I PROFETI VEDONO FENOMENI
6 gennaio 2025, Epifania del Signore
(Gen 60,1-6; Sl 72/71; Ef 3,2a.5-6; Mt 2,1-12)

 

Alzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce (Is 60,1)

 

I profeti vedono fenomeni che la gente comune non riesce a scorgere, situazioni che contraddicono le leggi della natura, verità che sono più vere e solide del puro dato storico.
I profeti vedono il sole che tramonta a oriente e l’alba che sorge a occidente, vedono brillare la Gloria di Dio come un faro per nazioni alla deriva.

 

Israele era una nazione alla deriva ma, dopo cinquant’anni di esilio a Babilonia un piccolo resto iniziò un viaggio di ritorno.
Il cammino leggero di chi tornava finalmente a casa.
Di notte la luce delle stelle indicava la rotta da prendere e, notte e giorno, la luce di una Parola li istruiva (Sl 16,7).

 

Seicento anni dopo dallo stesso oriente, alcuni Magi lasciarono la loro terra e si misero in cammino, seguendo la luce di una stella che illuminava le loro notti e accendeva i loro sogni.
Non erano dei semplici astronomi.
Essi interrogavano le stelle per trovare una risposta alla domanda di senso, cercavano in cielo rotte per attraversare la terra e per orientarsi dentro la vita.
In loro, così ricchi e sapienti, c’era qualcosa semplice.
Erano come bambini a caccia di un tesoro.

 

La Gerusalemme che trovarono gli esuli non era così luminosa come avevano immaginato. Le mura erano ancora diroccate, la gente viveva tra le macerie, il tempio era in rovina. Entrando in città con il loro misero bagaglio videro povertà, abbandono e una città da ricostruire.
Ma, se il Signore non costruisce la città, invano si affaticano i costruttori e invano ci si alza di buon mattino (Sl 127,1-2).
Per ricostruire un luogo desolato, le parole contano più dei mattoni.
Le parole di Isaia, il principe dei profeti, alimentarono la speranza e fornirono il materiale necessario: La Parola di Dio è la pietra solida su cui appoggiare la propria abitazione, è pane che nutre, acqua che disseta e luce che illumina e riscalda.
Così Gerusalemme, la città da ricostruire, grazie alle parole di Isaia divenne il faro delle nazioni, un porto sicuro per custodire le ricchezze dei popoli.

 

La Gerusalemme che i Magi trovarono seguendo la stella era una città magnifica.
Con la sua ricchezza, più sporca di sangue che di sudore, il re Erode l’aveva resa grande e sicura. E aveva fatto molto per il Tempio, ornandolo di belle pietre e doni votivi (Lc 21,5) perché di lui restasse una memoria più luminosa di quella di Salomone.
Erode non era particolarmente religioso, ma aveva compreso che la facciata del Tempio avrebbe giovato alla sua immagine e avrebbe mascherato i suoi crimini.

 

Quando i Magi giunsero a Gerusalemme, non persero tempo a visitare la città e non si lasciarono distrarre dalle sue bellezze.
Chiesero direttamente a Erode dove potevano trovare il re dei Giudei che è nato.
Domanda che equivaleva a una condanna a morte perché il re era ossessionato dal potere e dall’idea di perderlo.
Ma perché l’angelo del Signore non avvertì i Magi di diffidare di Erode?

 

La ricerca del Re non è una garanzia che preserva dall’incontro con uomini malvagi e con falsi profeti che si servono della Scrittura per il proprio interesse e non muovono un passo per mettersi in cammino.
La ricerca di Dio è un viaggio che comporta rischi e pericoli.
In ogni caso, dall’oriente a Gerusalemme e da Gerusalemme a Betlemme, l’ultima delle città di Giuda, i Magi affrontarono il cammino con la semplicità, la fiducia e l’incoscienza dei bambini.

 

La stella si trasformò in un angelo che precedette i Magi e si fermò dove stava il Bambino.
Non furono nemmeno sfiorati dal dubbio di essersi illusi e di avere viaggiato invano.
Avevano finalmente trovato il Re che cercavano e davanti al Bambino si prostrarono, lo adorarono e gli offrirono in dono oro incenso e mirra.

 

Trent’anni dopo su un piccolo colle appena fuori Gerusalemme, quel bambino divenuto uomo fu crocifisso.
Sopra il suo capo c’era un cartello con il motivo della condanna.
Costui è il Re dei Giudei (Lc 23,38).

 

All’inizio dell’Evangelo è già scritta la fine e nella fine si ritrova l’inizio.
Il Bambino nato in un villaggio miserabile della Giudea e il Messia crocifisso fuori delle mura della città è davvero il Figlio di Dio (Mt 27,54), è il Re che fa perdere il sonno ai potenti e riempie di speranza il cuore dei piccoli.

 

Per riconoscere in Gesù il Figlio di Dio e il Re dell’Universo è necessario un lungo viaggio e una fede che veda oltre le apparenze.

 

Chiuso dentro il suo palazzo, Erode aspettava il ritorno dei Magi.
Ma un angelo li aveva avvertiti in sogno di ritornare al loro paese per un’altra strada.
I Magi obbedirono al sogno e ingannarono l’uomo che voleva ingannarli.
Lo fecero senza alcuna malizia, con la semplicità dei bambini che leggono ciò che Dio scrive nel grande libro celeste e parlano con gli angeli. 

 

Gli esuli che tornarono a Gerusalemme si rimboccarono le maniche per riedificare le proprie case e la Casa del Signore.
La Parola del Signore offriva il materiale necessario per la ricostruzione.

 

Un giorno della Gerusalemme di Erode non sarebbe rimasto in piedi nulla (Lc 21,6), ma il Regno di quel Bambino che dormiva tranquillo in braccio a sua madre, quel regno che si è fatto vicino (Mt 4,17) anche se non è di questo mondo (Gv 18,36), quel regno non sarebbe mai stato distrutto.

 


Vedere il volto del mio Re è il mio solo desiderio.
Non temo altri all’infuori di Lui; venero Lui soltanto.
Se potessi vederlo in un sogno!
Continuerei a dormire per tutta l’eternità.
Se potessi contemplare il tuo volto nel mio cuore!
I miei occhi non chiederebbero di guardare alcun’altra cosa!
(Jehuda Ha-Levi)