LA BIBBIA È UN LIBRO CHE RACCONTA
14 gennaio 2024, II PER ANNUM B
(1Sam 3,3b-10.19; Sl 40/39; 1Cor 6,13c-15a.17-20; Gv 1,35-42)
Gesù allora si voltò… (Gv 1,38)
La Bibbia è un libro che racconta storie meravigliose che meritano di essere ascoltate più che spiegate.
Come le storie di Samuele e dei primi due discepoli di Gesù.
Samuele era poco più di un bambino, quando il Signore lo chiamò per la prima volta.
Fino a quel momento, anche se viveva presso un santuario e all’ombra di un sacerdote, non aveva ancora conosciuto il Signore, né gli era stata ancora rivelata la parola del Signore. Visse in tempi difficili nei quali la parola del Signore era rara, le visioni non erano frequenti. Israele non aveva ancora un re e sarebbe toccato proprio a lui, a Samuele, il compito di consacrare i primi due, Saul e Davide.
L’inizio della storia è commovente.
Il ragazzo stava dormendo nel tempio del Signore, dove si trovava l’arca di Dio, e il Signore era là, accanto a lui.
Ovviamente non poteva vederlo perché nessuno può vedere Dio e restare vivo (Es 33,20).
Sentiva solo una voce.
E la voce lo chiamava per nome: Samuele!
Pensando che fosse Eli, il vecchio sacerdote, corse da lui.
Per tre volte.
Eli era un uomo già vecchio, mezzo cieco e amareggiato dalla vita, soprattutto per il comportamento dei due figli che non aveva saputo (o potuto) educare e che con le loro azioni disonoravano Dio (1Sam 3,13).
Ci mise un po’ il vecchio sacerdote a comprendere che la voce udita da Samuele era quella di Dio.
E che era arrivato il momento di farsi da parte.
Mille anni dopo, vedendo passare Gesù per il secondo giorno consecutivo, Giovanni Battista si rese conto che era arrivato il suo turno di farsi da parte.
Questa certezza non riempì il suo cuore di amarezza, com’era accaduto a Eli, ma di gioia. Giovanni è l’amico dello sposo che esulta di gioia alla voce dello sposo. Ora – disse – questa mia gioia è piena. Lui deve crescere; io, invece, diminuire (Gv 3,29-30).
Così si fece da parte e liberò due dei suoi discepoli che, voltando le spalle al vecchio maestro, andarono dietro a Gesù.
Non fu Gesù a chiamarli, come Dio aveva chiamato Samuele, ma furono loro che lo seguirono, attratti da una forza irresistibile.
Quando si rese conto di essere seguito, Gesù si voltò e chiese: Che cosa cercate?
Gli dissero: Maestro, dove dimori?
Venite e vedrete! - rispose Gesù.
Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui; erano circa le quattro del pomeriggio.
Giovanni concentra in due versetti i verbi essenziali della sequela, quelli che legano il discepolo al Maestro: cercare, dimorare, venire, vedere, andare, rimanere.
Quel giorno Andrea e l’altro discepolo seguirono Gesù.
Ma non lo videro solo di spalle (Es 33,23) perché a un certo punto Gesù si voltò e mostrò il suo volto.
In quell’istante egli rivelò il volto di Dio che nessuno aveva mai visto (Gv 1,18).
Tre anni dopo Gesù fece lo stesso movimento, voltandosi verso Maria di Magdala che, in lacrime, lo stava cercando nel giardino dove era stato sepolto.
Le chiese: Chi cerchi? (Gv 20,15)
Non più che cosa, ma chi.
Dopo la risurrezione, la ricerca non è più orientata a qualcosa, ma a una persona, a Gesù.
E Maria di Magdala lo riconobbe quando si sentì chiamata per nome.
Anche la storia di Samuele, il suo rapporto con il Signore, iniziò quando si sentì chiamato per nome.
Come le altre volte, dice il testo biblico.
Ma prima Dio aveva pronunciato il nome del ragazzo solo una volta.
L’ultima, invece, quella decisiva, lo ripeté due volte: Samuele, Samuele!
Come due volte aveva chiamato Mosè dal roveto ardente (Es 3,4).
Mosè era stato chiamato per liberare il popolo schiavo in Egitto.
Samuele fu chiamato per liberare quello stesso popolo dalla peggiore delle schiavitù, l’idolatria.
L’evangelo riporta il nome solo di uno dei due discepoli che quel giorno seguirono Gesù e videro dove abitava, di Andrea, fratello di Simon Pietro.
L’altro discepolo, innominato, potrebbe essere il Discepolo Amato, quello che entra in scena nelle ore oscure della passione e morte di Gesù e in quelle luminose della sua risurrezione.
È il discepolo che rimane accanto a Gesù e appoggia il capo sul suo petto (Gv 13,23-25).
Il discepolo che sta sotto la croce, come tre anni prima si era fermato nella casa dove Gesù dimorava (Gv 19,26) e che, alle quattro del pomeriggio, quando tutto è compiuto vede il sangue e l’acqua uscire dal fianco di Gesù (Gv 19,34).
È il discepolo che corre al sepolcro all’alba del primo giorno della settimana, che vede il luogo dove Gesù aveva dimorato per tre giorni e crede (Gv 20,8).
È il discepolo che indica a Pietro lo sconosciuto viandante che li attende sulla riva del lago e dice: È il Signore! (Gv 21,7).
Nient’altro che un nome.
Storie di nomi, dunque.
E ogni nome ha la sua storia da raccontare.
Mosè e Samuele.
Andrea, e Simone, al quale Gesù cambiò subito il nome in Cefa, che significa Pietro.
Maria di Magdala e il Discepolo Amato.
Discepolo al quale l’evangelo non impone un nome, perché porta il nome di ogni uomo o donna che si sente chiamato da Dio e che, come Samuele, si limita a chinare il capo e a dire: Parla Signore, che il tuo servo ti ascolta.
Ed ecco questi giovani, dal corpo fragile, dallo spirito appena sveglio, portatori di un messaggio gigantesco. L’immagine sarebbe grottesca se non fosse paradossalmente grave: avvertiamo che, per esprimersi, l’Assoluto ha bisogno di un essere in fase di crescita. In mezzo a un popolo colpevole, i fanciulli restano la sola speranza.
(André Neher)