vita eterna, la morte eterna sono questioni che riguardano Dio.
Quando il Figlio dell’uomo venne nella sua Gloria, sulla cima del Golgota, nessuno dei suoi amici era con lui (Mt 26,56), né si videro angeli che raccogliessero le sue lacrime, né si udì la voce del Padre che lo consolasse (Mt 27,46).
Eppure, dalla croce, nell’ora del compimento (Gv 2,4; 19,30), Gesù non pronunciò parole di condanna, ma supplicò il Padre di perdonare gli uomini perché non sanno quello che fanno (Lc 23,34).
Poi spalancò le porte del paradiso a un delinquente crocefisso accanto a lui (Lc 23,43).
E infine, dopo aver chiuso i suoi occhi sulla scena di questo mondo, aprì quelli del centurione che stava sotto la croce (Mt 27,54).
- Dei peccatori la Chiesa non si stanca mai di parlare. Dei salvati non fa praticamente menzione. Qualcuno ha fatto notare che gli interessi di satana sono squisitamente spirituali. (Chesterton, mi pare).
- Non sono sicuro di seguirla.
- Satana si interessa unicamente alla tua anima. Per il resto, della tua salute se ne frega.
(Cormac McCarthy, Stella Maris)