PER UN ANNO E DIECI GIORNI
18 febbraio 2024, I QUARESIMA B
(Gen 9,8-15; Sl 25/24; 1Pt 3,18-22; Mc 1,12-15)

 

Pongo il mio arco sulle nubi perché sia il segno dell’alleanza tra me e la terra. (Gen 9,13)

 

Per un anno e dieci giorni (Gen 8,14) otto persone e una quantità imprecisata di animali convissero in buona armonia all’interno di quel palazzo galleggiante di legno progettato dal Santo Benedetto e realizzato da Noè.
Le circostanze, d’altra parte, non lasciavano molte altre alternative, all’armonia.
Essendo tutti, come si dice, nella stessa barca non era il caso di complicare una situazione già problematica con questioni personali.
Alla fine, nel luogo in cui l’arca s’incagliò, Noè edificò un altare al Signore (Gen 8,20), ignorando che in quello stesso punto, molto tempo prima, Caino e Abele avevano offerto a Dio il frutto del loro lavoro (Gen 4,3-4), e che, molti anni dopo, Abramo avrebbe accatastato la legna per immolare il figlio Isacco (Gen 22,9).

 

Racconta un midrash che Noè prima del sacrificio protestò con Dio per avere fatto annegare il giusto con l’empio.
Irritato, il Signore gli rispose che se ci avesse pensato prima, a intercedere, forse le cose sarebbero andate diversamente.

 

In ogni caso il Signore si pentì di quello che aveva fatto e si rese conto che usare la violenza per cancellare la violenza non portava che morte e solitudine e promise che, per quanto lo riguardava, non sarebbe mai più accaduto (Gen 8,21).
Così tra le acque del diluvio oltre a un’umanità aggressiva e prepotente, andò a fondo anche l’idolo (l’idea) di un dio violento e vendicativo.

 

Con una certa violenza lo Spirito sospinse Gesù nel deserto, dove fu tentato da satana. Matteo e Luca sostengono che Gesù affrontò le tentazioni solo alla fine dei quaranta giorni e descrivono con precisione le prove cui fu sottoposto (Mt 4,1-11; Lc 4,1-13).
Marco, invece, si limita a parlare di un tempo di quaranta giorni durante il quale Gesù rimase solo, come Noè, in quell’oceano di pietre e sabbia.
Solo di fronte a satana, tra bestie selvatiche e angeli.
Siamo certi che Gesù abbia superato le tentazioni, e se l’evangelo di Marco non lo precisa, forse vuole dirci che nella prova, è più importante rimanere senza disperare, che vincere o perdere.
Come Noè, Gesù portò per quaranta giorni il peso della tentazione e con la sua paziente fiducia trasformò quel luogo inospitale in un giardino, dove animali selvatici e angeli vivevano in armonia.

 

È un mondo riconciliato che scaccia il diavolo, non è un mondo perfetto (Lc 11,24-26).
Una terra, come scriveva il profeta Isaia, dove il lupo e l’agnello, la pantera e il capretto, la mucca e l’orsa pascolano insieme, condotti da un bambino (Is 11,6).
Nello spazio sconfinato del deserto Gesù affrontò il diavolo e lo sconfisse con la fiducia di un bambino, senza dire una sola parola.

 

Dopo il diluvio Dio prese atto che il cuore dell’uomo è incline al male fin dalla giovinezza (Gen 8,21), ma decise di rinunciare alla violenza come strumento educativo nella speranza che la sua resa incondizionata allontanasse gli uomini da logiche di morte per indirizzarli verso il bene e la giustizia.
Sulla terra che lentamente si stava asciugando, il Signore depose il suo arco di guerra che, a contatto con il suolo, si tinse con i colori del creato. Così uno strumento di morte (l’arco) si trasformò in un segno di speranza e di vita (l’arcobaleno).
Il perdono è la via che riporta l’uomo alla condizione originaria di creatura plasmata a immagine e somiglianza di Dio (Gen 1,26).

 

L’arcobaleno che apparve nel cielo dopo il diluvio fu la prima tappa di un lungo cammino d’alleanza tra Dio e l’umanità.
Quando Noè lo vide il cuore gli si riempì di meraviglia e, appena sceso dall’arca, la prima cosa che fece fu di piantare una vigna, come segno di speranza (Gen 9,20).

 

Noè aveva 601 anni quando la vita sulla terra riprese il suo corso (Gen 8,13).
La somma dei singoli numeri dell’età di Noè è 7, simbolo dell’alleanza tra il Divino (3) e l’umano (4).
E, a proposito di numeri, i maestri insegnano che Il valore numerico della parola satana è 364. Come i giorni dell’anno meno uno, il giorno di Yom Kippur, quando tutti i peccati del popolo sono perdonati. A Dio basta un giorno per annullare un anno di lavoro del diavolo.
Per questo l’uomo, anche se spesso esce sconfitto dai deserti della prova, può continuare a sperare.

 

Subito dopo il tempo della tentazione nel deserto, Gesù andò nella Galilea annunciando che il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino (Mc 1,15).
Un tempo, come quello quaresimale, esige la conversione, ma la conversione esige più accoglienza del cuore che forza di volontà.

 

Nel cammino verso Gerusalemme Gesù costruì la sua arca in vista di un diluvio che si sarebbe abbattuto solo su di lui.
Il Padre non fece sentire la sua voce quando il Figlio gridò dalla croce: Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato? (Mc 15,34).
Lasciò che gli uomini incidessero la carne del Figlio per offrire un’alternativa alla violenza.

 

L’arcobaleno è il primo segno di un cammino di alleanza tra Dio e l’uomo.
La croce è l’ultimo, quello definitivo.
Nel tempo della prova la croce di Gesù, come l’arca, è il legno cui aggrapparsi per non affondare.

 

Dalla cima del Golgota Gesù vide Gerusalemme con il suo tempio.
In quello stesso luogo Caino e Abele avevano offerto a Dio le primizie del loro lavoro.
Noè aveva edificato un altare alla fine del diluvio.
E Abramo aveva accatastato la legna per sacrificare il figlio Isacco.

 

Quel giorno, vigilia della festa di Pasqua, Dio depose il suo arco per sempre.

 


L’alleanza stabilita con Noè (e compiuta da Gesù) introduce una nuova realtà che ha come caratteristica la disposizione unilaterale per cui l’impegno di Dio non è in relazione con la fedeltà dell’uomo.
Ciò non significa che Dio si rassegna al peccato, ma che Dio prende atto di un mondo in cui il peccato esiste e in cui non si tratta di distruggere il peccatore, ma di salvarlo.
Si passa dall’idea di preservazione a quella di redenzione.
(Jean Daniélou)