NEL RACCONTO DELL’EVANGELISTA MATTEO
6 gennaio 2024, EPIFANIA DEL SIGNORE
(Is 60,1-6; SI 72/71; Ef 3,2-3a.5-6; Mt 2,1-12)

 

Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? (Mt 2,2)

 

Nel racconto dell’evangelista Matteo non viene detto quanti siano i Magi, né come si chiamino o da dove siano partiti.
Ma lo scarno racconto di Matteo ha acceso la fantasia di poeti e cantastorie, monaci e uomini di scienza che hanno riempito i silenzi evangelici con nomi di persone e di luoghi, con numeri e fenomeni celesti.
Così i Magi sono diventati tre e a ognuno dei tre fu dato un nome.
E a ogni nome fu associato un dono.
A Melchiorre l’oro, A Baldassarre l’incenso e a Gaspare la mirra.
L’evangelo riporta il particolare dei tre doni, ma fu la tradizione che ne precisò il significato: l’oro per la regalità, l’incenso per la divinità, e la mirra per l’umanità.

 

In ogni caso, senza nulla togliere alla magia del racconto, per il nostro cammino spirituale è più saggio cercare di leggere ciò che sta scritto negli spazi bianchi tra i segni neri delle lettere.

 

A cominciare dai nomi.
Che non ci sono.

 

Nel Quarto evangelo c’è un discepolo di cui non viene mai detto il nome.
Come se il Discepolo Amato (questo è il nome del discepolo senza nome) fosse l’immagine del vero discepolo di Gesù, più che un personaggio in carne e ossa.
Come se quel discepolo portasse il nome di tutti coloro che come lui, crederanno senza vedere (Gv 20,29) e si sentiranno amati da Lui anche quando non lo sentiranno vicino.

 

I Magi senza nome che partirono da oriente per cercare il re dei giudei che è nato sono maestri e guide in questo lungo cammino di ricerca.
La loro prima lezione è un invito ad alzare gli occhi al cielo.
Nella stella videro l’opera delle mani di Dio e udirono la sua voce.
I cieli narrano la gloria di Dio e l’opera delle sue mani annuncia il firmamento.
Il giorno al giorno ne affida il messaggio e la notte alla notte ne trasmette notizia.
Senza linguaggio, senza parole, senza che si oda la loro voce,
per tutta la terra si diffonde il loro annuncio (Sl 19,2-3).

 

Il movimento ripetuto degli astri nei cieli emette un clamore silenzioso paragonabile a quello della pagina di un libro (Paul Beauchamp).

 

Anche un santo monaco come Antonio sapeva leggere le parole che Dio ha impresso nel creato.
Un giorno alcuni monaci vennero da Antonio e lo interrogarono: Antonio, quali sono i libri sui quali hai studiato? Mostrando con le mani il cielo, le stelle, il mare e l’intera natura circostante rispose: Sono questi i libri che leggo. Essi superano tutti gli altri.

 

I Magi dunque, sfogliando, notte dopo notte, le pagine di questo libro, partirono e giunsero a Gerusalemme.
Dove incontrarono un altro libro, scritto non più sulla volta celeste, ma su rotoli di papiro.
La Scrittura che Dio aveva consegnato a un piccolo popolo.
E a Gerusalemme impararono che ascoltare è ancora più importante che decifrare, perché dove non c’è ascolto c’è idolatria.
Per questo i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo (grandi conoscitori della Torah) che il re Erode consultò, si dimostrarono inconsapevolmente dei grandi idolatri.
Sapevano leggere le profezie, ma non le ascoltavano.
Rimasero al loro posto invece di mettersi in cammino per incontrare il re dei Giudei che è nato a Betlemme di Giudea, com’era stato scritto dal profeta Michea.

 

I Magi, invece percepirono la vita nelle pagine di quel libro e, per la seconda volta si misero in viaggio, perché la Torah non è solo un libro di memorie e di insegnamenti. Essa è un albero di vita per tutti coloro che l’hanno nel cuore (Catherine Chalier).

 

Con la stella in cielo che li precedeva e con una pagina della Scrittura nel cuore, giunsero sul luogo dove stava il bambino.

 

Di fronte al paradosso di un Re Bambino non si misero a discutere né a ragionare, non si chiesero se avessero perso tempo e denaro inutilmente, ma si prostrarono e lo adorarono.

 

L’evangelo di Matteo non parla di mangiatoia, di asini, buoi e pecore, di grotta e di stalla e pastori.
Parla di una casa, di una madre e di un bambino.
Nel più quotidiano dei luoghi, e nella più fragile delle creature i Magi riconobbero il re dei Giudei, il Signore dei Signori, il Giudice della storia.

 

Offrendogli l’oro, Melchiorre ne confessò la regalità.
Con l’incenso Baldassarre s’inchinò alla sua divinità.
E con la mirra Gaspare ne riconobbe l’umanità.  

 

Come insegnano i maestri (quelli che non s’inchinano al potere mondano di Erode) è proprio nel più profondo occultamento che si manifesta la maggiore rivelazione. Quando Dio afferma: Io certamente celerò il mio volto (Dt 31,18), in realtà dice: Anche quando mi nascondo mi puoi trovare; puoi sempre trovare Me (Cfr. Talmud, Meghillà 6b).
O, come insegna un maestro della tradizione cristiana: il Dio biblico non risiede in un luogo contrapposto alla nostra realtà, ma si trova proprio dentro il movimento stesso della vita, ed è là che possiamo incontrarlo (Tomas Halìk).

 

Sappiamo che per un'altra strada fecero ritorno al loro paese.

 

I Magi, oltre a saper decifrare il linguaggio segreto degli astri, e leggere ciò che sta scritto nelle pagine del Libro, avevano imparato anche ad ascoltare anche la voce di Dio che parla nei sogni.

 

Così tornarono a casa, dopo aver trovato ciò che a lungo avevano cercato o, forse, dopo aver compreso che era quel Bambino che da sempre li stava cercando.

 

L’evangelo di Matteo non dà un nome ai Magi, come Giovanni non lo dà al Discepolo Amato. Come se nel nome non detto di quei santi uomini ci fosse il nostro nome.
Il nome di uomini e donne che, incuranti dei re e dei sapienti di questo mondo, si ostinano a inchinarsi davanti a un Bambino per adorarlo.

 

 


Non me ne intendo di archeologia, ma che importa se quello che è raccontato nella Bibbia sia successo o no?
Supponiamo che ciò che leggiamo nelle pagine della Scrittura sia solo una favola; per me questa favola è più viva di tutte le pietre.
(Naomi Shemer, cantautrice israeliana)