SETTE SECOLI SEPARANO
9 febbraio 2025, V PER ANNUM C
(Is 6,1-8; SI 138/137; 1Cor 15,1-11; Lc 5,1-11)
Eccomi, manda me! (Is 6,8)
Sette secoli separano Isaia da Simon Pietro e cinque separano Mosè da Isaia.
Tre personaggi vissuti in epoche e luoghi diversi, differenti per condizione sociale e carattere.
Tre personaggi accomunati da una chiamata che non si aspettavano e che, se valutata con i criteri di questo mondo, non meritavano.
Mosè era un pastore ricercato per omicidio in Egitto.
Isaia era un principe nato e vissuto a Gerusalemme e, secondo il Talmud, nipote del re Amasia.
Pietro era un onesto pescatore di Cafarnao.
Come ogni chiamata, la loro vocazione è una pro-vocazione, nel senso che li precede e li provoca.
Il Signore apparve a Mosè in un roveto che bruciava senza consumarsi nel deserto del Sinai, presso l’Oreb, mentre stava pascolando il gregge del suocero (Es 3,1-2).
Isaia vide il Signore nel luogo più Santo della Città Santa, il Tempio di Gerusalemme.
Pietro riconobbe in Gesù il Maestro e il Signore sulla barca, nel lago di Gennèsaret, con una rete piena di pesci che rischiava di farli affondare.
Nel momento in cui incontrarono il Signore, Mosè, Isaia e Pietro sperimentarono la loro indegnità. La luce implacabile del Santo penetrò nel fondo della loro coscienza e fece emergere con dolore l’immagine di ciò che erano.
Per Mosè l’incapacità di parlare, la balbuzie, era una scusa per dire al Signore di non essere adatto al ruolo di liberatore che voleva assegnargli (Es 3,10).
Isaia davanti al Santo circondato da esseri brucianti, si sentì perduto: Un uomo dalle labbra impure io sono – disse – e in mezzo a un popolo dalle labbra impure io abito.
Eppure i suoi occhi hanno visto il re, il Signore degli eserciti.
Eppure il Signore degli eserciti, il Dio che non si può vedere (Es 33,20), si è lasciato vedere da lui.
Pietro conosceva Gesù che aveva guarito sua suocera e a Cafarnao, il suo villaggio, aveva compiuto molti miracoli (Lc 4,38-41), ma non conosceva ancora se stesso.
Davanti al Signore e alla rete piena di pesci ebbe l’esatta percezione di ciò che era.
Sono un peccatore! – disse – Un uomo dalle labbra impure come Isaia, un uomo che balbetta pur parlando molto come Mosè.
Quel giorno la vita del pescatore di Galilea, andò a fondo ma nell’abisso non trovò la morte, incontrò la vita, Colui che è la Vita (Gv 14,6).
Colui che è Santo sceglie l’impurità per aprirsi una strada verso gli uomini. La chiamata arricchisce Isaia perché lo fa passare dall’impurità alla purità (Andrè Neher).
Arricchisce Mosè perché lo fa passare dalla condizione di ricercato a quella di guida, e arricchisce Pietro perché lo fa passare dal buio e dalla sterilità alla luce e alla fecondità.
Questo passaggio non avviene per volontà del chiamato, ma per la potenza della Parola di Dio che chiama.
È sulla Parola di Gesù che Pietro gettò le reti.
È la Parola di Dio che Isaia annunciò al popolo, dopo che le sue labbra impure furono purificate con il carbone ardente.
Ed è con la Parola di Dio che Mosè il balbuziente affrontò l’ostinazione di Faraone e quella, ancora più ostinata, del suo popolo.
Una Parola quasi sempre lacerante perché, quando si rivela, ferisce, e il primo a esserne colpito è il profeta stesso (Andrè Neher).
Eppure in questa lacerazione c’è l’evangelo, la buona notizia.
Gesù è venuto per i peccatori che siamo, non per i giusti che pensavamo di essere, o che speravamo di poter essere o di poter sembrare.
Non vi è buona notizia senza l’annuncio che il peccato è perdonato.
Nel momento in cui Pietro prese coscienza della sua miseria, chiese a Gesù di allontanarsi perché era un peccatore ma, nello stesso tempo, si avvicinò a Gesù e si gettò in ginocchio davanti a lui. E Gesù non lo allontanò perché era un peccatore e poteva macchiare la sua santità, ma lo chiamò al suo servizio.
Come Pietro, anche l’altra colonna della chiesa, Paolo, era cosciente della sua indegnità e lo scrisse in una lettera all’amico Timoteo: Cristo è venuto nel mondo per salvare i peccatori, e di questi il primo sono io (1Tm 1,15).
Mosè, Isaia e Pietro accettarono la chiamata e dissero, in modi diversi, più o meno esplicitamente: Eccomi, manda me! perché sapevano di essere i meno adatti alla missione e sapevano che da sempre Dio sceglie quello che è stolto per confondere i sapienti; quello che è debole per confondere i forti; quello che è ignobile e disprezzato per il mondo, quello che è nulla, Dio lo ha scelto per ridurre al nulla le cose che sono, perché nessuno possa vantarsi davanti a Lui (1Cor 1,27-29).
Pietro che all’inizio, con entusiasmo, aveva lasciato tutto per seguire il Signore, alla fine lasciò il Signore per ritrovare il suo nulla.
Nella notte del triplice rinnegamento, il pescatore di Galilea rischiò di annegare.
Ma in fondo all’abisso del suo tradimento incontrò lo sguardo del Signore e la sua mano tesa (Lc 22,54-62).
Forse Pietro, come sulla barca, a Cafarnao, avrebbe voluto dirgli: Allontanati da me che sono un peccatore!, ma negli occhi di Gesù fissi su di lui non sentì una parola di condanna, ma la voce di una chiamata: Non temere, d’ora in poi sarai pescatore di uomini.
Il problema non è se cado, ma se mi rialzo. Chi conosce il proprio peccato, è più grande di chi risuscita un morto. Chi piange un’ora di sé stesso, è più grande di chi ammaestra il mondo intero. Chi conosce la propria debolezza, è più grande di chi vede un Angelo. Chi segue Cristo nel segreto e nel pentimento, è più grande di chi gode di molta fama nelle Chiese.
(Isacco il Siro)