DOPO AVERE CONQUISTATO GERUSALEMME
24 dicembre 2023, IV AVVENTO B
(2Sam 7,1-5.8b-12.14a.16; Sl 89/88; Rom 16,25-27; Lc 1,26-38)
Entrando da lei disse: Rallègrati, piena di grazia (Lc 1,28)
Dopo avere conquistato Gerusalemme e averla scelta come capitale del Regno, il re Davide costruì per sé e la sua corte un palazzo degno del suo nome e della sua fama.
Ma un giorno dalla terrazza del suo bel palazzo vide la Tenda sotto la quale dimorava il Santo Benedetto, il Signore del cielo e della terra (da quella stessa terrazza qualche anno dopo avrebbe visto una donna giovane e bella che stava facendo il bagno, ma questa è un’altra storia).
Pensò: Io abito in una casa di pietra lavorata e con rifiniture in legno di cedro, mentre il Signore sta sotto una tenda.
Preso da un profondo amore per il Signore e da un altrettanto profondo senso di colpa, chiamò il profeta Natan e gli riferì la sua più ferma intenzione di costruire una dimora anche per il Signore.
Natan approvò la decisione del re ma, quella notte, il Signore gli apparve in sogno e gli disse che, per quanto lo riguarda, se così si può dire, le cose non funzionano così.
È Dio che decide quali strade percorrere e in quali luoghi dimorare, non certo gli uomini.
Così anche il prediletto del Signore, il ragazzino di bell’aspetto e dal cuore buono (1Sam 16,7), dovette fare i conti con il primo No divino.
Io ti ho preso dall’ovile, Io sono stato con te dove sei andato, Io ho distrutto davanti a te i tuoi nemici, Io darò fama al tuo nome, Io ti darò salvezza. Io susciterò un tuo discendente, dopo di te, uscito dalle tue viscere, Io stabilirò per sempre il suo trono. Io sarò per lui padre ed egli sarà per me Figlio.
Il libro di Samuele non precisa il motivo di questa bocciatura.
Lo farà il libro delle Cronache che riporta un dialogo tra Dio e Davide sull’argomento del tempio: Hai sparso molto sangue e hai combattuto grandi battaglie; non costruirai una casa per il mio Nome, perché hai sparso molto sangue sulla terra ai miei occhi (1Cr 22,8).
In ogni caso, quale che sia il motivo, Davide non cercò di giustificare le sue ‘buone intenzioni’ e chinò il capo di fronte al volere dell’Altissimo.
E, forse, quel ‘no’ lo aiutò a comprendere una verità che stava da sempre davanti agli occhi dei figli di Israele.
Una tenda è la dimora più adatta all’Altissimo, perché il Dio di Israele è un Dio in viaggio, un Dio che è sempre oltre (Cfr. Lc 24,15.31).
Mille anni dopo il Verbo di Dio si fece carne e pose la sua dimora in mezzo a noi (Gv 1,14).
Il termine greco che noi traduciamo dimora non rimanda a una casa di pietra, ma a una tenda, la precaria abitazione del nomade.
È probabile che la giovane ragazza di Nazareth, che sarebbe diventata la madre del Messia, non si sia mai posta il problema di una casa.
Prima del matrimonio c’era quella della sua famiglia, dopo quella del suo futuro sposo.
Il destino di Maria era inscritto in una storia millenaria che non lasciava spazio ai sentimenti e ai desideri personali.
Non scelse di sposare Giuseppe perché lo amava (anche se non è escluso), ma perché i suoi genitori avevano provveduto a stipulare un contratto con la famiglia di lui.
Guardando le ragazze e le donne del suo villaggio, Maria sapeva a cosa andava incontro.
Non che questo la rattristasse.
Era così da sempre.
Ma il Signore intervenne in questa storia tracciata dagli uomini e con la potenza della sua Parola la riscrisse, com’era accaduto ad Abramo, duemila anni prima (Gen 12,1).
In una storia in cui lei non aveva diritto di parola, le fu data la libertà di porre domande, di sollevare dubbi e di esprimere i suoi timori.
L’angelo Gabriele rimase in attesa di una sua risposta.
Che Dio potesse dare un figlio alle donne sterili non era una novità nella storia del suo popolo. Anche Elisabetta, sua parente, nella sua vecchiaia aveva concepito un figlio.
Ma fino a quel momento si era sempre trattato di figli dell’uomo.
A lei Dio chiedeva la disponibilità di concepire e dare alla luce il Figlio dell’Altissimo, senza concorso di un uomo, giovane o vecchio, sterile o fertile che fosse.
Vista dall’esterno la vita di Maria è stata in tutto simile a quella delle donne ebree del suo tempo, ma in realtà, per avere creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto (Lc 1,45), lei ha camminato con il suo Dio lungo strade non tracciate dagli uomini.
Trent’anni dopo una donna dalla folla alzò la voce e disse a Gesù: Beata colei che ti ha portato in grembo e allattato! Ma Gesù rispose: Beati piuttosto coloro che ascoltano la Parola di Dio e la osservano (Lc 11,27-28).
Maria è beata per avere portato in grembo e allattato il Salvatore, ma lo è ancora di più per avere obbedito a una Parola che l’ha liberata.
Mille anni prima, dopo essersi sistemato a Gerusalemme, nel suo palazzo di pietra e cedro, Davide volle sistemare anche il Signore in una casa di pietra e cedro.
Ma il Signore bocciò il progetto.
Non solo perché le mani di Davide erano sporche di sangue, ma soprattutto perché la tenda è più adatta a un Dio in viaggio.
Sempre in viaggio come il Santo Benedetto, furono i grandi e i piccoli personaggi biblici, da Abramo a Maria di Nazareth.
Abramo appena ebbe udito la Parola che lo chiamava per nome, partì, si mise in cammino verso una terra che gli sarebbe stata indicata (Gen 12,4).
Anche Maria, appena l’angelo si allontanò da lei, sellò l’asino e, con un bagaglio leggero, in fretta si mise in cammino verso la regione montuosa, in una città di Giuda, per incontrare una donna, vecchia e sterile che, come lei, attendeva un bambino (Lc 1,39).
Nella Bibbia, le partenze non avvengono mai per semplice curiosità di andare altrove, né per decisione autonoma. Lasciare un luogo di nascita o di residenza avviene sempre perché le persone hanno udito un richiamo ad alzarsi e ad andare, perfino a fuggire in fretta la tirannia, tirannia di cui sappiamo che ha molteplici forme, non solo politiche.
(Catherine Chalier, Leggere la Torà)