NEL GIORNO DELL’ASSEMBLEA
28 gennaio 2024, IV PER ANNUM B
(Dt 18,15-20; Sl 95/94; 1Cor 7,32-35; Mc 1,21-28)

 

Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? (Mc 1,24)

 

Nel giorno dell’assemblea, sull’Oreb, il popolo supplicò il Signore di non far più udire la Sua voce, né di far vedere il Suo grande fuoco perché il loro povero cuore non avrebbe retto all’ascolto diretto della Sua Parola e alla visione senza mediazione del Suo grande Fuoco.
Israele chiese la grazia di un intercessore, un uomo come Mosè che stesse tra la terra e il cielo (Es 17,8-12), per portare a Dio le richieste del popolo, e al popolo le esigenze di Dio.

 

Questa supplica del popolo non ha nulla a che vedere con la paura di Dio, ma con il Suo santo timore che è segno di umiltà.
I figli di Israele sanno di essere un popolo dalla dura cervice, un popolo così impuro da non poter reggere il peso della Santità di Dio.

 

Anche i profeti che Dio chiamò al suo servizio per quest’opera di mediazione vissero con questo stato d’animo e cercarono in tutti i modi di convincere Dio a scegliersi qualcun altro, qualcuno più degno e capace di portare a termine la missione.

 

A cominciare dallo stesso Mosè.
Sono balbuziente – disse – quando il Signore lo chiamò dal roveto ardente (Es 4,10).
Ma la balbuzie di Mosè – insegnano i maestri – fu una grazia perché gli permetteva di soppesare bene le parole prima di pronunciarle.

 

Isaia, il principe dei profeti, ammise di essere un uomo dalle labbra impure che viveva in mezzo a un popolo dalle labbra impure (Is 6,5). Allora il Signore mandò uno dei serafini con un carbone ardente che toccò le labbra di Isaia e le purificò (Is 6,6-7).

 

Geremia accampò la scusa di non saper parlare a causa della sua giovane età.
Il Signore gli disse di non preoccuparsi e gli mise in bocca le Sue parole (Ger 1,6-9).

 

Il profeta non ha parole sue, né sue idee, è un servo chiamato a obbedire (leggi: ascoltare) alla parola che il Signore gli consegna.
Il profeta che avrà la presunzione di dire in nome di Dio una cosa che Dio non gli ha comandato di dire, o che parlerà in nome di altri dèi, quel profeta dovrà morire.

 

Gesù iniziò da Cafarnao il suo ruolo di mediatore e intercessore annunciando che il tempo era compiuto e il regno di Dio si era fatto vicino e invitando alla conversione (Mc 4,15).
La sua Parola (che è Parola del Padre) è un vento che scombina i piani, che traccia nuove vie, che crea nuove esistenze (Mc 4,16-20).
È una luce che svela i pensieri di molti cuori (Lc 2,35).

 

Uno spirito impuro era entrato nel cuore di un uomo buono che santificava il giorno di sabato. Attraverso di lui, senza dare nell’occhio, entrava e usciva liberamente dalla sinagoga di Cafarnao, dove la Parola di Dio era letta e commentata, le preghiere recitate e le benedizioni distribuite. Senza che nessuno si accorgesse di nulla aveva occupato un luogo sacro destinato a Dio.
Lo spirito impuro si oppone a Colui che è puro, ma senza attirare l’attenzione con azioni stravaganti. Si nasconde dietro un velo di religiosità. S’insinua in quella sottile linea di confine tra la verità e la menzogna, sapendo, come direbbe Chesterton, che la menzogna non è mai tanto falsa come quando si avvicina alla verità.

 

L’uomo posseduto dallo spirito impuro non chiese aiuto a Gesù (forse nemmeno era consapevole di essere posseduto).
E Gesù, entrando in sinagoga, non si occupò di lui ma iniziò a insegnare.
E la sua parola insegnata con autorità scatenò la furia dello spirito impuro.

 

La parola dell’alleanza dice che tra Dio e il suo popolo c’è un patto d’amore.
Ma il Diavolo non vuole nessun patto con Gesù, perché sa che è venuto a rovinarlo.
Che c’è tra noi e te! – gli grida contro.
Tra Gesù, il Santo di Dio, e lo spirito impuro non c’è nulla, assolutamente nulla.

 

Nella sinagoga di Cafarnao, con il fuoco della sua Parola, ordinando allo spirito impuro di tacere e di andarsene, Gesù restituì a un uomo la parola e la libertà, gli restituì la sua dignità di figlio creato a immagine e somiglianza di Dio (Gen 1,26-27).

 

Il principe di questo mondo perde terreno dove l’evangelo di Gesù viene annunciato e vissuto. Ma, se Gesù, il Santo di Dio, con la sua autorità può affrontarlo direttamente, noi come Mosè, come Isaia, come Geremia siamo balbuzienti, e troppo giovani, e impuri per farlo.

 

Abba Antonio, con la sua sapienza, ci insegna con quale arma possiamo sconfiggere il Diavolo: Vidi tutte le reti del Nemico stese sulla terra e gemendo dissi: Chi potrà sfuggire loro? E udii una voce che mi diceva: L’umiltà.
L’umiltà è la virtù che il Diavolo (per definizione) non può possedere.
Egli possiede la conoscenza dei misteri di Dio (una fede ortodossa anche se diabolica), come i grandi santi può digiunare e vegliare, può compiere miracoli e azioni spettacolari.
Ma la natura del Diavolo è l’orgoglio e di fronte a chi è umile, non ha modo di difendersi.
Un grande anacoreta chiese a satana perché lo combattesse.
Udì satana rispondergli: Sei tu che fortemente mi combatti.

 

Il primo Nemico che Gesù affrontò all’inizio della sua vita pubblica è lo stesso che, alla fine, mise le sue diaboliche parole in bocca a Pilato e a tutto sinedrio (Mc 15,1), ai capi dei sacerdoti e agli scribi, a quelli che passavano di là e a quelli che erano stati crocifissi con lui: Se sei il Cristo scendi dalla croce perché vediamo e crediamo (Mc 15,29-32).

 

Gesù non scese dalla croce e dando un forte grido spirò (Mc 15,37).
In quel momento Dio suscitò un profeta in mezzo ai suoi fratelli e gli pose in bocca le sue parole e l’uomo disse quanto Dio gli comandò di dire (Mc 15,39).
Io so chi tu sei: – disse – il santo di Dio.
E sei venuto non a rovinarci ma a salvarci.

 


L’argomento principale dei romanzi di Flannery O’Connor è l’azione della Grazia in un territorio tenuto in gran parte dal Diavolo. Il Diavolo getta le basi necessarie affinché la grazia sia efficace.