GESÙ, PER QUANTO NE SAPPIAMO
14 febbraio 2024, MERCOLEDI’ DELLE CENERI – B
(Gl 2,12-18; Sl 51/50; 2Cor 5,20 – 6,2; Mt 6,1-6.16-18)
Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino (Mc 1,44)
Gesù, per quanto ne sappiamo dagli evangeli, non ha mai pronunciato la parola penitenza. Almeno non nel senso che diamo noi a questo termine e che il dizionario della lingua italiana definisce come il pentimento ricondotto a pratica religiosa o, più genericamente, come una pratica ascetica o devota (G. Devoto G. C. Oli, Firenze 1990).
Forse, Gesù si servì del termine in questione quando rimproverò le città di Corazìn e di Betsàida che, nonostante i molti prodigi, non si erano convertite.
Se a Tiro e a Sidone – disse – fossero avvenuti i prodigi che ci sono stati in mezzo a voi, già da tempo esse, vestite di sacco e cosparse di cenere, avrebbero fatto penitenza (Mt 11,20-21).
Fare penitenza, in greco metenòesan.
Verbo che indica il cambiamento della mente, la conversione.
Infatti, la nuova traduzione della Bibbia in lingua italiana del 2008 sostituisce ‘…avrebbero fatto penitenza’ con un più preciso ‘…si sarebbero convertite’.
In ogni caso, anche se Gesù non ha usato il termine penitenza, ha affrontato la questione delle pratiche penitenziali.
E l’ha fatto soprattutto per mettere in guardia i discepoli da quell’insidiosa malattia che colpisce l’uomo religioso che è l’ipocrisia.
L’elemosina (Mt 6,1-4), la preghiera (Mt 6,5-6) e il digiuno (Mt 6,16-18) possono essere atti che avvicinano a Dio o che ci allontanano da Lui.
Dipende dall’intenzione del cuore.
Chi le compie per essere ammirato dagli uomini ha già ricevuto la sua ricompensa.
Invece chi fa la sua elemosina senza suonare la tromba davanti a sé, chi prega il Padre nel segreto della sua camera, e chi digiuna con i capelli lavati e il viso profumato, riceverà la sua ricompensa da Dio che vede nel segreto.
Gesù non visse nel deserto come Giovanni Battista, coprendo il suo corpo con un vestito di peli di cammello e nutrendosi di cavallette e miele selvatico (Mt 3,4).
Non si presentava come un asceta dall’aria malinconica e dal corpo disfatto (Mt 6,16) e, a detta di molti, era un mangione e un beone amico dei pubblicani e dei peccatori (Lc 7,34).
Per Gesù la penitenza è metanoia, conversione, un cammino che coinvolge il cuore e la mente, prima ancora del corpo.
Se è in virtù di un movimento del cuore, e non dei piedi, che l’uomo si è orgogliosamente allontanato dal Bene supremo e ha sepolto dentro di sé l’immagine di Dio, mi sembra evidente che sarà in virtù di un movimento del cuore che l’uomo potrà umilmente tornare a quel Dio che l’ha creato, e ritrovare la sua immagine (Aelredo di Rievaulx, Speculum caritatis I,8).
La conversione è un cambiamento profondo del pensiero e del cuore (in greco, metànoia) ed è un cammino che fa ritornare (in ebraico, teshuvàh) l’uomo a quel Dio che l’ha creato.
La conversione è un’inversione totale, e non un semplice cambio di direzione: non si tratta di deviare di qualche grado o di un certo angolo verso un altro azimut, ma di fare dietrofront e di camminare in senso inverso (Vladimir Jankélévitch).
Chi vuole diventare discepolo di Gesù, è chiamato a rinnegare se stesso, a prendere la sua croce e a seguirlo (Mt 16,24).
La sequela è un cammino, e come ogni cammino, richiede fatica, esercizio, e impegno, ma ognuno dovrà trovare il suo modo di andare dietro a Gesù.
Le pratiche acetiche che la chiesa nella sua sapienza ci propone nel tempo quaresimale (e non solo) sono strumenti per la conversione, non il fine.
Il fine è Gesù, morire con lui per risorgere con lui a vita nuova e poter dire, come san Paolo, Non sono più io che vivo ma è Cristo che vive in me (Gal 2,20).
In questo cammino di conversione il digiuno del corpo può esserci d’aiuto, ma nutrirci del pane vivo disceso dal cielo (Gv 6,51) è necessario.
L’Eucaristia è il viatico, il pane del cammino.
In questo tempo di penitenza (e non solo), l’elemosina può essere importante, ma più importante ancora è imparare a rimanere davanti a Gesù Eucaristia come mendicanti.
Non è il proposito di dire molte preghiere che attira la benevolenza del Padre, ma la sincerità della nostra preghiera silenziosa davanti a Lui.
Rimanere davanti a Gesù Eucaristia è un digiuno che ci nutre, è un tempo donato che ci viene restituito centuplicato, è una preghiera che sale dal nostro cuore ma che non viene da noi.
Nel tempo penitenziale della Quaresima vestiamoci pure di sacco e cospargiamo il nostro capo di cenere, come gli abitanti di Ninive (Gio 3,6), se questo ci aiuta ad avvicinarci a Dio.
Ma cerchiamo di farlo nel segreto. E Dio che vede nel segreto ci ricompenserà.
Juan de Flandes, (Gand, 1450 circa – Palencia, 1519)