L’EVANGELO DI MARCO RACCONTA LA STORIA
7 gennaio 2024, BATTESIMO DEL SIGNORE (B)
(Is 55,1-11; Salmo: Is 12,2-6; 1Gv 5,1-9; Mc 1,7-11)

 

E subito, uscendo dall’acqua, vide squarciarsi i cieli… (Mc 1,10)

 

L’evangelo di Marco racconta la storia di un Messia che ha molta strada da percorrere e pochissimo tempo a disposizione.

 

Nel tempo dell’esilio, invece, i figli di Israele avevano molto tempo a disposizione e poca strada da percorrere. Concentrati sulla collina di Tel-Aviv, guardavano scorrere le acque del canale Kebar (Ez 3,15), affluente dell’Eufrate.
Rispetto ai fiumi di Babilonia, il Giordano è un rigagnolo insignificante, ma il suo ricordo provocava ondate di nostalgia e lacrime.
Come cantare i canti del Signore in terra straniera? (Sal 137).
A Babilonia l’acqua è abbondante, ma in esilio Israele è un popolo assetato.

 

La sete della sua gente spinse Gesù a lasciare la Galilea per scendere al Giordano e immergersi nelle sue acque.
La sete di un popolo che accorreva per ascoltare il Battista e farsi battezzare da lui, senza comprendere che solo lo Spirito avrebbe potuto dissetarli.

 

Quello Spirito che in terra d’esilio prendeva Ezechiele e lo spostava da un luogo all’altro (Ez 2,2) e che, un giorno, lo fece immergere nell’acqua.

 

Ezechiele fu portato nel Tempio e vide uscire dal lato destro del Santuario una piccola sorgente.
L’uomo che era con lui teneva in mano una cordicella.
Percorsero circa cinquecento metri e l’uomo ordinò al profeta di raggiungere l’altra sponda.
L’acqua gli giungeva alle caviglie.
Altri cinquecento metri ed Ezechiele riattraversò il fiume: l’acqua gli arrivava al ginocchio.
Altri cinquecento e l’acqua gli arrivava ai fianchi.
Altri cinquecento e l’acqua era diventata un fiume navigabile, impossibile da passare a guado.
Le acque di questo fiume sfociavano nel mare e ne risanavano le acque.
Il pesce era abbondantissimo e sulla riva crescevano alberi di ogni genere i cui frutti servono come cibo e le foglie come medicina (Ez 47,1-12).

 

Il Giordano dove Giovanni battezzava e dove Gesù s’immerse non ha sbocchi nel mare.
È un fiume che s’immette nelle acque senza vita del Mar Morto.
L’acqua evapora e torna in cielo, dove si trasforma in nuvole.
Le nuvole diventano pioggia e la pioggia scende nuovamente nel fiume.

 

Il battesimo di Giovanni è immersione in un’acqua che non guarisce.
Il battesimo di Giovanni è un cerchio che non si chiude mai.

 

Al contrario di Ezechiele, Gesù partì dal fondo e risalì il fiume per arrivare al Tempio.
Accompagnato dalla voce del profeta che sta al confine tra la Prima e la Seconda Alleanza Gesù s’immerse nel Giordano e quando uscì, vide squarciarsi i cieli e lo Spirito scendere su di lui, come una colomba.
Immerso dalla mano di Giovanni nelle acque del fiume, Gesù riemerse sospinto dalla voce del Padre che lo riconosceva come Figlio amato.
La voce del Battista si spense dentro le acque del fiume.
Battezzò il più grande di lui e poi scomparve (Gv 3,30).
La parola del compimento è lasciata al Figlio in cui il Padre ha posto il suo compiacimento.

 

A Babilonia la parola dei profeti dissetava più dell’acqua dei fiumi e saziava più del cibo amaro dell’esilio.
A Babilonia, la voce del profeta è parola di Dio che scende come pioggia leggera di primavera nel cuore inaridito di un piccolo resto fedele.
La parola uscita dalla bocca dell’Altissimo non torna indietro senza effetto, senza avere compiuto ciò per cui Egli l’ha mandata.

 

Dopo cinquant’anni di esilio (i tempi di Dio non sono i nostri, Sl 90,4), un piccolo resto attraversò il deserto, raggiunse il Giordano e vi s’immerse per tornare a casa.
Erano i figli dei deportati, un popolo nuovo che in esilio s’era nutrito e dissetato di una parola che scendeva dal cielo.
L’acqua del Giordano aveva un sapore particolare.
Quando riemersero dall’altra parte, in terra di Israele, l’aria, l’acqua e la terra avevano il sapore della libertà.
Dopo cinquant’anni, un piccolo resto ricominciò a cantare i canti del Signore lungo la strada che saliva a Gerusalemme.

 

L’evangelo di Marco è un racconto che non lascia respiro, dove tutto succede in fretta.
Gesù scese al Giordano, vi si immerse.
Subito, cominciò ad annunciare l’evangelo del regno (Mc 1,15) per tutte le città e i villaggi, finché giunse a Gerusalemme, dove portò a compimento il suo cammino verso la sorgente (Mc 11,11).

 

L’epilogo della vita terrena di Gesù è sorprendente e rende ancora più incomprensibile il mistero della sua persona.
Nel suo secondo battesimo il Figlio di Dio s’immerse volontariamente nelle acque oscure della morte.

 

Dalla cima del Golgota, Gesù vide il Tempio, ma nessuna sorgente usciva dalle sue pietre.
Una nuova acqua doveva sgorgare da un nuovo Tempio.
Il grido di Gesù quando emise lo Spirito squarciò in due il velo del tempio, da cima a fondo (Mc 15,37-38), come si erano squarciati i cieli nel momento del battesimo.

 

Quel pomeriggio, vigilia della festa di Pasqua, nessuna voce divina scese dal cielo, ma una voce umana salì verso il cielo.
Fu la professione di fede di un uomo che stava sotto la croce e che, vedendo morire Gesù, vedendo come moriva, disse: Davvero quest’uomo era Figlio di Dio! (Mc 15,39).

 

Il Figlio Amato in cui il Padre ha posto il suo compiacimento.

 

Un colpo di lancia trafisse il fianco di Gesù e subito ne uscì sangue ed acqua (Gv 19,34).
Un fiume d’acqua viva che sgorga dalla roccia di un Tempio non fatto da mani d’uomo.

 


Insegna san Gregorio Palamas: Se rifletti su Dio mille volte ma non fai esperienza del divino – non patisci il divino –, non hai conosciuto davvero nulla.
(Basilio di Iviron)