IL TERZO MIRACOLO DI GESÙ
11 febbraio 2024, VI PER ANNUM B
(Lv 13,1-2.45-46; Sl 32/31; 1Cor 10,31- 11,1; Mc 1,40-45)

 

Se vuoi, puoi purificarmi! (Mc 1,40)

 

Gesù operò il terzo miracolo sulla strada, dopo quelli nella sinagoga di Cafarnao e nella casa di Pietro (Mc 1,26.31).
L’uomo con la lebbra che gli andò incontro non ha un nome, come se la malattia oltre a impedirgli ogni contatto con la società, gli avesse sottratto anche l’identità.
Era un uomo che, per legge, doveva tenere le distanze da tutti e che, trasgredendo la legge, si è avvicinato a Colui che aveva annunciato la vicinanza del Regno (Mc 1,15).

 

La lebbra non era necessariamente una condizione che portasse alla morte.
Spesso erano casi di psoriasi, leucodermia o funghi che attaccano la pelle (Alberto Mello).
Il libro del Levitico registra casi di lebbra anche delle case e dei vestiti che, con ogni probabilità, sono soltanto delle muffe (Lev 13,47-59; 14,33-57).
In ogni caso, quando la pelle manifestava gonfiori o macchie sospette si era costretti a rivolgersi ai sacerdoti che avevano il compito di stabilire il confine tra ciò che è puro e può stare a contatto con Dio e con il prossimo, e ciò che non lo è e deve tenere le distanze dagli altri e da Dio.
I sacerdoti avevano il dovere di definire l’impurità, ma non avevano il potere di guarirla.

 

Potere che è solo nelle mani di Dio che ha le chiavi della vita e della morte.
La lebbra – dice Giobbe – è figlia primogenita della morte (Gb 18,13), e risanare un lebbroso è altrettanto difficile quanto risuscitare un morto.
Per questo il re di Israele, quando si trovò davanti il lebbroso Naaman il Siro, inviato dal re di Damasco perché lo guarisse, stracciandosi le vesti, disse: Sono forse Dio per dare la morte o la vita, perché costui mi ordini di liberare un uomo dalla lebbra (2Re 5,7).

 

Eppure quest’uomo di cui non si dice il nome, come se rappresentasse la condizione umana di peccato, spezzò la catena che lo condannava alla solitudine e alla morte e si avvicinò a Colui che si era fatto vicino per guarire le nostre infermità (Mc 1,31).

 

Nella sinagoga di Cafarnao Gesù aveva incontrato un uomo posseduto da uno spirito impuro. Un uomo pulito, senza macchie sulla pelle, che entrava liberamente in sinagoga, pregava con gli altri, stava a contatto con i familiari e la gente del villaggio.
Ma quando Gesù entrò nel suo spazio vitale, lo spirito uscì allo scoperto e cominciò a gridare: Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? (Mc 1,23-24).

 

Il lebbroso, invece, venne da Gesù, lo supplicò in ginocchio e gli diceva: Se vuoi, puoi purificarmi!
La sua pelle era macchiata, ma non c’era alcuna macchia nell’anima di quell’uomo.
Il lebbroso è un uomo dal cuore puro.

 

Ed è un maestro di preghiera che con semplicità ci insegna i fondamentali di quest’arte.

 

La preghiera è anzitutto un cammino di avvicinamento a Gesù.
E il cammino presuppone una ricerca sincera di lui, il desiderio di incontrarlo per stare con lui, non per assistere a eventi spettacolari.

 

Nell’evangelo di Luca l’ultima tentazione alla quale il diavolo sottopose Gesù nel deserto, nel disperato tentativo di farlo cadere, fu un invito allo spettacolo: Se tu sei Figlio di Dio, gettati giù dal pinnacolo del tempio (Lc 4,9-12).
La gente ti vedrà atterrare senza un graffio sostenuto dagli angeli e si getterà ai tuoi piedi.

 

Anche Erode voleva incontrare Gesù solo per vedere qualche miracolo, ma quando se lo trovò davanti, la sera del processo, rimase deluso perché non gli rivolse nemmeno la parola (Lc 23,8-9).

 

Poi ci insegna le parole da dire quando siamo davanti a Gesù: Se vuoi, puoi purificarmi!
Non spreca le parole come chi crede di venire ascoltato a forza di parole. Il Padre sa di quali cose abbiamo bisogno prima ancora che gliele chiediamo (Mt 6,7-8).
Il discepolo non pretende risposte, ma chiede la grazia di accettare la volontà del Padre, quale che sia.

 

Gesù si era rivolto severamente allo spirito impuro nella sinagoga di Cafarnao, ordinandogli di tacere e di andarsene.
Davanti al lebbroso, invece, provò compassione.
La compassione gli fece allungare la mano.
E, allungando la mano, creò un contatto che subito purificò il lebbroso.
Gesù non teme il contagio e lo sconfigge con la vicinanza.
I sani hanno bisogno del medico.
È per i malati e i peccatori che il regno si è fatto vicino (Mc 2,17).
Gesù è venuto perché abbiamo la vita e l’abbiamo in abbondanza (Gv 10,10), è venuto per ristabilire di nuovo l’alleanza tra il Creatore e le creature.
La sua volontà non è quella di condannare ma di purificare.
Lo voglio, sii purificato.

 

L’uomo guarito, disobbedendo al comando di Gesù che gli imponeva di non dire niente a nessuno, si allontanò e si mise a proclamare e a divulgare il fatto.
In ogni caso questa disobbedienza, positiva o negativa che fosse, fu una parola profetica. Gesù era destinato a rimanere fuori, in luoghi deserti, come un lebbroso.
Cosciente o meno che fosse, il lebbroso guarito mostrò all’inizio ciò che accadde alla fine.

 

Senza alcuna compassione, Gesù fu crocefisso fuori delle mura della città, come un uomo impuro nel più impuro dei luoghi, quello delle esecuzioni capitali.

 

Quel pomeriggio, mentre tutti se ne tornavano a casa per purificarsi prima della festa di Pasqua, voltando le spalle a Gesù (compresi i discepoli), un uomo che stava sotto la croce, volse lo sguardo a colui che era stato trafitto (Gv 19,37) e, vedendolo morire in quel modo prese coscienza della sua condizione di lebbroso e in ginocchio supplicò il Signore di guarirlo.

 

Se vuoi, – gli disse – puoi purificarmi, perché davvero sei il Figlio di Dio! (Mc 15,39).

 


Se rifletti su Dio mille volte ma non fai esperienza del divino, se non patisci il divino, non hai conosciuto davvero nulla.
(Gregorio Palamas)