NEL DECIMO ANNO DEL REGNO DI SEDECIA
17 marzo 2024, V QUARESIMA B
(Ger 31,31-34; Sl 51/50; Eb 5,7-9; Gv 12,20-23)

 

Porrò la mia legge dentro di loro, la scriverò sul loro cuore (Ger 31,31-34)

 

Nel decimo anno del regno di Sedecia, mentre Nabucodonosor assediava Gerusalemme, Geremia fu arrestato e rinchiuso nell’atrio della prigione, nella reggia del re di Giuda.
Fu accusato di essere un profeta di sventura e di deprimere il popolo (Ger 32,1-3).
Quella notte Geremia fece un sogno e il mattino dopo, nonostante la carcerazione e l’assedio, nonostante l’ottusa cecità del re e l’incosciente ottimismo del popolo, si svegliò con l’animo in pace (Ger 31,26).

 

Nel sogno c’è il seme di un frutto di cui l’uomo immerso nel suo inverno non ha ancora coscienza.
I sogni spalancano una finestra interiore che offre un altro punto di vista, una prospettiva più alta e più profonda sulla storia.

 

In sogno il profeta Geremia vide dentro quei giorni di sventura il seme di altri giorni nei quali Dio avrebbe cambiato la sorte del suo popolo e ricondotto Israele e Giuda nel paese dato ai loro padri (Ger 30,3).
Bloccato nel cortile della guardia all’interno del palazzo del re, Geremia, profeta emotivo e sensibile, incline alla depressione, vide Gerusalemme cadere e un popolo deportato eppure si sentiva sereno e fiducioso, come se con il sogno di quella notte Dio avesse deposto un seme nel suo cuore, alle soglie di un lungo e doloroso inverno.

 

Anche se la sua ora non era ancora giunta, Gesù ne gettò il seme durante una festa di nozze a Cana di Galilea, obbedendo alla richiesta della madre (Gv 2,4).
La sua ora giunse tre anni dopo, nei giorni della festa di Pasqua.

 

Subito dopo l’ingresso trionfale a Gerusalemme, un gruppo di greci chiese a Filippo di poter incontrare Gesù.
Filippo riferì la richiesta ad Andrea e insieme andarono a dirlo a Gesù.
Che iniziò a parlare.
Le sue parole, che sembrano ignorare il desiderio dei greci, rivelano il destino che lo attende e indicano il cammino che ogni discepolo, greco o giudeo che sia, deve compiere per incontrarlo, per vedere dove dimori e per rimanere con lui (Gv 1,38-39).

 

Nei giorni della sua ultima pasqua Gesù parlò molto.
Parole oscure e ripetitive, angosciate e illuminanti, ma si servì della più semplice delle immagini per rivelare il mistero della sua glorificazione.
La legge del Messia è la legge che regge l’universo, il paradosso del seme che deve morire per vivere e dare vita.
Il seme, gettato a terra, crescerà, sarà innalzato e attirerà tutti a sé.

 

La caduta di Gerusalemme e l’esilio furono il seme che produsse una nuova alleanza tra Dio e il popolo.
Un’alleanza simile all’antica ma, nello stesso tempo, completamente diversa, perché incisa nel cuore e non più nella pietra.
Allora lo Spirito di Dio scenderà su ogni persona e - dice il Signore - i vostri figli e le vostre figlie profetizzeranno, i vostri vecchi faranno sogni, i vostri giovani avranno visioni. Anche sui servi e sulle serve spargerò in quei giorni il mio Spirito (Gl 2,28-29; At 2,17).
In quei giorni i folli e i bambini aiuteranno i sapienti e gli intelligenti a conoscere Dio e a guardare il mondo dalla loro prospettiva rovesciata (Rabbì Jochanan).
Che è la prospettiva del seme.
Che è la prospettiva del Messia

 

Geremia ha il cuore del bambino e non si cura degli intrighi di corte, delle alleanze politiche, militari e religiose.
Crede in Dio e lo ascolta quando gli parla di notte mentre dorme.

 

Dopo il sogno che aveva reso leggero il suo cuore, accadde un fatto strano.
Canamel, figlio di suo zio Sallum, venne a trovarlo in carcere e a proporgli di comprare un campo nel villaggio della sua famiglia, in Anatot.
Un’operazione assurda e, forse, non del tutto onesta nelle intenzioni dello zio, visto che il campo si trovava in un territorio già occupato dalle truppe di Nabucodonosor.
Eppure Geremia, come gli aveva ordinato il Signore, comprò il campo per diciassette sicli d’argento. L’atto di compravendita fu redatto in duplice copia e fu messo in vasi di terracotta perché si conservasse a lungo.
Un’operazione commerciale disastrosa dal punto di vista umano.
Ma dalla prospettiva di Dio quel campo fu un segno di speranza.
Ancora si compreranno case, campi e vigne in questo paese (Ger 32,7-15) e ancora si udranno grida di gioia e di allegria, la voce dello sposo e quella della sposa e ancora passeranno le pecore sotto la mano di chi le conta (Ger 33,11-13).
Ancora il seme sarà gettato nei campi arati.
Un sogno aveva procurato a Geremia in prigione un dolce risveglio.
Un sogno, non un’illusione.

 

Il seme che cade a terra e muore non è un’illusione, anche se scompare tra la terra e marcisce, ma una speranza che esige fiducia e una paziente attesa.
Illusorio è credere che si possa vivere senza morire e salvarsi senza perdersi.
L’ora di Gesù è giunta e la sua morte porterà molto frutto.

 

Innalzato sulla croce, il Figlio dell’uomo diventa attraente.
Anzitutto per la madre, per la sorella di sua madre, Maria madre di Cleopa, per Maria di Magdala e per il Discepolo Amato, i quali, stando sotto la croce, credettero vedendo quello che ancora non c’era (Gv 19,25-26).
Ed è attraente anche per i greci che volevano vederlo, per Giuda che l’aveva consegnato, e per i Giudei che l’avevano condannato.
Come lo è per Simone, Tommaso e gli altri discepoli chiusi nelle loro paure e nei loro dubbi (Gv 20,19.26).
E anche per gli uomini e le donne che senza avere visto hanno creduto.
E per tutti quelli che in seguito, ascoltando l’evangelo, il racconto di quei fatti straordinari, continueranno ad alzare lo sguardo al Crocefisso e a credere nel quotidiano mistero del seme che muore per dare la vita. 

 


Tutti i sofferenti possono trovare nella solidarietà del Crocefisso la loro consolazione, ma lo trovano dalla propria parte solo coloro che lottano contro il male seguendo il suo esempio. Rivendicare il diritto alla consolazione di Cristo e al contempo rifiutare la sua via, significa sostenere non solo una grazia a buon mercato, ma anche una falsa ideologia.
(Miroslav Volf)