LA PRIMA MANIFESTAZIONE PUBBLICA
19 gennaio 2025, II PER ANNUM C
(Is 62,1-5; Sl 96/95; 1Cor 12,4-11; Gv 2,1-1)
Qualsiasi cosa vi dica, fatela (Gv 2,5)
La prima manifestazione pubblica di Gesù nel Quarto Evangelo avviene durante una festa di nozze. Giovanni non usa il termine plurale nozze, ma il singolare matrimonio, come se in quel segno ci fosse qualcosa di unico.
Anche i profeti parlano del rapporto di Dio con il suo popolo in termini di alleanza nuziale.
Israele è la sposa amata da Dio.
Eppure si ostina a cercare altrove le sue consolazioni, una prostituta che si offe senza alcun pudore al primo che passa (Os 2,4-9).
Se Gerusalemme fu distrutta e il popolo esiliato fu perché – così pensavano alcuni – il Signore aveva sopportato fin troppo l’infedeltà della sposa e non era più disposto a perdonarla.
Ma i profeti si ostinavano a ricordare che il Signore è un Dio geloso che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione, ma usa benevolenza fino a mille generazioni per quelli che lo amano e osservano i suoi comandamenti (Es 20,5-6).
Lo sdegno del Signore ha un limite, una data di scadenza, mentre la sua misericordia è infinita.
Mettere in dubbio il Suo amore, porre limiti al suo desiderio di perdono è la tentazione più pericolosa, quella di cui si serve il diavolo per allontanarci da Lui.
Dio aveva scelto Israele come sua sposa e avrebbe fatto l’impossibile per non perderla.
Anche Gesù fece ciò che è impossibile per salvare quello strano matrimonio senza il colore della musica, né il calore delle danze, senza l’euforia alcolica tipica di un banchetto nuziale.
A Cana di Galilea c’erano anfore vuote e sposi che non parlano.
Fu la madre di Gesù che si accorse del velo di tristezza che stava per scendere su quel giorno che doveva essere di festa.
E fu sempre la madre di Gesù che costrinse il Figlio a entrare in scena, anche se la sua ora non era ancora giunta.
Disse ai servi: Qualsiasi cosa vi dica, fatela.
Sono le uniche parole che Maria pronuncia nel quarto evangelo.
Come Giovanni Battista a Betania aveva indicato l’Agnello di Dio (Gv 1,28), così Maria a Cana indicò il Figlio e rivelò la missione che il Padre gli aveva affidato.
Gesù non è venuto per condannare il mondo ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui (Gv 3,17).
Quello di Cana fu l’inizio dei segni e in quell’inizio, s’intravede già la fine, l’ora di Gesù che nel giorno del suo matrimonio con l’umanità avrebbe offerto un vino abbondante e di qualità.
Isaia parla del ritorno a casa dopo cinquant’anni di esilio come di una festa di nozze. Gerusalemme era come l’avevano lasciata, una città di macerie e miseria e il vestito degli esuli non era quello della festa ma gli stracci di chi aveva attraversato un deserto.
Eppure…
Davanti a Gerusalemme tutto si trasformò in luce e gioia e quel piccolo esercito di straccioni avanzava con il portamento di una giovane sposa e la bellezza di una vergine con una corona regale sul capo e un diadema prezioso sul petto.
Per quel piccolo resto tutto apparve trasfigurato dall’amore.
Più nessuno avrebbe chiamato la Gerusalemme Abbandonata, né la sua terra Devastata.
La città aveva un nuovo Nome e aveva ritrovato il suo Sposo, l’Emmanuele, Dio con loro.
Un principio come il primo giorno della creazione, come il giorno delle nozze.
Il Signore non li aveva abbandonati. Aveva condiviso gli anni dell’esilio, li aveva accompagnati nel viaggio di ritorno e li aveva preceduti per attenderli davanti alle rovine del tempio, come lo sposo che attende la sposa, impaziente di prenderle la mano e sollevare il velo che le ricopre il volto.
Nel Quarto Evangelo Gesù non entra in scena in modo spettacolare guarendo malati, sfamando le folle o liberando indemoniati, ma con un segno apparentemente inutile.
Quello strano, infelice matrimonio senza musica, né danze, né vino è l’immagine perfetta della nostra condizione, ed è per questo che Gesù si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi (Gv 1,14).
È venuto per portare a compimento ciò che i profeti avevano annunciato.
I monti avrebbero stillato il vino nuovo (Am 9,13), e dai tini il mosto sarebbe traboccato senza misura (Gl 2,24). Sulla cima del monte il Signore avrebbe allestito un banchetto di vini eccellenti e raffinati (Is 25,6).
Con l’inizio dei segni, in un piccolo villaggio della Galilea, durante un banchetto nuziale, tutte le profezie iniziarono a compiersi.
Tutto fu compiuto tre anni dopo, a Gerusalemme, sulla cima di un piccolo monte, dove fu collocato il trono nuziale sul quale fu innalzato lo sposo (Gv 19,30).
A Cana sei erano le anfore che furono riempite d’acqua.
Sei è il numero dell’imperfezione.
L’ora non era ancora giunta perché mancava la settima giara.
Gesù è la settima giara, quella della pienezza e del compimento.
Quando il soldato trafisse il fianco di Gesù con la lancia, subito ne uscirono sangue e acqua (Gv 19,34).
Gesù è lo sposo che dona alla sposa tutto se stesso, il vino della nuova ed eterna alleanza.
Stava presso la croce di Gesù sua madre e, come a Cana, Gesù si rivolse a lei chiamandola donna (Gv 19,25-27).
Maria non disse nulla sotto la croce.
Tutto quello che doveva dire, tutto quello che è necessario sapere per un discepolo, l’aveva già detto all’inizio, a una festa di nozze che, se non fosse stato per il Figlio, rischiava di finire prima ancora di iniziare.
Data in matrimonio a te,
o milizia celeste –
sposa del Padre e del Figlio –
sposa dello Spirito.
Altre nozze saranno sciolte –
Unioni di volontà dissolte –
Solo chi questo anello porta Vince la mortalità –
(Emily Dickinson)