UNA NOTTE, VERSO LA FINE DELL’ANNO 445
26 gennaio 2025, III PER ANNUM C
(Ne 8,2-10; Sl 19/18; 1Cor 12,12-30; Lc 1,1-5;4,14-21)

 

Oggi si è adempiuta questa scrittura che voi avete ascoltato (Lc 4,21)

 

Una notte, verso la fine dell’anno 445, un uomo a cavallo fece il giro delle mura diroccate di Gerusalemme passando per luoghi che si chiamavano Dragone e Letame.
A un certo punto le rovine gli impedirono di proseguire (Ne 2,12-14).
L’uomo era giunto a Gerusalemme tre giorni prima e gli erano bastati per capire che non era il caso di far conoscere le sue intenzioni.
In città avrebbe incontrato più opposizione che aiuto.
L’uomo si chiamava Neemia ed era il coppiere del re di Persia Artaserse.
Qualche mese prima alcuni giudei erano arrivati a Susa e gli avevano portato notizie da Gerusalemme e, mentre raccontavano, Neemia piangeva.
Da quasi cento anni gli esuli erano tornati da Babilonia, eppure i superstiti vivevano ancora in miseria, le mura della città erano piene di brecce e delle sue porte restava in piedi ben poco (Ne 1,2-3).
Quando il re gli chiese perché fosse così triste, Neemia gli parlò di Gerusalemme, di come fosse ridotta e che cosa avrebbe voluto fare per la sua città.
Artaserse gli accordò il permesso di partire, gli assegnò una scorta di cavalieri e un lasciapassare per i governatori dell’Oltrefiume (Ne 2,7).
A Gerusalemme Neemia fu accolto con freddezza e sospetto da chi non aveva interesse a risollevare le sorti dei figli di Israele (Ne 2,10) e per questo non rivelò le sue intenzioni.
Si limitò a guardarsi attorno e ad ascoltare la gente e, dopo tre giorni, di notte fece il giro delle mura della città.

 

Anche Gesù fu accolto con freddezza e sospetto dagli abitanti di Nazareth ma, a differenza di Neemia, rivelò subito le sue intenzioni quando ritornò nel villaggio dove era cresciuto. La sua fama l’aveva preceduto e suscitava curiosità e attese, lodi e invidia.
Un sabato, nella modesta sinagoga di Nazareth Gesù si alzò a leggere e gli fu dato il rotolo del profeta Isaia.
Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai poveri, a proclamare ai prigionieri la liberazione, e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi e proclamare l’anno di grazia del Signore.

 

A Nazareth, in Galilea, Gesù diede inizio all’anno di grazia del Signore.
A Gerusalemme, in Giudea, tre anni dopo, Gesù l’avrebbe portato a compimento.
Dopo avere portato il lieto annuncio ai poveri e ai prigionieri, ai ciechi e agli oppressi, Gesù sarebbe diventato povero e prigioniero, cieco e oppresso.

 

Neemia riuscì a portare a termine il suo progetto di riedificare le mura di Gerusalemme in cinquantadue giorni.
Evitando di coinvolgere gli stranieri che controllavano la città, si rivolse alle famiglie di Gerusalemme, ai sacerdoti, ai notabili e ai magistrati: ciascuno doveva ricostruire le mura nei pressi della sua casa, raccogliendo pietre tra le macerie (Ne 2,17).
Lavorarono notte e giorno, con le armi in mano (Ne 4,10-17), ignorando il sarcasmo dei nemici che dicevano: Se una volpe ci sale, farà crollare la vostra muraglia (Ne 3,35).
Per festeggiare la fine dei lavori si celebrò una solenne liturgia sulla piazza davanti alla porta delle Acque. Furono lette le parole della Legge tra lacrime di commozione e di gioia.
Gloria della tenerezza è il nuovo nome dato a Gerusalemme (Bar 5,4) e tenerezza è una parola ricorrente nel libro di Neemia.
Forse quelle mura sarebbero veramente crollate al passaggio di una volpe, ma erano il segno di una fede che non sarebbe crollata perché si appoggiava sulla solida roccia della Parola di Dio.
Di un Dio che manifesta la sua potenza con la tenerezza.
Le mura fatte ricostruire da Neemia erano modeste, erano una salvezza povera, come i poveri per i quali Dio era disposto a tutto pur di salvarli.
Anche a dare il Figlio unigenito perché il mondo sia salvato per mezzo di lui (Gv 3,16-18).

 

Nel suo nome Gesù porta inciso il suo compito, Dio è salvezza.
Una salvezza povera come i poveri che continua a salvare, oggi.
Non ieri, né domani.
Oggi si è compie questa scrittura che noi abbiamo ascoltato.

 

Oggi è la parola che inaugura la predicazione di Gesù nell’evangelo di Luca.
E da quell’oggi al nostro oggi, nei luoghi più impensati e nei modi più imprevisti, Gesù continua a ripetere che le sue parole non passeranno (Lc 21,33).

 

Gesù proclamò il primo oggi nella sinagoga di Nazareth, al termine della liturgia sinagogale.
Invece di gioire i suoi compaesani si levarono, lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte per gettarlo giù dal precipizio. Ma egli, passando in mezzo a loro, se ne andò perché la sua ora non era ancora giunta (Gv 2,4).

 

La sua ora giunse tre anni dopo a Gerusalemme, quando gli abitanti della città si levarono, lo cacciarono fuori e lo condussero fino al luogo chiamato Cranio, dove crocifissero lui e i malfattori, uno a destra e l’altro a sinistra (Lc 23,3).

 

Dalla cima del Golgota Gesù poteva vedere la Città Santa con le sue mura, quelle che Neemia aveva ricostruito quattro secoli prima e che Erode aveva reso ancora più solide e imponenti.
Un giorno di quelle mura non sarebbe rimasto nulla (Lc 19,44).
Gesù in croce, con le braccia spalancate è la rupe in cui troviamo riparo, nostro muro e baluardo, nostra salvezza potente (Sl 17,3).
Una salvezza povera come i poveri che è venuto a salvare, ma una salvezza certa contro la quale le potenze degli inferi non potranno mai prevalere (Mt 16,18).

 

Uno dei due malfattori, quello crocefisso alla sua destra, si aggrappò a Gesù chiedendogli la grazia di un ricordo.
Il Signore gli diede molto più di quanto chiedeva. Gli restituì la vita che non passa, il giorno senza più tramonto nel regno che Dio ha riservato ai suoi eletti.
Come nella sinagoga di Nazareth, all’inizio, Gesù disse a quell’uomo (che probabilmente non sapeva nulla di lui): In verità ti dico: oggi, si compie per te ogni parola della Scrittura. Oggi con me sarai nel paradiso (Lc 23,40-43).

 


Rabbi Elimelekh diceva: Quando mi presenterò davanti al tribunale celeste mi domanderanno se sono stato giusto. Dirò di no. Poi vorranno sapere se sono stato caritatevole. Dirò di no. Ho dedicato la mia vita allo studio? No. Alla preghiera? Neppure.
Allora il Giudice Supremo, Benedetto egli sia, dirà sorridendo: Ma tu dici la verità e grazie alla verità avrai la tua parte nel mondo a venire.
(Racconti dei Chassidim)